Europee: la “sinistra sinistrata” in cocci. Vogliamo discutere del perché?
Stavolta evitiamo ogni ironia, che lo spettacolo offerto in queste settimane basta e avanza. Sicuramente la maggioranza dei nostri lettori già conosce gli ultimi passaggi di questa tragicommedia. Per chi invece non li conoscesse, proveremo a sintetizzarli di seguito. Ma lo scopo di questo articolo non è quello di entrare nei meandri di queste sconcertanti vicende, quanto piuttosto quello di trarne qualche elemento di riflessione.
A due mesi e mezzo dal voto europeo del 26 maggio, quella che noi chiamiamo sinistra sinistrata (e il perché lo avranno capito anche i sassi) è allo sbando. Il “progetto De Magistris” si è ufficialmente arenato, lasciando le varie componenti che dovevano sostenerlo a litigare fra loro. Come sempre, Giggino ha fatto i suoi conti, e quando la calcolatrice gli ha fornito il responso non ha perso un attimo a dare forfait. Si era presentato come una specie di Salvatore della patria, si è rivelato quel gran cuor di leone che già sapevamo… E che già si era visto nel 2012, quando scansò la battaglia mettendo in pista il sonnolento Ingroia. E fu il successo che ricorderete…
A questo punto Rifondazione rilancia l’idea di una generica lista antiliberista. Idea precisata da Paolo Ferrero, che sul Fatto Quotidiano di ieri parla di “casa dei movimenti”. Quando si dice l’originalità! Ma chi dovrebbe convivere in questa “casa”? E’ presto detto: «Vogliamo essere la casa dei movimenti, da Sinistra italiana a De Magistris, da Potere al popolo al movimento di Varoufakis».
Ah sì, ancora? Davvero interessante. Sembrerebbe che niente sia successo in queste settimane. Ora, i soggetti citati sono quattro. Di questi, tre hanno detto chiaramente di non volerne sapere: De Magistris perché non vuole rompersi l’osso del collo; il gruppetto di Varoufakis perché se ne sta andando verso la lista ultra-europeista di Verdi e Pizzarotti; Potere al popolo perché lamenta di essere stato scaricato dal Prc a favore di Sinistra Italiana.
Al povero Ferrero non resterebbe dunque che l’accoppiata con quel che rimane del partito di Fratoianni. Partito che pratica senza pudore le alleanze con il Pd, che si appresta a confermare pure quella con l’uomo-Tav Chiamparino in Piemonte, regione in cui si voterà in contemporanea con le europee. Quella tra Prc e Sinistra Italiana sarebbe davvero una triste e perdente accoppiata, altro che “casa dei movimenti”! Ma anche questa ipotesi pare dubbia, perché Sinistra Italiana per il momento sembra tenere i piedi in due staffe, lasciandosi aperta la strada di una confluenza con i bersaniani di Mdp-Articolo 1, a loro volta in dubbio (leggi qui quel che dice Speranza) tra una convergenza immediata nella lista del Pd, piuttosto che una solo rimandata alle elezioni politiche.
Volevo farla breve, ma il guazzabuglio è tale da aver reso impossibile l’impresa. Ora, però, fermiamoci qui con il racconto di quanto avvenuto. Più interessante soffermarci adesso su alcuni elementi di riflessione. Perché qui il problema non sono le elezioni europee, che andranno comunque male a tutti i protagonisti di questa storia, ma la ragione di tanta insipiente sterilità politica in un momento così ricco, invece, di evidenti potenzialità.
A mio modesto avviso le ragioni sono tre, ovviamente interconnesse tra loro. E sono ragioni che riguardano – sia pure con diverse gradazioni – tutte le componenti che hanno partecipato alla tragicommedia di cui abbiamo detto.
La prima ragione è ben descritta in ciò che è avvenuto. Anziché dedicarsi in primo luogo alla definizione di un proprio messaggio, di un proprio profilo chiaramente riconoscibile, ci si è giocati tutto sul ruolo del personaggio. In questo la sinistra sinistrata appare pure peggio di quella liberal-liberista. Certo che i personaggi contano, ma contano solo a partire dal messaggio che devono trasmettere. Se il messaggio manca, o è talmente generico da risultare evanescente, il leader può fare ben poco. Se poi si è addirittura sbagliato persona, come nel caso del pluri-rinunciatario De Magistris, la frittata è fatta. Ma il problema è a monte: inutile cercare un leader se non si hanno idee forti, efficaci, in grado di mobilitare, di scuotere le coscienze, di prefigurare un’alternativa, abbandonando i tabù e nominando il nemico.
Ecco allora la seconda ragione. Non è credibile approcciarsi alle elezioni europee, tanto più se si è forza di opposizione attualmente marginale assai, senza un chiaro discorso sull’Europa. Se il cincischiare delle forze governative rispetto a questo nodo è irritante, l’altreuropeismo di una sinistra che si vorrebbe “radicale” lo è ancor di più. E questo per il semplice motivo che non ci si può proporre come anti-liberisti senza essere al contempo concretamente anti-euristi. Che si sia tentato di mettere insieme l’altreuropeismo del Prc, con l’ultra-europeismo dei quattro seguaci di Varoufakis e sostanzialmente di Sinistra Italiana, fino all’euro-criticismo per quanto inconseguente di Potere al popolo, è il sintomo più lampante di una confusione politica ormai al di là di ogni immaginazione. L’euro e l’Unione Europea non sono riformabili. Ce l’ha dimostrato la storia di questi ultimi 10 anni. Dunque, o si lavora per uscire da questa gabbia, o la si accetta in tutte le sue conseguenze. Si può essere “radicali” senza dare una chiara risposta su questo punto? Evidentemente no, lo capirebbe anche un bambino. Ma perché la sinistra sinistrata è incapace di questa risposta?
Questa domanda ci porta alla terza ragione dell’incredibile sterilità propositiva di quest’area politica. Essa non può andare a fondo sul tema perché glielo impedisce il tabù della nazione. Questo tabù, di matrice chiaramente anarchica, fa a pugni con tanta parte della storia della sinistra novecentesca, ed in particolare con quella dei comunisti. I quali, in tante occasioni – in Italia durante la Resistenza al nazifascismo – non hanno esitato a legare la questione nazionale con quella di classe. Ovviamente questo legame non è dato una volta per tutte, non si presenta nella stessa maniera nelle diverse epoche, ma talvolta è l’elemento chiave della lotta di liberazione degli oppressi. Non porsi oggi (sottolineiamo oggi) questa questione, mentre il Paese è strozzato dalle regole e dai vincoli dell’euro-dittatura, significa stare fuori dalla realtà, avere un ordine di priorità che la stragrande maggioranza del popolo lavoratore mai potrà comprendere. E significa aver dimenticato uno degli elementi dell’abc della politica: quell’analisi concreta della situazione concreta, che un tempo a sinistra era un obbligo ed oggi sembra invece diventata una colpa.
Insomma, per recuperare i consensi persi, per conquistarne di nuovi, ci sarebbe bisogno di una ventata di aria fresca. Si preferisce invece prendere fischi per fiaschi, magari scambiando le piazze pro-Pd di Roma (9 febbraio) e di Milano (2 marzo) come sintomi di una vera mobilitazione popolare in atto, mentre esse servivano soltanto a rilanciare il principale partito sistemico con la nuova direzione zingarettiana.
Naturalmente, non tutti i protagonisti di questa storia andranno a finire un’altra volta nel nuovo centrosinistra in corso di allestimento. Tutti no, ma la maggioranza di loro certamente sì. Ma questo ce lo dirà il futuro. Nel frattempo, chi non vorrà morire da “sinistrato”, dovrà tirarsene fuori senza indugio. C’è un’altra sinistra da costruire: quella patriottica e per il socialismo. Non c’è più tempo da perdere.