Intervista di Makroskop a Leonardo Mazzei

Il rifiuto italiano di piegarsi ai diktat della Commissione europea e lo scontro che ne deriva è una delle questioni più dibattute in Germania.
Il sito tedesco Makroskop ha rivolto a Leonardo Mazzei alcune domande. Qui sotto l’intervista.


La commissione europea ha rifiutato il budget italiano definendolo una “deviazione senza precedenti” dai patti. Perché questa durezza?

La “deviazione senza precedenti” è un’esagerazione evidente. Negli ultimi quarant’anni solo 4 volte il rapporto deficit/pil è stato più basso del 2,4% previsto dal governo per il 2019. Anche nei due anni della massima austerità (governo Monti) questo rapporto fu al 3%. La posizione della Commissione europea, che oggi è arrivata a bocciare il Documento programmatico di bilancio italiano, si spiega solo politicamente. Si vuole colpire in maniera dura un governo che, pur senza attuare una netta svolta verso politiche espansive (come sarebbe stato invece necessario), ha deciso però un’inversione di tendenza rispetto alle politiche austeritarie.

La risposta italiana sembra ferma. È inevitabile una escalation?
La maggioranza di governo non può permettersi una retromarcia. Sarebbe un disastro politico. Essa sta cercando di realizzare dei risultati concreti – pensioni, reddito delle fasce più povere, fisco – senza arrivare allo scontro frontale con l’UE. Ma questa ricerca di un compromesso non è stata accolta a Bruxelles, anzi. L’escalation sembra dunque l’ipotesi più probabile.

Rimane comunque uno spazio per un compromesso? Conte ha detto che forse posticiperanno alcune spese. Un cambio di alcuni decimali non sembra decisivo.

In teoria un compromesso è sempre possibile. Praticamente, però, lo ritengo piuttosto difficile. Aggiustare i conti in progress è del tutto irrealistico. Se la Legge di bilancio dovesse passare così come sembra che verrà proposta (il testo non è stato ancora trasmesso al parlamento), non vedo come si potrebbero modificare le norme su pensioni e Reddito di cittadinanza dopo la loro approvazione. Certo, si potrebbe sempre agire sul fisco, ad esempio aumentando l’IVA, ma per i Cinque Stelle, ed ancora di più per la Lega, questo è un autentico tabù.

Non potrebbe darsi che la posizione italiana sia un bluff tipo Tsipras per arrivare ad un compromesso?

Ci sono sicuramente forze nel governo che lavorano in questo senso. Non solo la componente che fa riferimento a Mattarella, ma pure settori dei due partiti di maggioranza. Si tratta però di correnti ad oggi minoritarie. La vera posta in gioco non sono ovviamente i decimali del deficit, ma chi comanda in Italia: il governo che ha la maggioranza dei voti e dei seggi parlamentari, o la Commissione europea attraverso i suoi diktat? Il tema vero è quello della sovranità. E’ per questo che reputo difficile una fine “a la Tsipras”. In questo contesto un eventuale compromesso avrebbe comunque una natura assai temporanea.

C’è qualche segnale che il governo minacci l’annullamento del fiscal compact?

Segnali formali no. Ma è chiaro che in gioco è proprio questo. Del resto tutti sanno che il fiscal compact, così com’è, è semplicemente inapplicabile.

Tanti dicono che il gabinetto Conte non sia preparato per un conflitto duro. Che ne pensa?

Beh, certo non è questo un governo bolscevico! Tante sono le debolezze, oggettive e soggettive. Quelle soggettive derivano dalla natura stessa delle forze populiste, dalle loro contraddizioni interne, per M5S da una discreta inesperienza. Quelle oggettive dipendono dal fatto che le forze sistemiche asservite all’UE controllano ancora decisivi baluardi del potere: la Presidenza della repubblica, la Banca d’Italia, il ministero dell’Economia, la quasi totalità dell’apparato tecnocratico (ministeri e non solo), la grande stampa al gran completo. Un problema dell’attuale compagine governativa è che vi sono al suo interno troppe illusioni, sia sulla possibile crescita economica, che sull’esito delle prossime elezioni europee. Illusioni che portano ad una certa sottovalutazione degli effetti concreti della guerra dichiarata da Bruxelles. Reggere lo scontro in questo quadro sembra impossibile. Ma c’è un’arma che finora non è stata utilizzata, quella della mobilitazione popolare. Se lo scontro andrà avanti esso non potrà essere giocato solo nei palazzi del potere. Se così fosse la sconfitta sarebbe certa.

L’arma finale della UE è la BCE e il suo controllo della liquidità. Il governo saprà rispondere?

Non siamo al governo e non possiamo avere certezze su questo. E’ chiaro che se dovessimo arrivare a quel punto, la prima risposta sarebbe quella – per sua natura temporanea, ma indispensabile – dell’emissione di una moneta parallela a circolazione interna. Proposte in questo senso ne circolano diverse, tra queste quella dei Mini-Bot cara agli economisti della Lega. Dopo averne parlato in abbondanza al momento della formazione del governo, sul punto c’è adesso un silenzio irreale: il terrore dello spread tiene ormai le bocche cucite. Ma tutti sanno come stanno le cose, e nel governo non mancano di certo le competenze su questo. Si tratta solo di vedere se vi sarà il coraggio politico di avviare quella che sarebbe l’ultima fase della vita dell’euro, almeno in Italia.

Come funziona l’indipendenza della Banca Italia dal governo? Chi nomina i suoi membri?

Come noto, il principio dell'”indipendenza” delle banche centrali è un cardine dell’ideologia e della politica neoliberista. In Italia questo principio si è affermato nel 1981, quando si è realizzato il cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro. E’ stato quello l’inizio del boom del debito pubblico, messo in quel modo nelle mani dei mercati finanziari globali. Oggi lo statuto della Bce dice chiaramente che le banche centrali nazionali dell’Eurozona “non possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli stati membri né da qualsiasi altro organismo“. Il Consiglio superiore della Banca d’Italia (13 membri) viene eletto dai possessori delle quote di partecipazione detenute da banche ed assicurazioni aventi sede nel Paese. Questo Consiglio esprime un parere sulla nomina del governatore, che viene poi nominato dal Presidente della repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.

Il terrore dello spread potrebbe rovesciare il sostegno politico popolare del governo?

L’arma dello spread è potente. Lo è soprattutto per l’uso che ne fanno i media. Sottovalutarla sarebbe un grave errore. In definitiva è questo l’unico strumento in mano alle èlite capace di incrinare il sostegno popolare al governo. Tuttavia, quando si annuncia quotidianamente il disastro, e questo non arriva, la verità sull’uso politico dello spread – come fu largamente nel 2011 – comincia a farsi strada. Ma non c’è da illudersi. Se a Bruxelles e Francoforte si deciderà di spingere sullo spread, solo decisioni rapide e decise potranno mantenere compatto il blocco sociale che sostiene il governo.

Quale forma tecnico-legale potrebbe assumere una uscita dall’Euro? Quali passi formali saranno necessari? Mattarella può bloccarla?

Sugli aspetti tecnico-legali il discorso sarebbe davvero lungo. Ma è chiaro che se la Bce toglie liquidità, se le banche entrano in crisi a causa del deprezzamento dei titoli di stato e delle norme dell’Unione bancaria, si entra in uno stato d’emergenza. Teoricamente l’uscita dall’euro potrebbe essere concordata con l’insieme dell’Eurozona, praticamente è ben difficile che ciò avvenga. Nell’emergenza nessuno potrà impedire all’Italia di adottare le misure necessarie per mettere in sicurezza la propria economia, tra queste la moneta parallela e la nazionalizzazione del sistema bancario. Tutte cose inaccettabili per l’UE. A quel punto non resterebbe che formalizzare l’uscita dall’euro. In quanto a Mattarella, è vero che potrebbe decidere di non firmare questi atti, ma questo aprirebbe un conflitto di potere con il parlamento pressoché irrisolvibile. Al momento decisivo – come si è visto nella crisi di fine maggio sulla formazione del governo – qualcuno dovrà mollare, stavolta però senza la possibilità di alcun compromesso.

Come funziona in Italia l’asta dei titoli di stato?

Per le aste esistono diverse modalità. Ma per le scadenze superiori all’anno (essenzialmente Btp) vige il sistema dell'”asta marginale”. E’ un sistema che favorisce gli acquirenti, dove il prezzo (e dunque il tasso di interesse) viene fissato di fatto dall’ultimo acquirente, quello che fa l’offerta più svantaggiosa per lo Stato. E’ un sistema assurdo, che consente alle banche di accordarsi tra loro, diverso da quello in vigore in altri paesi europei (tra cui la Germania), ma che ci viene imposto dalle norme (europee e nazionali) che impediscono alla Banca d’Italia di monetizzare il debito, fungendo così da “acquirente di ultima istanza”.

Uscire dall’Euro e rimanere nella UE sarebbe possibile?

Giuridicamente sì, politicamente non se vedrebbe il senso. Tanto più dopo una rottura che incrinerebbe praticamente tutte le certezze sul futuro dell’Unione. Questo non esclude affatto che nuove forme di collaborazione tra gli Stati europei possano e debbano essere trovate in futuro. Ma ogni cosa ha il suo tempo.

Ha sempre parlato di un governo tripartito. Quale forma politica potrebbe prendere una uscita considerando che il terzo partito sta anche nei partiti della coalizione?

Qui entriamo ovviamente nel regno dell’ignoto. In generale non è questo il governo più adatto a gestire la rottura. E certo non si vede come la sua componente “mattarelliana” e filo-euro possa rimanere al suo posto giunti al momento decisivo. E’ tuttavia ben noto – per restare all’attualità si pensi alla Brexit – come i processi storici possano spesso svolgersi in maniera contraddittoria, talvolta perfino a dispetto delle capacità e delle volontà degli attori che ne sono protagonisti. Noi crediamo alla necessità di un nuovo Cln (Comitato di liberazione nazionale), come quello che guidò politicamente la resistenza al nazifascismo. Un’alleanza, sia pure temporanea, che unisca tutte le forze democratiche convinte della necessità di una nuova resistenza (stavolta all’UE), che porti alla liberazione del nostro Paese dalla dittatura dell’euro e del suo sistema.

E la Sinistra Patriottica? Ha un ruolo in questo processo?

Purtroppo noi agiamo in un quadro dove il grosso delle forze di sinistra ha rinunciato al tema della sovranità nazionale. Il campo è stato così lasciato ad un populismo di destra (la Lega) e ad uno fondamentalmente di sinistra (M5S), ma spesso confuso nei suoi obiettivi. Fortunatamente, nell’ultimo periodo, il tema del patriottismo democratico, contrapposto al nazionalismo sciovinista, comincia a farsi strada in alcuni ambienti di sinistra. Ma è ancora poco ed i tempi sono stretti. Il rafforzamento della Sinistra Patriottica, il suo deciso posizionamento nel campo populista, è tuttavia l’unica strada per far sì che il processo di rottura con l’UE abbia un segno democratico, popolare e fortemente orientato alla difesa degli interessi delle classi popolari. L’alleanza populista al governo non è d’acciaio, è permeabile alle spinte dal basso; il blocco sociale che la sostiene è il nostro: semplificando, quello di chi ha pagato maggiormente la crisi. E’ possibile dunque intervenirvi ed avere un ruolo non marginale. Le difficoltà sono tante, ma non c’è altra strada per una sinistra consapevole della posta in gioco.