Ragionando sul “cambiamento climatico” (1)

Questo è solo il primo di una serie di articoli che intendo dedicare alla questione del “cambiamento climatico”. Il tema ormai deborda da ogni dove, e la sua rilevanza politica è fuori discussione. Proverò allora a prendere il toro per le corna, affrontando di volta in volta vari aspetti, ragionando attorno ad essi senza proporre verità assolute, spesso avanzando dubbi, talvolta mettendo la famosa pulce nell’orecchio. Il tutto partendo però da una certezza: non ce la stanno raccontando giusta.

D’altronde, se non vi fosse questa chiara percezione, tutto questo lavoro non avrebbe senso alcuno. Nessuna pretesa, naturalmente, che questa convinzione sia condivisa. So già, anzi, che in molti non saranno d’accordo. Ma andando avanti col ragionamento spero almeno che si possa aprire finalmente un dibattito razionale. Poi, se qualcuno vorrà invece continuare a gridare al “negazionismo” faccia pure, che il termine squalifica soltanto chi lo usa.

Una precisazione prima di iniziare: “cambiamento climatico” e “riscaldamento globale” li troverete sempre tra virgolette. Questo per diversi motivi, che mi pare giusto spiegare. Le virgolette non vogliono dire che non sia in atto alcun cambiamento del clima, nessun riscaldamento (per quanto modesto) del pianeta. Esse vogliono ricordare anzitutto che questi cambiamenti sono la normalità storica, che dunque l’attuale richiamo ossessivo a queste formule si giustificherebbe soltanto in presenza di un chiaro stravolgimento dei cicli naturali. Non solo, le virgolette stanno anche a rimarcare l’uso politico, direi perfino ideologico, che viene fatto di questi concetti. Esse sono dunque lì a ricordare ad ogni passo il dissenso di chi scrive.

La giornata del 15 marzo, il cosiddetto Fridays For Future, è ormai alle nostre spalle. Poco prima di queste manifestazioni, Programma 101 ha deciso di intervenire sul tema con un proprio comunicato. A questo ed altri articoli, pubblicati in questi giorni su sollevAzione, sono seguiti numerosi commenti, alcuni dei quali piuttosto critici.

Intendiamo considerare seriamente tutte queste critiche: quella di chi ci dice che stiamo prendendo una cantonata bella e buona; quella di chi, pur ammettendo la strumentalizzazione delle èlite, ritiene che stia comunque nascendo un movimento in grado di sviluppare una critica radicale all’attuale modello di sviluppo; quella di chi, sempre riconoscendo la strumentalizzazione di cui sopra, ci dice in sostanza che allo scopo di difendere l’ambiente tutto fa brodo, pure le bufale.

Invece non tutto fa brodo

Oggi ci occuperemo solo di quest’ultima critica, apparentemente fondata e di buon senso. In fondo, si dirà, se riusciremo a ridurre la CO2 e gli altri gas serra, magari al clima non gli facciamo un baffo, però comunque la qualità dell’aria non potrà che migliorare. Dunque, se bufale narrative ci sono, esse vanno ingoiate a fin di bene.

Già, le bufale! Ora qui bisogna esser chiari. O siamo solo noi a vederle, nel qual caso accettiamo volentieri l’indicazione di un buon oculista, o le vedono anche altri. Propenderei senz’altro per la seconda ipotesi, anche se è abbastanza sconcertante vedere come in tanti sorvolino su questo aspetto, quasi che fosse del tutto secondario. Ma se le bufale ci sono, ed andando avanti ne vedremo un numero impressionante, bisognerà pur dire chi guida la mandria. E siccome tutto il sistema mediatico occidentale ha sposato senza indugio la narrazione catastrofista, sappiamo almeno chi è il conducente, che coincide appunto con i centri del potere oligarchico che quei media possiede e controlla.

Possibile che da quei Palazzi possa venire qualcosa di buono? Il sottoscritto, che pure è un inguaribile ottimista, ha una certa difficoltà a crederlo. Quali interessi si nascondano allora dietro all’attuale campagna è un tema interessante, che dovrebbe quantomeno incuriosire chiunque voglia uscire dall’attuale sistema di dominio. Non solo, chiunque abbia un qualche interesse per la verità delle cose.

A questo proposito, Programma 101 – nel testo già menzionato – ha così scritto:

«Sono tre le ragioni fondamentali per le quali l’oligarchia mondialista diffonde questa narrazione.
La prima è di carattere economico. Se la fuoriuscita dall’età del petrolio è senz’altro positiva, non possiamo però non vedere i potentissimi interessi che spingono ad ogni esagerazione possibile sul “global warming”. Il capitalismo in crisi vede in questa transizione una nuova età dell’oro, ed i signori del business agiscono di conseguenza.
La seconda ragione è di carattere più generale. Da anni le èlite sanno governare solo con la paura ed il catastrofismo. Brexit? La Manica si allargherà e finirete inghiottiti nell’Oceano. Uscita dall’euro? Sarà solo un disastro. Rivedere le regole di bilancio? Farete morire di fame i vostri figli. Paura, paura, paura. E’ chiaro come con la paura del domani si voglia impedire ogni lotta per il cambiamento nel presente.
La terza ragione è la più importante. La globalizzazione è in crisi, ma l’allarme climatico potrebbe essere il trucco per rilanciarla. Cosa c’è di meglio, infatti, di una narrazione che vede l’umanità sotto la Spada di Damocle del disastro climatico, per imporre ancor più una globalizzazione basata sulla necessità di un comando politico planetario? Le multinazionali, le grande banche d’affari, i principali centri del potere finanziario, remano tutti in questa direzione. Così pure le attuali èlite politiche, che eviterebbero in questo modo la gran seccatura delle elezioni nazionali
».

Davvero non mi sembra poco. Ma forse a queste motivazioni di fondo se ne aggiunge un’altra più immediata e concreta.

Ma prima di arrivarci facciamo un passo indietro. Che in materia ambientale non tutto “faccia brodo” ce lo dimostra anche la vicenda del Tav. Se assumessimo il “riscaldamento globale” come il male assoluto che ci stanno raccontando; il mostro che racchiude, esemplifica ed amplifica ogni problema ecologico, è ovvio che il Tav andrebbe visto positivamente. Questo anche se dovesse spostare ben poche merci dalla gomma alla rotaia, perché anche quel poco sarebbe sempre meglio di nulla nella lotta con la terrificante prospettiva che ci stanno narrando.

Il rilancio del nucleare: non sarà forse questo il vero obiettivo?

Ma il Tav, pur se questione importante e dall’alto valore simbolico, è in fondo una cosa che interessa solo in Italia. In ballo potrebbe esservi molto, ma molto di più. E qui veniamo appunto a qualcosa che è ben più corposo di una semplice pulce nell’orecchio. Stiamo parlando del nucleare, questione che – probabilmente sbagliando – pensavamo di aver archiviato con la catastrofe della centrale atomica giapponese di Fukushima.

Ora, se si vuole rilanciare il nucleare, non c’è nulla di meglio di una terrificante campagna sulla fine della vita sul pianeta causata dalla CO2. D’altronde, se davvero noi avessimo torto, se dunque il “cambiamento climatico” avesse la natura e la portata che ci descrivono, non vi sarebbero davvero altre soluzioni di pari efficacia. L’unica via, piaccia o non piaccia (e a noi non piace proprio per nulla) sarebbe quella dell’elettrificazione integrale del sistema energetico, in parallelo con la nuclearizzazione spinta del sistema elettrico.

Ovvio che vi sarebbero anche altre possibilità, come quella – che noi sosteniamo senza indugio da sempre – delle energie rinnovabili. Ma questa via sarebbe comunque assai più lenta, mentre oggi la parola d’ordine messa in bocca a giovani inconsapevoli è solo una: “non c’è più tempo”. Chiaro come con questa visione alle rinnovabili toccherebbe sì un ruolo, ma solo complementare, non sostitutivo del nucleare.

Dal punto di vista capitalistico la resurrezione atomica sarebbe una manna come poche altre. Rispetto alle fonti rinnovabili – anch’esse peraltro assai appetite dal mondo del business – col nucleare si avrebbe una straordinaria concentrazione finanziaria, politica e tecnologica. Sarebbe di gran lunga il più grande colpo mai riuscito sia per le multinazionali del settore, che per le maggiori banche d’investimento a livello mondiale.

Non mi dilungo qui sui danni all’ambiente ed alla vita prodotti dalle centrali nucleari, con centinaia di incidenti gravi accertati in tutto il mondo, oltre alle due grandi catastrofi di Chernobyl (1986) e di  Fukushima (2011). Ma mentre fino a qualche tempo fa si avevano frequenti notizie di perdite radioattive un po’ in tutto il mondo, dalla Francia alla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti al Giappone; adesso, da alcuni anni, tutto tace. Che le centrali nucleari siano diventate tutte (e contemporaneamente dappertutto) a prova di incidente, è cosa risibile assai. Dunque la spiegazione è un’altra: tutti gli incidenti occorsi negli ultimi tempi sono stati volutamente silenziati. Ma silenziati solo per tutelare il parco reattori ancora esistente, o anche per preparare la prossima mossa? Con ogni probabilità la seconda ipotesi è quella giusta.

Ora, è vero che il settore vive oggi una crisi evidente. Pur se con qualche importante eccezione, di nuove centrali se ne fanno ben poche in giro per il mondo, mentre i reattori fuori servizio aumentano. Guardando all’Europa, dopo che l’Italia ha abbandonato definitivamente ogni velleità nuclearista con il referendum del giugno 2011, altri Paesi (in primo luogo la Germania) hanno comunque definito piani di progressiva fuoriuscita dall’energia atomica entro qualche anno (nel caso tedesco entro il 2022). Il quadro sembrerebbe dunque quello di un declino apparentemente inarrestabile. Ma è davvero così? Talvolta le apparenze possono ingannare, mentre le illusioni della tecnica son sempre pronte a partorire nuovi imbrogli. E temiamo che il fuoco nucleare possa riemergere dalle ceneri dei suoi immani disastri proprio grazie al catastrofistico allarme sul clima.

Immaginatevi ora, dopo magari anni di bombardamento mediatico sul “riscaldamento globale”, l’annuncio di un nuovo tipo di reattore, certamente presentato come qualcosa di completamente diverso da quelli precedenti, come intrinsecamente sicuro ed a prova di bomba. Immaginatevi che questa prospettiva venga subito benedetta come salvifica dalle famose istituzioni internazionali, dall’ONU all’UE, e soprattutto dal solito IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) di cui avremo modo di occuparci nei prossimi articoli. Certo, non tutti chinerebbero la testa davanti alla lobby del nucleare, di sicuro non noi, ma dopo la campagna sui “cambiamenti climatici” la resistenza rischierebbe di ritrovarsi ridotta assai.

E’ questa una preoccupazione infondata, una roba da complottisti? Non lo pensiamo proprio. Certo, nessuno ha la sfera di cristallo. Tantomeno possiamo prevedere i tempi, ma l’ipotesi che qui avanziamo ci sembra decisamente plausibile, il pericolo dunque evidente.

Ecco perché insistiamo su come non sia affatto vero che in materia ambientale tutto faccia brodo. Spostando totalmente l’attenzione sul “cambiamento climatico”, si rischia di non vedere più non solo i pericoli del nucleare, ma tutte le emergenze legate alle altre forme di inquinamento dell’aria (non tutti gli inquinanti sono gas serra), del suolo, delle acque (dalle sorgenti alle falde, dai fiumi al mare), del cibo, degli ambienti di lavoro. E questo mentre altri tipi di inquinamento – uno per tutti: quello elettromagnetico – trovano ben di rado spazio nei media e nel dibattito pubblico.

Ormai si parla solo di aumento della temperatura, di “eventi estremi”, di “innalzamento dei mari”. Questo per dirci che “siamo tutti responsabili”, “tutti sulla stessa barca”, mentre i veri responsabili dell’inquinamento se ne stanno tranquilli sui loro yacht più forti che mai.

Ora qualcuno dirà che la sensibilità ambientale, ormai così diffusa un po’ dovunque, impedirà che il trucco nucleare che qui abbiamo ipotizzato possa un giorno realizzarsi. Speriamo che sia così, ma come esserne certi? Di sicuro buona parte del vecchio mondo ambientalista ha già saltato il fosso da tempo. In Italia colui che meglio rappresenta questo passaggio è il sig. Chicco Testa, transitato in breve tempo dalla direzione di Legambiente al ruolo di fiero lobbysta dell’industria nucleare. E qual è, da ormai un ventennio, l’argomento principe di costui? Semplice, quanto prevedibile: che il nucleare consente di ridurre il ricorso ai combustibili fossili, vero male assoluto del nostro tempo. Certo, come “ambientalista” Testa è bruciato da quel dì, ma se il “cambiamento climatico” diventa l’alfa e l’omega di ogni discorso sull’ambiente, ben presto anch’egli potrebbe tornare in auge.

A questo punto spero si sia capita la ragione per cui noi preferiamo lanciare l’allarme, denunciare l’inganno dell’attuale narrazione, cercare di individuarne i veri motivi. Attenzione dunque alle illusioni, che il dolore dei dominanti per il clima non è certo privo di interessi. Attenzione a non farsi guidare dai disegni del nemico. Attenzione a non passare dalla padella dei combustibili fossili alla brace di un nucleare che potrebbe risorgere. Attenzione!