Per una volta si potrebbe dar ragione a Carlo Cottarelli. Riguardo all’esito della grottesca “trattativa ad oltranza” in corso a Bruxelles egli scrive su LA STAMPA di oggi:
«Meglio non scommettere ma, se dovessi farlo, punterei sul rinvio del giudizio: la Commissione non proporrà l’inizio di una procedura di penalizzazione per l’Italia, rinviando a primavera la valutazione finale».

Non credo tuttavia, fosse giusta l’analogia della partita di scacchi che stabilivo ieri riguardo al braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, che questa si possa concludere in uno stallo, in un pari. Certo, dopo questa partita ne comincerà un’altra, ma per come si stanno mettendo le cose essa rischia di concludersi con una cocente sconfitta di Di Maio e Salvini.

Sotto l’attacco di Bruxelles i due ragazzi, dopo avere detto che il 2,4% era una soglia invalicabile, hanno fatto retromarcia accettando il 2,04%, contestualmente dicendo ai quattro venti che malgrado ciò le loro misure bandiera sarebbero state applicate come promesso. Invece, dopo che la Commissione ha detto che quella parziale retromarcia non era abbastanza, il negoziato continua. La possibilità che il deficit venga portato, come esige la Commissione, sotto il 2%, sembra a questo punto l’esito più probabile.

I conti della serva sono infatti presto fatti: nelle condizioni di uno Stato che per finanziare la spesa pubblica deve fare la questua sui mercati, rispettando quindi una soglia del 2%, mancheranno i quattrini sia per “smontare” la Fornero sia per un “reddito di cittadinanza” alla larga platea delle famiglie che stanno sotto la soglia di povertà. Morale: avremmo una Legge di bilancio del tutto snaturata o, detto altrimenti, che non invertirà la spirale austeritaria. Tutto il contrario di quello che ci sarebbe bisogno, a maggior ragione se si entrasse in recessione nel corso del 2019.

A meno che….

A meno che Di Maio e Salvini non impongano a Tria (e Conte) di tornarsene subito a casa ponendo fine a questa pantomima chiamata “trattativa a oltranza”. Non solo disobbedendo a Bruxelles, ma facendo saltare i piani del Partito dello spread (alias: del vincolo esterno) che ha come sommo regista Mattarella coi suoi agenti sotto copertura Tria, Moavero e probabilmente lo stesso Conte. Quello che abbiamo definito già a giugno come il Cavallo di Troia nel governo.

Se non lo faranno, e sono in tempo per farlo, i due ragazzi ne usciranno con le ossa rotte poiché avrà vinto la Commissione europea che avrà così dimostrato che la Legge di bilancio italiana non la si fa a Roma, bensì a Bruxelles. Di qui l’esultanza dell’opposizione zombi di piddini e berluscones. Se non lo faranno adesso, cogliendo al volo l’eccezionale assist offerto dal popolo francese in rivolta, dovremo considerarli non solo pusillanimi ma dilettanti politici (allo sbaraglio).

Le prossime ore ci diranno dunque se Di Maio e Salvini avranno il coraggio di compiere il solo gesto che potrà evitargli l’umiliazione. Non è tanto la reputazione dei due ragazzi che a noi sta a cuore, quanto piuttosto che non vengano umiliati i tanti cittadini che, votandoli, hanno espresso, assieme alla speranza di porre fine allo stato di sudditanza del Paese davanti  all’eurocrazia, quella di farla finita con austerità e sacrifici che mentre impoveriscono il popolo lavoratore, arricchiscono i già ricchi.

Di Maio e Salvini, malgrado siano vittime della compulsione internettara, tacciono. Che questo loro improvviso mutismo sia segno di tranquillità non lo pensiamo. Esattamente il contrario. Non sono solo gli eurocrati che essi hanno contro, non solo il Cavallo di Troia. Essi hanno contro potenti frazioni politiche nei loro stessi partiti, frazioni che ubbidiscono al grande capitalismo e non vogliono rompere con l’eurocrazia. In questo quadro è evidente che rompere subito la trattativa implicherà la rottura con queste frazioni. Una rottura inevitabile se i due ragazzi non vorranno essere addomesticati.