Quel che non va nella maggioranza gialloverde

Non siamo tra quelli del “nulla è cambiato“. Quelli che pensano, o per comodità o per pigrizia poco importa, che lo scontro con Bruxelles sia solo finzione. Ma non siamo neppure quelli che la fanno facile, che tanto l’Eurozona imploderà e basterà solo attendere. Anzi, di solito gli attendisti sono i primi ad essere travolti dagli avvenimenti, almeno quando la storia si mette a correre.

Ma se lo scontro è reale, e le intenzioni sono serie, ci sarebbero allora tre cose da fare ed altrettante da non fare.

La prima: spiegare agli italiani cosa sta accadendo. Chiarire, con l’evidenza dei fatti, l’inaccettabilità del comportamento dei cani da guardia dell’oligarchia eurista, la loro volontà di schiacciare ogni esigenza sociale, di negare ogni sovranità democratica al nostro popolo, di dominare punto e basta. Da questa consapevolezza la necessità di resistere. Dunque l’annuncio di una fase difficile e perfino dolorosa, ma quanto mai necessaria alla ricostruzione del Paese. Le persone, specie la grande maggioranza che ha pagato e sta pagando la lunga crisi targata euro, capirebbero al volo.

La seconda: costruire e dimostrare compattezza, quella dei momenti difficili e cruciali. Certo, non è il 1943, ma vista la posta in gioco lo spirito dovrebbe essere quello. Non occultare dunque le grandi differenze politiche, ma far prevalere in questa fase la coesione sul punto principale, quello dello scontro con la tirannia dell’UE. E’ lì che tutte le forze vanno concentrate, che ogni altro fronte aperto serve solo a disperderle.

La terza: la mobilitazione, che senza di essa la politica va a chiudersi inevitabilmente nei palazzi. E lì sappiamo già chi sarebbe il vincitore. Mobilitazione significa in buona sostanza appello al popolo, in maniera larga ed estesa. Mobilitazione significa manifestare, ma non si esaurisce con la piazza di un giorno. Mobilitazione di massa significa che c’è un popolo che vuol essere parte attiva, non passivo telespettatore, di una battaglia che riguarda il futuro del Paese, delle classi popolari in primo luogo.  

Bene, ognuna di queste tre cose ha il suo opposto. La prima: anziché spiegare cosa sta accadendo, limitarsi a rassicurare che nulla di grave accadrà. La seconda: anziché costruire e dimostrare compattezza sulla questione principale, congegnare ed esibire ogni giorno le mille divisioni su quelle secondarie. La terza: anziché lavorare ad una mobilitazione popolare, organizzare delle semplici parate di partito, quasi il problema fosse la prossima campagna elettorale, non la resistenza e la vittoria sulle canaglie di Bruxelles.

Purtroppo la fotografia dell’oggi ci consegna esattamente le tre cose da non fare. Beninteso, abbiamo una certa età e mai ci siamo fatti troppe illusioni sui due populismi al governo. Ma sappiamo anche che nella storia esistono pure i processi oggettivi, ed il tempo della lotta di liberazione contro il mostro unionista è maturo. Per questo troviamo assurde le posizioni di certi sovranisti con la puzza sotto il naso, quelli che pensano che la lotta potrà svolgersi solo quando esisterà il PPSP (Partito Perfetto dei Sovranisti Perfetti). A volte dispiace ma la perfezione non esiste, e comunque la storia se ne infischia assai.

La nostra scelta è diversa e tale rimane. Non si contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo disconoscendo i processi reali. E quello in corso dal 4 marzo è appunto un processo reale. Ed a Bruxelles, Berlino e Francoforte su tutto ciò non hanno proprio dubbi. Il nostro campo, come sinistra patriottica, è dunque il campo populista. Ma proprio per questo siamo preoccupati della fotografia appena scattata sulle tre cose da non fare.

Tre cose che contengono altrettanti errori, di cui il primo è quello decisivo. Quello che spiega pure gli altri due. Stiamo parlando dell’illusione della crescita, quella che dovrebbe calmare i mercati, arrestare lo spread e dar fiato almeno fino alle elezioni europee. Poi lì, in quel passaggio, si annida una seconda illusione, quella di poter facilmente sbaragliare le forze sistemiche rovesciando gli attuali equilibri politici che governano l’Unione. Un’illusione catastrofica, albergante soprattutto in casa leghista, di cui ci occuperemo però in maniera specifica in un prossimo articolo.

Qui ci limitiamo invece a quella che possiamo definire “illusione economica”, o più esattamente “illusione economicista”. L’idea sparsa a piene mani secondo cui la manovra di bilancio basterebbe a rilanciare la crescita con tutto quel che segue.

Perché si tratta di un’illusione? Non perché, come pure è vero, la manovra abbia un carattere espansivo troppo modesto, ma perché essa non avviene in “ambiente sterile”, bensì dentro un conflitto nel quale le forze euriste – interne e non solo esterne – non daranno tregua neanche per un attimo.

Se fossimo in un “ambiente sterile”, cioè in condizioni sufficientemente normali, la crescita preventivata dal governo sarebbe non solo realistica ma quasi certamente sottostimata. E’ stato scritto in abbondanza come stavolta il moltiplicatore applicato alla crescita del Pil sia stato solo un prudentissimo 0,5 dell’incremento del deficit, quando in passato si è generalmente stimato un moltiplicatore 1 (tanto Pil in più quanto deficit in più). Dunque, in termini strettamente economici, gli esponenti del governo hanno tutte le ragioni nel contestare l’interessato pessimismo dei loro detrattori. Il problema è che questi ultimi hanno altre armi, politiche in primo luogo.

Siccome i signori dell’euro non daranno tregua, e la quotidiana lettura dei giornali è lì a dimostrarlo, non è difficile prevedere una ricaduta economica di questa offensiva. Purtroppo è ben noto come le “aspettative” in economia contino eccome. Magari non incideranno molto sui consumi, ma ben difficilmente non peseranno in maniera sensibile sugli investimenti privati. Si aggiunga l’attesa frenata dell’economia globale ed il quadro è fatto.

Il lavorio delle èlite nel determinare aspettative negative, se non addirittura catastrofiche sul piano economico, è davvero incessante. Sottovalutarlo sarebbe un errore. Esso è anzi il sintomo di come la battaglia decisiva sia iniziata. E se la scelta dei palazzi dell’Unione è evidente, non lo è meno quella dei potentati economici di casa nostra, tutti decisi a cacciare l’anomalia gialloverde, anche a costo di pesanti disastri economici.

Essi accettano pure di pagare oggi un prezzo economico, pur di vincere politicamente e rinsaldarsi come blocco dominante in prospettiva. Nella loro ottica è una sorta di investimento a medio termine. Ma se questa è la partita tutti possono capire quanto conteranno i decimali del Pil e quanto saranno invece decisive le mosse politiche.

Vediamo poi un ultimo aspetto: lo spread. Vanno bene, ed abbiamo scritto fin troppo su questo, tutte le iniziative tese a spuntare quest’arma, dai nuovi prodotti finanziari destinati alle famiglie ai rapporti internazionali sviluppati in tal senso. E’ però evidente come l’attuale livello dei tassi sia determinato non solo da elementi politici o dalla speculazione, ma anche (ed in maniera decisiva) dalla probabilità di uscita dalla moneta unica. I grandi avvoltoi della finanza internazionale prezzano cioè quello che per loro è il “rischio ridenominazione”, con ciò mostrandosi assai più preveggenti di quelli che insistono a giurare sulla “irreversibilità” dell’euro. Anche per questi simpatici signori, al pari dei guardiani dell’ortodossia ordoliberista e dei nostrani potentati, la battaglia decisiva è quella in corso.

Dall’altra parte della barricata, le cose sono dunque chiare. Quanto lo sono invece nel campo populista, quanto nella maggioranza di governo?

Ecco qui vorremmo sbagliarci, ma la sensazione non è positiva. Se la portata dello scontro è quella che è, qual è il senso delle quotidiane cagnare tra Lega e Cinque Stelle? Certo, i media ingrandiscono ogni cosa. Certo, gli avversari puntano a dividere. Certo, i Giorgetti da una parte e i Fico dall’altra ci mettono del loro. Tutto questo è vero, ma è evidente che c’è dell’altro.

Su Tap e “Decreto sicurezza” abbiamo già detto quel che pensiamo. Ora si aggiunge l’idea di azzerare la prescrizione, e su questo i Cinque Stelle hanno torto. Ma qui non vogliamo entrare nel merito di ogni provvedimento. Qui ci basta segnalare il non senso di questo stillicidio ai fini della battaglia generale.

Il problema fondamentale dell’Italia non sono né i migranti, né i condoni, né le questioni della giustizia. Naturalmente ognuno di questi temi è un problema. Ma non quello principale. Che è invece quello della riconquista della sovranità e della democrazia. Resistere alla violenza degli eurocrati di Bruxelles, questa è adesso la questione decisiva. Quella da cui tutto passa e dipende.

Concludiamo dunque tornando alle tre cose da fare: spiegare quel che accade, compattare il fronte di chi vuol resistere, chiamare alla mobilitazione.

Inutile dire che tutto ciò non dipende da noi, dalle nostre modestissime forze. Ma non rendersene conto equivarrebbe ad un suicidio. Ed inutile sarebbe a quel punto piangere sul latte versato. Il momento delle scelte è ora. Quello di smetterla con gli errori pure.