Che il governo giallo-verde sia disfunzionale ai poteri forti eurocratici è un fatto. Lo è altrettanto che esso sia la parodia di un governo autorevole che sappia quel che vuole.

Mentre ad Aquisgrana le due principali potenze dell’Unione siglano un patto di ferro che avrà ripercussioni serissime a scala globale qui da noi si cazzeggia, ci si azzuffa, non sulla deriva del Paese, bensì su quella di qualche decina di migranti al largo della Libia. Lo spettacolo, francamente, è penoso, compresa la pantomima della discordia con Parigi — ancora una volta, sui “migranti”, mica sul fatto che la potente finanza d’Oltralpe continua, senza incontrare ostacoli degni di questo nome, a fare shopping delle industrie del Bel Paese!?

Che l’Asse Carolingio tra Berlino e Parigi — il suo battesimo avvenne nel 1963 col Trattato dell’Eliseo tra De Gaulle e Adenauer — fosse l’architrave dell’Unione europea lo sapevamo.

Con la firma del Patto di Aquisgrana — non a caso capitale del Sacro Romano Impero e luogo di sepoltura di Carlo Magno — è avvenuto un salto di qualità. L’asse si consolida, diviene un vero e proprio sodalizio strategico. L’élite europeista italiana, messa come uno zimbello davanti al fatto compiuto, è in forte imbarazzo, e tenta di sminuire la portata del patto tentando di rubricarlo, con improbabile sufficienza, allo scatto d’orgoglio di due “anatre zoppe”, o di dargli una lettura politicista, come gesto tattico di contrasto in vista delle elezioni europee ai rinascenti nazionalismi e populismi o, infine, di una mera consacrazione della “Unione a due velocità”. Non è così. Non è solo così.

Al netto degli aspetti tecnici, economici e militari, comunque rilevanti, del nuovo trattato, [1] esso rivela la visione e le determinazioni delle frazioni capitalistiche dominanti nei due paesi — che da soli fanno il 50% del Pil dell’Eurozona —, quelle che nei decenni hanno accresciuto senza soste la loro intercompenetrazione. [2]

La visione carolingia, con buona pace dell’europeismo irenico, è presto detta e deriva da una diagnosi: l’Unione europea non tiene, le forze centrifughe sono preponderanti su quelle centripete, ed è quindi destinata a sgretolarsi. Berlino e Parigi fanno capire che essi non ritengono che dopo lo sfaldamento si potrà tornare allo status quo ante Ue, ad una Comunità concorde di stati nazionali formalmente sovrani. Essi considerano che le “inarrestabili” forze sotterranee che stanno dietro alla globalizzazione spingeranno forzosamente gli stati nazionali deboli e diventare vassalli delle grandi potenze geopolitiche, economiche e militari.

Qual è dunque la prognosi? Il Patto di Aquisgrana contiene due cose in un una: da una parte il messaggio alle tre grandi potenze mondiali (USA, Cina e Russia) che Germania e Francia rafforzano la loro intesa e saranno protagoniste della contesa imperialista mondiale; poi abbiamo un vero e proprio ultimatum agli attuali recalcitranti partner dell’Unione: o aggregate i vostri scassati vagoni alla locomotiva carolingia (rinunciando alle vostre vacue pretese sovrane), oppure, d’ora in avanti, vi considereremo zone ostili da colonizzare. Un ultimatum rivolto non solo ai paesi dell’Est europa (che tra l’incudine tedesca ed il martello russo invocano come vassalli la protezione americana) ma pure al all’élite italiana, che è posta davanti al dilemma: propaggine mediterranea del blocco carolingio o continuare a fungere da longa manus degli americani?

L’élite italiota pare divisa: una gran parte, quella di dogmatica fede europeista (non solo piddina) tifa per l’asse carolingio, un’altra, più tradizionalista, pende per restare sotto tutela americana. E il “governo populista”? E’ in stato confusionale, balbetta, parla d’altro. Più che navigare a vista si fa portare dalle correnti. Ma le correnti spingono in direzioni opposte, direzioni che potrebbero accentuare il dissidio tra Cinque Stelle e Lega portando alla fine del “governo populista”.

In questo contesto assume grande importanza la decisione che il governo vorrà prendere, per quindi inoltrarla al Parlamento, in merito cosiddetta “autonomia potenziata” rivendicata da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Al di là delle intenzioni degli “autonomisti” qui si manifesta la potente forza calamitante che spinge il Nord del Paese verso la Germania. Una forza che ove non venisse contrastata potrebbe condurre alla dissoluzione dello Stato nazionale. Che nel corpaccione della Lega il “nordismo” sia fortissimo è cosa nota. Vedremo presto se il “nazionalismo” salviniano sia una cosa seria o se non sia invece solo il Cavallo di Troia di chi punta a sfasciare il Paese. Un Paese che le elezioni del 4 marzo 2018 hanno confermato come già spaccato in due.

Il pallino è in mano ai Cinque Stelle che, se non per visione strategica (vattela a pesca quale essa sia), per rappresentanza d’interessi sociali dovrebbero opporsi al “secessionismo dei ricchi”.

Nessuno, né a destra né a sinistra, né tantomeno nel campo populista, avanza una visione indipendente, quella di un’Italia sovrana e indipendente, che giochi una sua propria partita geopolitica e storica. Tutti, ma proprio tutti, sembrano aver introiettato la narrazione (falsa) che la globalizzazione sarebbe inarrestabile, di qui la conclusione (altrettanto falsa) che non ci sarebbe futuro per stati nazionali sovrani, quindi non disponibili a farsi intruppare come vassalli in una contesa imperialista gravida di catastrofiche conseguenze.

Qui sta, oltre tutto, la funzione di una Sinistra Patriottica, quella di raggruppare le forze migliori del nostro Paese, certo attorno ad un progetto di Paese fondato sulla democrazia e l’eguaglianza sostanziale, ma un Paese che vuole contare nel mondo in virtù di una forza anzitutto politica e spirituale, come faro di una nuova civiltà. Ben sapendo, come insegnava Macchiavelli, che «Tutti e’ profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono».


NOTE

[1] Il Patto di Aquisgrana rafforza di molto gli istituti comuni tra i due paesi, tra cui il Consiglio dei ministri franco-tedesco e quello per la Difesa e la sicurezza. Quindi una maggiore cooperazione militare ed una più stringente cooperazione economica. I due paesi si sono garantiti assistenza anche militare in caso di aggressione armata (!), quindi la cooperazione delle forze armate e delle industrie attive nel settore della difesa sarà più stretta. Sul piano squisitamente economico, il Patto sancisce la creazione di una “zona economica franco-tedesca dotata di regole comuni” per “favorire la convergenza tra i due paesi e accrescere la competitività”: ergo: anche verso gli altri paesi intra-Ue, anzitutto l’Italia. Viene creato un Consiglio comune di esperti economici e stabilito un coordinamento per politiche neo-colonialiste comuni, anzitutto verso l’Africa. Infine (di qui la protesta dei Gilet Gialli) la trasformazione delle zone transfrontaliere (leggi anzitutto Alsazia e Lorena) in zone “speciali” come laboratori per sperimentare e avviare quella che a noi pare una vera e propria fusione federale futura tra i due stati.

[2] La Germania è il primo partner commerciale della Francia e il secondo più grande investitore estero nel Paese, oltre 4mila imprese tedesche operano in Francia con una forza lavoro oltre le 310mila unità ed un giro d’affari di 140miliardi. Da parte sua la Francia è un partner decisivo per la Germania: il secondo dopo gli Stati Uniti per esportazioni (106miliardi di euro nel 2017 e il terzo per importazioni dopo Cina e Olanda, 64miliardi). Secondo l’INSEE (l’istituto francese di statistica) 2.700 imprese francesi sono presenti in Germania dando lavoro a 363mila addetti.