«Solo quello che resiste e continua a piacere diventa tradizione». Iniziava così, negli anni settanta del secolo scorso, la pubblicità dell’Amaretto di Saronno. Passando dai liquori ai partiti, è questa la prima cosa che ci è venuta in mente leggendo l’ultima trovata di Rifondazione Comunista per le elezioni europee. Di nuovo un’altra alleanza, di nuovo un altro simbolo! D’accordo, è così da 11 anni, ma in questo modo l’unica tradizione che si consolida è quella di un declino ormai inarrestabile.

La cosa era nell’aria, dunque nessuna sorpresa. Ma adesso che la notizia è ufficiale – Rifondazione sarà alleata, in un’unica lista, con Sinistra italiana (Si), Altra Europa, Transform, Partito del Sud e Convergenza socialista – qualche riga gliela dobbiamo dedicare.

«Siamo partite/i» titola il Prc, quasi in un momento di inconsapevole autoironia. Ed in effetti, che da quelle parti qualcuno sia partito, detto in altri termini che l’ascesa del populismo li abbia rintontiti assai, in tanti lo pensano e ci scherzano su. Noi vogliamo invece prendere la cosa sul serio, vogliamo credere che una partenza in senso politico ci sia. Ma se c’è una partenza, ci sarà pure una direzione: quale?


Il nuovo pastrocchio europeista

Con tutto il rispetto per le altre sigle aggregatesi, è chiaro come il fatto politico sia il nuovo matrimonio (l’altro si era già celebrato nel 2014, ma andò in crisi una settimana dopo il voto) con Sinistra italiana.

Due dirigenti del Prc, Domenico Moro e Fabio Nobile, hanno già scritto cose assolutamente condivisibili sulla china intrapresa dalla maggioranza del loro partito con questa operazione.

Le riassumiamo brevemente, scusandoci per la schematicità. In primo luogo, Moro e Nobile  spiegano come con questa linea non sarà possibile intercettare il voto in uscita da M5S. In secondo luogo, essi segnalano la debolezza e la genericità sull’Europa, denunciando la fumosità della formula della “rottura dei trattati“. In terzo luogo, i due compagni indicano la pochezza di una posizione antirazzista che non individui proprio nella gabbia eurista (e nelle politiche che ne discendono) la causa prima dell’odierno razzismo. In quarto luogo, essi denunciano che: «Il nodo, che rimane inespresso, è se la Ue sia riformabile oppure no. In base ai tre punti del documento del Cpn sembrerebbe di sì». In quinto luogo, Moro e Nobile entrano sulla natura e sulla linea dell’unico partner che conta, cioè Sinistra italiana, ricordando la sua politica di alleanze (anche alle ultime tornate regionali) con il Pd. La loro conclusione è che la linea adottata dal Prc sia non solo sbagliata, ma anche perdente: una decennale coazione a ripetere assolutamente irragionevole.

Sono pienamente d’accordo con queste valutazioni e non mi dilungo oltre. E’ chiaro come siamo di fronte ad un nuovo pastrocchio europeista. Stavolta assai meno giustificabile di quello del 2014.

Significativo è il comunicato diffuso sui siti del Prc e di Si:
«Le prossime elezioni europee sono vicine ed è in corso la costruzione della lista: uno spazio comune di sinistra, antirazzista, ambientalista e femminista, a disposizione di tutte le soggettività, politiche, culturali, sociali, civiche e di movimento. Per realizzare questo progetto è necessario anche il vostro sostegno. Da oggi iniziamo la  consultazione sul simbolo e sul nome della lista. Dateci la vostra opinione, perché le scelte di tante/i sono meglio della scelta di poche/i».

Come si vede nessuna parola sul cappio al collo che da 11 anni (undici) impedisce ad un Paese come il nostro di uscire dalla crisi. Nessuna parola sulla manifesta irriformabilità dell’UE, men che meno sulla gabbia dell’euro. Un parlar d’altro perfino imbarazzante.

Certo, questo girar le spalle al vero nodo è comune (sia pure con diverse gradazioni) a tutte le liste che saranno in lizza il 26 maggio. Ed è questa una fotografia perfetta del dramma politico che vive l’Italia. Ma se tu ti presenti come “alternativo”, almeno questa pretesca ipocrisia la dovresti abbandonare, che se non l’abbandoni vuol dire che tanto alternativo non sei.

Qual è la direzione di marcia?

E qui arriviamo al dunque. In questo nuovo pastrocchio europeista, in questa ennesima operazione elettoralista, nella riproposizione di un’ammucchiata senza principi, c’è solo improntitudine dei gruppi dirigenti o c’è dell’altro? Detto in altri termini, c’è oppure no una direzione di marcia?

A questa domanda risponderà solo il tempo. Magari Prc e Si torneranno a dividersi di nuovo subito dopo il voto, come avvenuto cinque anni orsono. Qui però è difficile non avanzare un dubbio. Cinque anni fa l’operazione aveva lo scopo di arrivare alla soglia del 4% per entrare nel parlamento di Strasburgo. Stavolta penso che non vi sia un solo dirigente dei due partiti che possa credere ad un simile risultato. E se c’è il problema è serio. Dunque dev’esserci dell’altro.

E cosa può essere questo “altro” se non la scommessa sul ritorno al bipolarismo, che è poi il leit motiv degli articoloni della stampa in questo periodo?

Chi scrive a questo bipolarismo 2.0, che sarebbe poi la chiusura almeno temporanea del “caso italiano” visto da Bruxelles, non crede neanche un po’ (ma su questo torneremo in maniera più approfondita). A sperarci però sono in molti. Nel campo dei dominanti, ma non solo.

Il fatto è che l’operazione che si va configurando è del tutto congeniale alla natura opportunista (natura, non semplicemente linea politica) di Sinistra italiana. Meno, molto meno, a quella di Rifondazione. Ma allora perché quest’ultima ci si è ficcata dentro?

Dal punto di vista del Prc, siamo apparentemente di fronte ad una scelta insostenibile. Un passo indietro dopo la rottura con Potere al popolo. Rottura che ha certo cause serie nell’involuzione identitaria di Pap, ma che forse si è consumata nell’ingenua convinzione che risolvesse tutto Giggino. Ma dopo che anche questa illusione si è sciolta come neve al sole, perché correre verso un’alleanza con Si che sembrerebbe senza prospettive?

Ecco, forse invece una prospettiva c’è, anche se per ora è indicibile. Sinistra italiana, che è ormai costituita da un drappello di parlamentari con ben poco seguito, potrebbe essere il trait d’union verso nuove alleanze con il Pd anche per quei dirigenti del Prc che ormai non sanno più dove sbattere la testa. Per ora meglio non parlarne, ma in nome della lotta alla destra, al fascismo e al razzismo, non è questa una prospettiva impossibile. Venne fatto da Bertinotti con Prodi contro Berlusconi (e alla fine si è visto chi ci ha lasciato le penne), figuriamoci se non potranno rifarlo in futuro con Zingaretti contro Salvini.

Rispetto ad allora è però assai diversa la consistenza elettorale del Prc, che proprio per questo ha bisogno di riagganciare almeno il partitello di Fratoianni, che messo meglio non è ma in parlamento ancora ci sta. Un aggancio che potrebbe servire anche a quest’ultimo per andare al tavolo della trattativa – quando verrà il momento – con qualche carta in più.

Le cose andranno davvero in questo modo? Chi vivrà vedrà, ma solo questa prospettiva opportunista può spiegare tanto il testardo altreuropeismo di costoro, quanto l’apparente “insensatezza” del nuovo pastrocchio elettoralista targato Prc/Si.