Nel nostro precedente articolo abbiamo cercato di mettere una pulce nell’orecchio su uno dei diversi motivi – certo non l’unico – che possono spiegare l’attuale narrazione catastrofista sul clima: il nucleare. Che non si tratti affatto di un’ipotesi strampalata, ce lo dimostra l’iniziativa intrapresa da Bill Gates, segnalataci da un nostro lettore (Filippo), e prontamente messa in luce da sollevAzione.

L’articolo, come altri precedenti interventi (leggi qui e qui) ha suscitato un certo interesse e diverse critiche. E’ giusto e naturale che sia così. Da parte nostra siamo partiti da un’unica certezza: che non ce la stanno raccontando giusta.

In questo secondo articolo avrei voluto iniziare ad entrare nel merito, spiegando le ragioni per cui penso che in materia di “cambiamento climatico” le bufale interessate siano di gran lunga superiori ai pur legittimi motivi di preoccupazione. Lo farò invece nel prossimo intervento, perché prima bisogna fare chiarezza su un luogo comune che va spazzato via: quello – presente in molti commenti, e comunque diffusissimo nei media e nell’opinione pubblica – secondo cui nella comunità scientifica non vi sarebbero incertezze sulla teoria del “Riscaldamento Globale Antropogenico” (AGW l’acronimo in inglese).

Secondo questa tesi ad avanzare dubbi sarebbero soltanto complottisti svitati ed incorreggibili, lobbisti del settore petrolifero, od ignoranti perfetti semplicemente ignari dell’imminente catastrofe. Ovviamente chi scrive non è un climatologo, come non è tantissime altre cose. Ma, a parte il fatto che anche la stragrande maggioranza di chi è certo del “cambiamento climatico” non ha spesso competenza alcuna, è forse un male provare a ragionarci su? Se la “Verità” ci viene oggi da una sedicenne svedese, avremo anche noi almeno il diritto di dire ciò che si pensa?

In ogni caso – e questo è l’oggetto dell’articolo – non è affatto vero che sul “riscaldamento globale” il mondo della scienza sia unanime. E’ vero, invece, che gli scienziati che dissentono dalla narrazione ufficiale hanno subito un po’ tutti un graduale processo di marginalizzazione. Insomma, il “pensiero unico” non scherza. Ed il potere economico e politico che lo sostiene ancor meno. Ma tutto ciò è naturale, basterebbe solo non negarne l’evidenza.

Un piccolo esempio

Voglio partire da un piccolo esempio su come vengono date certe notizie. Scrive un nostro lettore – Pugacev – che: «il dibattito sul contributo o meno delle forzanti antropogeniche al cambiamento in atto è tale solo al di fuori della comunità dei ricercatori in materia». Un’affermazione apodittica, basata su un’analisi del consenso scientifico attorno alla tesi dell’AGW, compiuta da un gruppo di ricercatori di università nord-americane, inglesi ed australiane. Un metodo, quello del “consenso”, peraltro assai discutibile, dato che la verità scientifica non dovrebbe esser decisa a maggioranza. Ma lasciamo perdere, che qui c’è una questione ancor più grossa.

Secondo Pugacev – ma la sua è l’esatta interpretazione ufficiale dello studio in oggetto – proprio non vi sarebbero dubbi su quel che pensano gli scienziati. Del resto la conclusione dello studio, da lui citata, proprio non lascerebbe scampo: «Il numero di articoli che negano l’RGA (acronimo in italiano dell’AGW, ndr) è una proporzione minuscola della ricerca pubblicata, la cui percentuale decresce leggermente nel tempo. Tra gli articoli che esprimono una posizione sull’RGA, una percentuale schiacciante (97,2%, basata sull’autovalutazione, il 97,1% basata sull’analisi degli abstract) supporta la posizione condivisa sull’RGA».

Insomma 97 a 3, ma di cosa volete discutere? Così vorrebbe farci intendere tutto il circo mediatico, ricordandoci questo punteggio da partita di rugby tra Nuova Zelanda e San Marino. Ma stanno così le cose? Assolutamente no. Ed a dirlo non siamo noi, ma lo stesso studio arrivato a quelle conclusioni. Il che è vagamente surreale, ma forse anche istruttivo di come procede talvolta la scienza.

Leggetevi attentamente lo studio (per i più pigri è sufficiente l’abstract) e capirete il perché quella conclusione è nella sostanza semplicemente falsa. Nella sostanza, perché invece la forma l’hanno ovviamente salvata. Ma proprio qui sta il trucco.

Vediamo di che si tratta. Lo studio ha analizzato il consenso alla teoria dell’AGW nella letteratura scientifica sottoposta a peer review (la cosiddetta “revisione paritaria”). Sono stati esaminati 11.944 abstract relativi ai temi “cambiamento climatico globale” e “riscaldamento globale”. Il risultato è che il 66,4% degli abstract non ha espresso alcuna posizione sull’AGW, il 32,6% si è espresso a favore, l’1% contro.

Dunque, solo il 32,6% si è detto esplicitamente convinto della teoria, mentre nulla sappiamo di ciò che pensa la maggioranza assoluta del 66,4% che ha preferito non esprimersi. Ora, qui non può valere il principio del “chi tace acconsente”, che è invece la “spiegazione” che gli autori dello studio forniscono al punto 4, nel tentativo di nascondere un certo imbarazzo. Se ricercatori che si sono applicati non al tema del clima in generale, ma a quello più specifico dei “cambiamenti climatici”, hanno ritenuto di non esprimersi neanche con una parola sulla teoria dominante qualche ragione ci sarà. Certo, come sostiene lo studio, qualcuno l’avrà fatto perché ritiene la teoria scontata, ma qui stiamo parlando dei due terzi esatti degli articoli scientifici esaminati! Ragionevole pensare, dunque, che molti altri abbiano invece dei forti dubbi sulla teoria dell’AGW, che altri ancora ritengano comunque l’incidenza delle attività umane minima, che in tanti (anche tra chi ha espresso il suo consenso) pesi la paura di finire in qualche “black list” capace di interromperne la carriera.

In ogni caso la conclusione dello studio, dunque anche la notizia, avrebbe dovuto essere che la maggioranza dei ricercatori non ha ritenuto di esprimersi sulla teoria dell’AGW. Ed invece, conclusione e notizia, hanno sintetizzato il tutto con l’azzittente 97 a 3 che ci ricorda anche l’esito di certe elezioni in Bulgaria. Complimenti vivissimi a cotanta obiettività!


Chi critica la teoria dell’AGW?

Passiamo ora dai numeri alle persone. Chi sono i pericolosi soggetti che s’arrischiano a contestare la “Verità assoluta” dell’AGW, quelli cioè che non se la bevono, quelli che vengono etichettati come “negazionisti” dalla macchina del fango del “politicamente corretto”? Magari molti si aspetteranno di trovarvi i sostenitori delle scie chimiche, o (oggi è più di moda) gli adepti di qualche setta terrapiattista. E, invece, vi troveranno un numero insospettabile di autorevoli scienziati, sia a livello mondiale che nazionale.

Scienziati che non negano i “cambiamenti climatici”, ma li ritengono in larghissima misura come il frutto di fattori naturali, non antropici. Scienziati che in ogni caso mettono in guardia dal catastrofismo, che contestano le metodologie dell’IPCC. Scienziati che denunciano il potere dei soldi, nonché l’influenza degli interessi politici, in ambito scientifico. Scienziati dunque pericolosi.

Naturalmente, chi scrive – pur condividendo tutte le messe in guardia di cui sopra – non sottoscrive ogni affermazione di costoro. Anche perché, pure nel campo dei critici del “riscaldamento globale”, esistono, com’è giusto che sia, approcci e posizioni diverse.

Tuttavia una cosa è certa: gli scienziati che si dissociano dalla teoria dominante non sono certo un piccolo drappello. Vi sono premi Nobel, fisici di primissimo livello ed autorevoli climatologi.

Una breve rassegna a livello internazionale

Partiamo dal Nobel per la Fisica 1973, il norvegese Ivar Giaever. Pur essendo stato tra i 70 Nobel che nel 2008 avevano pubblicamente appoggiato l’elezione di Obama alla presidenza degli Stati Uniti, egli così diceva nel 2015 all’inquilino della Casa Bianca a proposito delle sue posizioni sul clima: «Scusami mr President, ma hai torto, completamente torto».

Secondo il fisico «il global warming è diventato una nuova religione, non se ne può discutere, è una verità incontrovertibile, è come una Chiesa». E proprio a causa del concetto di “incontrovertibilità”, espresso dall’American Physical Society, Giaever si è dimesso nel 2011 da quell’associazione.

Ma torniamo al suo discorso del 2015, tenuto al Lindau Nobel Laureates Meeting. Dopo aver messo in discussione l’adeguatezza dei sistemi di rilevamento delle temperature, così si è rivolto all’allora presidente americano: «Obama ha recentemente dichiarato che nessuna sfida pone un pericolo maggiore per le generazioni future del riscaldamento globale. Questa è un’affermazione ridicola. Gli Stati Uniti probabilmente uccidono quotidianamente centinaia di persone, hanno probabilmente ucciso mezzo milione di persone nelle guerre degli ultimi dieci anni ed il problema maggiore che affronta Obama sono i cambiamenti climatici? Come può affermare una cosa del genere? Voglio dire questo ad Obama: mi scusi signor Presidente ma lei si sbaglia! Si sbaglia terribilmente!».

Prima di Giaever, un altro importante fisico – Harold Lewis – si era dimesso dall’American Physical Society. Degni di nota i motivi del suo attacco all’associazione. Segnalando l’insabbiamento dello scandalo del “climategate” (ne riparleremo), Lewis denuncia i condizionamenti economici alla ricerca scientifica:

«Come sono cambiate le cose, ora. I giganti non calcano più la terra, e i flussi di denaro sono diventati la raison d’être di molta della ricerca fisica, il sostentamento vitale di una sua porzione ancor maggiore, e forniscono il sostentamento ad un indicibile numero di occupazioni professionali. Per ragioni che diverranno presto chiare, quel mio orgoglio di essere stato per tutti questi anni un Membro dell’APS è stato trasformato in vergogna, e sono costretto, senza alcun piacere in questo, a rassegnare le mie dimissioni dalla Società. Naturalmente è stata la frode del riscaldamento globale, con le (letterali) migliaia di miliardi di dollari che la alimentano, che ha corrotto così tanti scienziati e ha governato l’APS come un’onda anomala. Si tratta della più grande e riuscita frode pseudoscientifica che abbia mai visto nella mia lunga carriera di fisico. Chiunque abbia il minimo dubbio su questo, dovrebbe costringersi a leggere i documenti del ClimateGate, che parlano chiaro… Non credo che un vero fisico, un vero scienziato, possa leggere quella roba senza un senso di repulsione. Di quella repulsione farei quasi la definizione della parola ‘scienziato’».

Richard Lindzen è uno dei più autorevoli climatologi al mondo. Dopo aver partecipato ai lavori dell’IPCC (è l’autore del capitolo 7 del Terzo rapporto – 2001), è diventato un critico severo della teoria del “global warming”. «Se la Terra scotta non è colpa nostra», è il titolo di una sua intervista rilasciata a Tuttoscienze, l’inserto scientifico de La Stampa, il 26 settembre 2007.  Rispondendo a Gabriele Beccaria, Lindzen polemizza col pensiero unico che si è imposto – «molti scienziati che la pensano come me tacciono perché hanno paura di perdere fondi e credibilità» -, denuncia che i modelli utilizzati sono sbagliati, afferma che i rapporti dell’IPCC nessuno li ha mai letti per intero.

Che la Terra si scaldi è vero, egli ci dice. E le emissioni prodotte dalle attività umane hanno dato un contributo, ma le paure diffuse sul “cambiamento climatico” non sono giustificate: «Ciò che in tanti, e anche molti scienziati, non capiscono è che l’unica certezza che abbiamo sul clima è che sta cambiando. La Terra, però, si è sempre scaldata e raffreddata di qualche decimo di grado ogni anno. E, se si studia la storia del Pianeta, si nota che non c’è mai stata una temperatura “perfetta”. Gli allarmi si basano su un falso assunto… Che viviamo in un mondo perfettamente stabile. Così si elaborano previsioni sul 2040 o sul 2100, costruendole su lunghissime catene di eventi, che diventano sempre più imprevedibili via via che i tempi si allungano. E alla fine l’attendibilità è pari a zero».

Naturalmente, i nomi citati sono solo alcuni dei più importanti. In realtà, il numero degli scienziati critici, pur rimanendo una minoranza rispetto ai sostenitori del “riscaldamento globale”, è piuttosto elevato. Un’opposizione che ha dato vita a diversi appelli. Tra questi ricordiamo l’Heidelberg Appeal (1992), firmato da oltre 4mila scienziati, tra i quali 72 premi Nobel, seguito nel 1995 dalla Dichiarazione di Lipsia. Ma l’appello più noto è quello conosciuto col nome di Oregon Petition, sottoscritto da oltre 31mila scienziati.

L’autorevolezza scientifica dei promotori e dei firmatari di questi appelli è stata sempre messa violentemente in discussione dai sostenitori del “riscaldamento globale”, i quali denunciano la natura lobbistica – a favore delle fonti fossili – di quelle iniziative.

Personalmente mi sento di dire tre cose in merito a tutte queste polemiche. La prima, è che se certo non si può giurare sull’autorevolezza (e sull'”innocenza“) di tutti i firmatari, è assai evidente la presenza tra di essi di scienziati di primissimo piano. La seconda, è che se tra di loro vi sono certamente dei lobbisti, la stessa cosa può dirsi anche di esponenti del fronte avverso. La terza – per me assai importante – è che il contenuto di quegli appelli è effettivamente improntato ad una visione produttivista e sviluppista che non fa i conti con la devastazione ambientale che il pianeta sta subendo.

Dunque, per quanto mi riguarda, quegli appelli dicono cose giuste, laddove mettono in guardia dal catastrofismo, ricordandoci i cambiamenti climatici da sempre avvenuti, ma propongono una critica alla teoria del “global warming” che rischia di essere controproducente. Una critica probabilmente giusta sul piano scientifico, ma motivata con un apparato concettuale di tipo “progressista” che rischia di portarci completamente fuori strada.

Questa almeno è la mia opinione. Quel che qui ci interessa dimostrare è però un’altra cosa, e cioè che nel mondo scientifico il consenso alla teoria dell’AGW è tutt’altro che unanime. Un quadro che troverà conferma spostandosi dal livello internazionale a quello italiano.

La “sorpresa” italiana

Venendo all’Italia “scopriremo” essenzialmente tre cose, tutte assai significative. La prima, la più nota, è la netta opposizione alla teoria dell’AGW di due fisici molto conosciuti anche dal grande pubblico (Carlo Rubbia ed Antonino Zichichi). La seconda sta nel giudizio tagliente di uno dei più famosi divulgatori scientifici (Roberto Vacca). La terza, la più importante, risiede nella forte critica alla teoria dominante di due illustri scienziati (Guido Visconti e Franco Prodi), sicuramente due tra i migliori climatologi del nostro Paese. Insomma, in Italia il fronte critico è piuttosto forte, ma tutto ciò può risultare del tutto sorprendente ad un’opinione pubblica quotidianamente bombardata h24 dal partito unico del “global warming”.

Su Rubbia e Zichichi la facciamo breve. Ovviamente, anche nel loro caso, non tutto ciò che dicono è condivisibile. Ma stiamo pur sempre parlando di un premio Nobel per la Fisica (1984) e dell’ex presidente della Società Europea di Fisica. Liquidarli perché non sono dei climatologi, o peggio, in virtù della loro non più tenera età (come pure ci è capitato di leggere ed ascoltare), pare davvero troppo. Anche perché il peso dell’esperienza andrebbe sempre considerato.

Di Zichichi va segnalato in ogni caso un concetto. «Si facciano leggi che puniscano severamente l’inquinamento senza confondere i veleni con le problematiche climatologiche, come sono CO2 ed effetto serra», risponde a Nicola Porro che lo intervista nel 2015. Ecco, questo è il concetto chiave che condividiamo: una cosa è l’ambiente (e la necessaria lotta per preservarlo e migliorarlo), altra cosa è il clima, spesso chiamato in causa del tutto a sproposito.

Veniamo adesso a Roberto Vacca. Affrontando con prudenza il tema già nel 2005, così scriveva: «E’ strano che queste teorie siano state accettate così largamente, dato che solo il 15% dell’effetto serra dipende dal CO2 (predomina nettamente l’effetto del vapore acqueo e anche il metano ha un effetto sensibile). L’argomento è critico: esiste davvero un rischio grave? I pareri sono divisi».

Questa prudenza viene decisamente abbandonata nel 2013, quando affermerà che: «Quando parliamo del clima tutte le storie che raccontano sul riscaldamento climatico causato dall’azione degli uomini sono profondamente sbagliate. Non c’hanno capito niente». Ora qualcuno obietterà che Vacca è “solo” un divulgatore scientifico, sicuramente bravo e simpatico ma nulla più. Ci permettiamo di dissentire profondamente, dato che il suo approccio scientifico – nel tentativo «di capire chi abbia ragione tra tanti esperti in disaccordo», egli dice» – ci pare decisamente serio.

Dopo Rubbia, Zichichi e Vacca, arriviamo adesso ai climatologi. Guido Visconti, intervistato nel 2011 sulle cause delle alluvioni di quell’anno, così si esprimeva su Rai Televideo: «Quella dei “cambiamenti climatici” è ormai una questione politica, perché evidenze scientifiche non esistono. Per stabilire se sta cambiando o meno il clima in una certa regione dobbiamo fare delle medie su 50 anni. L’unico dato certo, solido, è che la temperatura è aumentata di frazioni di grado in 50 anni. Il resto sono tutte illazioni: chi la gira in un modo, chi in un altro, ma di fatto non esiste nessuna prova scientifica che ci siano variazioni nel regime delle piogge o delle nevi».

Alla giornalista che insiste, chiedendo se è dunque il surriscaldamento del pianeta la causa dell’abbondanza di quelle piogge, Visconti così risponde: «Questo non si può dire. Anche se la temperatura è cambiata in 50 anni di tre decimi, quattro decimi di grado, non significa che poi questo si ripercuota sul regime delle piogge e su tutto il resto. Questo è opinabile. Oggi, ripeto, i dati certi sono: a) la variazione di temperatura; b) la riferibilità delle modificazioni termiche agli ultimi 50 anni. Il resto ribadisco sono illazioni. Tenga conto che quello che muove gli scienziati è l’ambizione personale e sono i soldi. Aggiunga questo aspetto ed ha un quadro perfetto della situazione».

Parole chiare e pesanti quelle di Guido Visconti, pronunciate da uno scienziato sulla cui autorevolezza ci pare assai difficile discutere. Le stesse caratteristiche di un altro climatologo, Franco Prodi.

Prodi, allora direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR  ebbe una discreta notorietà nel 2007, quando criticò duramente l’allora ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio per aver organizzato in maniera cialtronesca una conferenza sui “cambiamenti climatici”. «La Conferenza sui cambiamenti climatici? Non ha avuto nulla di scientifico. Non hanno invitato nessuno scienziato e hanno sbagliato a leggere i dati», disse allora Prodi. E la cosa fece scalpore, perché si trattava in fondo del fratello di quel Romano Prodi che, essendo a quel tempo presidente del consiglio, di Pecoraro Scanio era pur sempre il diretto superiore…  

Dopo questo gustoso aneddoto andiamo adesso al succo di quel che pensa Prodi (Franco). Di lui scrive Il Foglio che: «Non è facile trovare chi lo critichi apertamente, la sua posizione non allineata al vangelo del global warming mette in difficoltà chi ne stima le capacità lavorative. I suoi detrattori al limite lo liquidano con un “è bravo, ma minoritario”».

La denuncia di Franco Prodi

Un condensato delle sue opinioni lo troviamo in un’intervista a La Repubblica del 2011, della quale è utile riportare di seguito alcune decisive affermazioni.

«Mi vuole chiedere se esistono ancora le mezze stagioni? Spero di non deluderla affermando che in questi cinquant’anni il clima in Italia è cambiato davvero poco. Chi studia queste cose rileva un leggero aumento della pioggia che proviene dalle nubi temporalesche, i cosiddetti rovesci, mentre complessivamente è diminuita l’intensità  della precipitazione». «Si tratta di leggere variazioni che la memoria individuale è portata a ingigantire».
E ancora: «Fatico a condividere i toni apocalittici». «Troppo spesso si dà per scontata l’entità dei cambiamenti climatici e si fa credere che si debba ragionare solo sulla mitigazione o sull’adattamento».

Interessante poi il passaggio alla politica: «Mi limito a rilevare che dalla fine degli anni Settanta, sotto l’egida delle Nazioni Unite, sono nati organismi che hanno finito per svolgere un ruolo che non è di loro competenza. Da questi organismi si ha notizia di che cosa succederà  nell’ambito del clima. Ma in realtà  sono organismi politici, non scientifici. Le nomine sono di carattere politico. La scienza procede secondo altre strade: non a maggioranza».

Di più: «Il livello di conoscenza è basso per molti aspetti. Sappiamo molto sull’anidride carbonica e sui suoi effetti di riscaldamento: si sa che è un gas serra e che è in forte e misurabile aumento. Ma sappiamo meno sul ruolo dell’aerosol, della deforestazione, dell’interfaccia clima-oceano, del calore che ci viene dall’interno della Terra. Non siamo in condizione di prevedere il cambiamento climatico futuro. È la politica internazionale o non so quali altri interessi nascosti che accreditano una conoscenza già  acquisita. Ma questo fa molto male alla scienza».

Che dire? Noi saremo anche diventati dei “complottisti”, ma – visto quel che dice Franco Prodi – evidentemente il cosiddetto “complottismo” ha un posto a tavola anche nella più numerosa famiglia del centrosinistra italiano!

Chiudiamo con un’altra divertente annotazione. Avrete notato come l’intervistatrice abbia chiesto a Visconti, nel 2011, un pronunciamento (che non c’è stato) sulla relazione tra “riscaldamento globale” e aumento delle piogge. La cosa dovrebbe far riflettere, perché in queste settimane la narrazione è opposta, quella secondo cui l’attuale siccità nel nord Italia deriverebbe anch’essa dal “global warming”. Sulla questione, Franco Prodi, intervistato da Libero lo scorso 13 marzo, è stato lapidario. La siccità usata come prova del cambiamento climatico? «E’ una bestialità».

Conclusioni

A questo punto ci possiamo fermare. Tutto si potrà dire, ma non che il dibattito sui “cambiamenti climatici” sia da considerarsi ormai chiuso. La cosa interessante, che emerge da questa breve carrellata, è che gli scienziati che non se la bevono non si limitano a puntute osservazioni di natura scientifica. Ad esse aggiungono in maniera decisa la denuncia degli interessi politici ed economici in gioco. Che forse non dovremmo tener conto di questa critica radicale al mondo della scienza, proveniente proprio da chi in quel mondo è da sempre vissuto?

Sarebbe un atteggiamento da struzzi. Se tanti scienziati vanno dritti al nodo politico, abbiamo ragione, oppure no, a farci delle domande sugli scopi della campagna catastrofista in corso? O dovremmo forse berci anche noi l’attuale narrazione, trangugiando con essa pure il cervello?

2 (continua)