E’ fatta dunque. Dopo uno psicodramma durato tre mesi governo giallo-verde e Commissione europea hanno trovato l’accordo.
Grazie al passo indietro del governo — 10 miliardi in meno di spesa in deficit, col che si accetta di procedere nella diminuzione del debito pubblico — la Commissione evita di avviare la famigerata “procedura d’infrazione”.
Entrambi i duellanti possono così cantare vittoria: il governo per aver difeso le due misure totemiche (reddito di cittadinanza e riforma della Fornero), la Commissione per aver ottenuto da Roma una maldestra accettazione delle “regole”.
E’ vero quel che Conte ha ribadito oggi in Parlamento, che il governo, avendo difeso le due misure totemiche del cosiddetto Reddito di cittadinanza e della riforma della Fornero “non ha ceduto sui contenuti”, ma è altrettanto vero che al momento esse restano promesse in quanto non ci sono le relative leggi e, più importante ancora, i suoi decreti attuativi. Per questo Bruxelles ha legato il suo lasciapassare ad una serie pesante di “condizionalità”, come a voler dire, “la pistola ce l’avete sempre puntata alla tempia e come sgarrate partirà il colpo delle sanzioni”.
Quale giudizio dare dunque? La risposta è duplice, va data sui due piani, quello del contenuto e quello del metodo.
Su quello del contenuto è stata sventata una Legge di bilancio austeritaria e rigorista come esigeva la Commissione. E questo è il bicchiere quasi mezzo pieno.
Sul piano del metodo (che in politica conta!) le cose vanno peggio che il bicchiere è più che mezzo vuoto. La compagine governativa (Salvini compreso) ha mostrato un dilettantismo imbarazzante e compiuto errori smisurati. Prima si è partiti lancia in resta contro Bruxelles dicendo che il deficit al 2,4% era la “linea del Piave”, poi si è finiti nella buffonata del… 2,04; ovvero piegandosi davanti alla minaccia delle sanzioni, riconfermando che le politiche economiche e di bilancio debbono essere scritte con gli eurocrati, dando così plastica conferma che l’Italia non è un paese sovrano poiché tenuto a rispettare il “vincolo esterno”.
In secondo luogo, pur avendo promesso di fare fuoco e fiamme, quelli del governo hanno fallito proprio sul piano della comunicazione politica, non avendo mai spiegato seriamente ai cittadini come funzionino i meccanismi proditori su cui si regge l’Unione, né tantomeno li hanno chiamati alla mobilitazione. Per restare al metodo, l’essersi impaludati in una trattativa che a tratti è sembrata grottesca, ha causato quel che è sotto gli occhi di tutti: che il Parlamento, oggi come prima, nulla conta ed è solo un passacarte di un esecutivo che a sua volta è vettore di indirizzi sovraordinati.
Armi letali in mano ad un’opposizione che pure è alla canna del gas…
Escono malconci da questo psicodramma i due principali protagonisti politici, Di Maio e Salvini, la cui reputazione politica risulta fortemente lesionata. Della loro iniziale baldanza (sorvoliamo sulla sua reiterata ostentazione) non resta adesso che l’ombra: entrambi hanno dovuto subire la regia di Mattarella, che alla fine l’ha spuntata grazie ai suoi scagnozzi nel governo e, sembra, anche a causa dell’abdicazione dello stesso Paolo Savona.
Ci sono tanti tipi di populismo, quello dei due è un populismo sciancato, parolaio. Dietro alla maschera leonina si celano due cani che abbiano ma non mordono.
La morale della favola è che con questi due condottieri il popolo italiano non andrà lontano.
Ps
Che il bicchiere sia quasi mezzo pieno è considerato niente dai “sovranisti senza sé e senza ma”. Non parliamo di certa sinistra sinistrata e autistica che in questi mesi, urlando che il governo doveva essere rovesciato, ha agito come truppa di complemento dell’élite neoliberista. Lasciamoli sbraitare. Ognuno comprende che per i tanti cittadini che hanno pagato a caro prezzo le politiche austeritarie degli ultimi venti anni, per quanto non sia la profonda svolta attesa e promessa, qualcosa si porta a casa.
E’ in sintonia con questo popolo che si deve stare, per aiutarlo a capire che nulla potrà davvero cambiare se esso, come accade in Francia, non irrompe sulla scena. Ora è vero che quel che vien fuori è che l’Unione europea è un nemico duro da vincere, ma è altrettanto vero che milioni hanno capito che essa è irriformabile.
E’ su questa consapevolezza generale che si dovrà fare leva nel prossimo periodo.