Se ne leggono di tutte: il Pil cala a causa della politica del governo; no, è colpa di quello precedente. E’ per l’incertezza sui conti, sentenzia Visco; per i cantieri che sono chiusi, sproloquia Confindustria. Ma sarà solo per un altro semestre, tranquillizza Conte. No, sarà finché non ve andrete, dicono le opposizioni. (Nel grafico l’andamento del Pil dal 2006)

E’ come un impazzimento generale dove tutti, ma proprio tutti, hanno torto. Ed hanno torto perché anziché vedere la trave che opprime l’economia italiana da un ventennio, preferiscono guardare la pagliuzza che più gli confà per il quotidiano teatrino della politica.

Ma che è successo di così strano al Pil? Come leggere il calo degli ultimi mesi del 2018 (-0,1% nel terzo, -0,2% nel quarto trimestre)? E’ successo che il ciclo economico capitalistico volge verso il basso. E, come avviene da anni, il calo è più marcato in Europa. All’interno della quale l’Italia paga più degli altri la gabbia dell’euro. Insomma, la verità è che siamo nella norma. Quella norma da cui non si può uscire, altrimenti i “mercati” (cioè l’oligarchia finanziaria) ci puniscono con lo spread.

Ma davvero è così difficile da capire? Certo, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, ma qui non c’è più alcun limite alle sciocchezze.  

Vediamone alcune.

Per il governatore di Bankitalia il problema è quello dei conti, cioè del debito, cioè di un allentamento secondo lui eccessivo dell’austerità. Follia pura. Se fosse così, ci spieghi come mai l’austero Monti, nei suoi sei trimestri di governo, collezionò i seguenti risultati sul Pil: -0,9% (IV 2011), -0,9% (I 2012), ancora -0,9% (II 2012), -0,5% (III 2012), -0,5% (IV 2012), -1,0% (I 2013). Conte avrà tanti difetti, ma come capacità di deprimere l’economia nazionale è davvero un dilettante a confronto del professionista col loden. Per ora ha cumulato un -0,3% a fronte del -4,7% di Monti. Ma questo non si può dire, mica si può contestare la religione eurista!

Altra bufala: è colpa del governo perché non ha dato priorità agli investimenti. Sulla centralità degli investimenti, su quali settori puntare, abbiamo scritto a dicembre. Senza dubbio l’Italia deve recuperare, e molto, sia per quanto riguarda gli investimenti pubblici, che per quelli privati. Ma non vi pare che tutta questa improvvisa litania sugli investimenti (tutti ne parlano senza specificare alcunché) sia piuttosto sospetta?

Partiamo da Confindustria. Prima di parlare gli industriali dovrebbero infatti spiegarci due cose. Primo, come mai investono così poco nell’economia “reale”, preferendo invece la speculazione finanziaria? Secondo, com’é che si esalta sempre il privato, ma a tirar fuori i soldi dev’essere invece solo lo Stato?

Passiamo ora alle opposizioni. Facile parlare ora di investimenti, ma perché quando eravate al governo – cioè fino all’altro ieri – nulla avete fatto in tal senso? Non sarà per la vostra sacra osservanza ai vincoli europei? Eh già, perché il buffo è che tutti quelli che vogliono +Europa sono anche quelli che ora si lamentano per gli scarsi investimenti. Ma che forse le regole di bilancio europee non valgono anche, salvo qualche minuscola e temporanea eccezione, per gli investimenti?

Noi siamo per gli investimenti pubblici, ma Confindustria ed attuali oppositori dovrebbero almeno tacere sul punto. Che poi, diciamolo chiaro, anche se il governo fosse stato più coraggioso, come sarebbe stato necessario con la Legge di bilancio, che forse i risultati si sarebbero visti nell’immediato? Ma non scherziamo, che tra la decisione degli investimenti e la loro concretizzazione passano mediamente anni.

Dunque sono altri i motivi per cui il Pil cala. Tra questi ce n’è uno, il più importante, che giova ricordare sia agli industriali che a tutti gli adoratori del Beato Marchionne. Il Pil cala soprattutto per la diminuzione della produzione industriale. Un calo ciclico, come abbiamo detto, anche se magari qualche investimento (privato, in questo caso) male non avrebbe fatto.

L’industria è in calo costante fin dal primo trimestre 2018, ma prendiamo i dati di novembre, gli ultimi disponibili. In quel mese tutti i settori industriali, con le uniche eccezioni del farmaceutico e dell’alimentare, sono calati. Alcuni pesantemente, ma quello che ha battuto ogni record negativo è stato il settore auto. Il suo -19% (meno diciannove percento) ci spiega meglio di ogni altra cosa sia la debolezza strutturale dell’industria italiana che l’andamento negativo del Pil. E ci dice chi sono stati i grandi distruttori di quello che un tempo era il settore di punta dell’industria manifatturiera nazionale: la famiglia Agnelli e Sergio Marchionne. Ma di questo, ovviamente, non si parla mai.

Il “partito del Pil”, questo pittoresco raggruppamento che unisce tutti gli specialisti del “predicare bene, razzolando male“, ha dunque torto marcio. Ciò significa che abbia ragione il governo nell’immaginare un deciso boom nella seconda parte dell’anno? Vorrei sbagliarmi, ma temo proprio di no.

Sia chiaro, sia il Reddito di cittadinanza che “Quota 100”, nonostante i palesi limiti di queste due misure, daranno un discreto impulso alla crescita. Ma da quale base muoverà questo impulso? Questo è il vero problema. A spanne un contributo minimo del +0,5% appare più che ragionevole, ma se nel frattempo gli altri fattori spingono verso un -0,5% ecco che arriveremo ad uno zero tondo. E potrebbe anche andare assai peggio.

Il fatto è che oltre ai fattori ciclici – ai quali, finché stiamo nel capitalismo, è impossibile sfuggire -, oltre ad altri fattori esogeni, sui quali poco si può fare, resta il problema della gabbia europea e quello dell’aperto sabotaggio delle nostrane oligarchie. Da Bruxelles e Francoforte non hanno mai smesso di pressare sull’Italia, mentre i potentati nazionali nulla intendono concedere al governo. Vogliono riprendere in mano il bastone del comando politico, e per farlo sono disposti a tutto, anche a pagare un prezzo economico nell’immediato.

Inutile illudersi di addomesticare la bestia europea, come pure la borghesia compradora di cui sopra. Inutile illudersi sulla crescita, se non si ha il coraggio di rompere con gli uni e con gli altri. Per invertire il segno del Pil occorrerebbe intanto una nuova manovra anticiclica, dunque fortemente espansiva. Ovvio che non si potrà fare senza scontrarsi col blocco eurista, che infatti chiede già una “manovra correttiva”, ma esattamente di segno opposto: con nuovi tagli e nuova austerità.

Vedremo nelle prossime settimane se e come reagirà il governo alla recessione in arrivo. Di certo servirebbe una risposta seria e forte, cioè l’esatto opposto delle polemichette da bar di questi giorni.