Specchio specchio delle mie brame, chi è il più populista del reame?

Dipende. Ieri il duello è stato vinto da Matteo Salvini che a margine dell’inaugurazione della sede di Cdp a Verona ha dichiarato:

«Il 26 si vota per l’Europa. È fondamentale che gli italiani ci diano una mano a cambiare questa Europa mettendo al centro i diritti e il lavoro. Se servirà infrangere alcuni limiti del 3% o del 130-140%, tiriamo dritti… Fino a che la disoccupazione non sarà dimezzata in Italia, fino a che non arriveremo al 5% di disoccupazione sperderemo tutto quello che dovremo spendere e se qualcuno a Bruxelles si lamenta ce ne faremo una ragione».
Nel gioco a rimpiattino Di Maio, da Perugia, dove era ospite della locale Confindustria, ha risposto smarcandosi ed atteggiandosi a leader responsabile e antipopulista, quasi in stile Cottarelli:

«L’impresa chiede stabilità e mi sembra abbastanza irresponsabile far aumentare lo spread in queste ora parlando di sforamento del parametro debito pil, che è ancora più preoccupante di quello deficit pil, questo è un paese che ha 300 miliardi di evasione fiscale… prima di spararle sl debito pil, mettiamoci a tagliare tutto quello che non è stato ancora tagliato in questi anni di spese inutili, di grande evasione e di spending review da un punto di vista strutturale che sprecano ancora tanti soldi, anzitutto negli enti locali…».

Come in un gioco delle parti dopodomani i ruoli potrebbero capovolgersi: con Salvini che insiste sull’autonomia differenziata, sulla flat tax, sulle imprese da cui tutto dipende. E’ una caratteristica dell’odierno populismo all’italiana, giocare più parti in commedia. Un giorno dire una cosa e l’altro l’opposto.

Ecco dunque alcuni chiederci, “ma come fate a sostenere ancora, per quanto criticamente questo governo? ma come fate a dare indicazione di voto per i cinque stelle alle europee?”.

Lo sappiamo che è difficile farlo capire ma ci proviamo ancora. Noi non sosteniamo questi signori per quel che dicono o per quel che fanno, ma per quello che essi, loro malgrado, rappresentano, e fino a prova contraria rappresentano (e per questo conservano ancora un consenso largamente maggioritario nel mondo di chi sta sotto) la volontà di farla finita con l’austerità e le politiche antipopolari euro-liberiste portate avanti da centro-destra e centro-sinistra negli ultimi decenni.

Questa è tuttavia solo la prima parte del nostro ragionamento. La seconda, non meno importante, è che noi riteniamo che in vista della prossima legge di bilancio, lo scontro con i poteri forti eurocratici sarà inevitabile, col che i due populisti saranno al bivio cruciale, alla prova del fuoco: disobbedire a quei poteri forti, tenendo fede alle speranze di cambiamento del popolo lavoratore, o tradirle capitolando al modo di Tsipras. Chi ci critica ritiene sia scontata la seconda ipotesi: essi capitoleranno all’Unione europea e finiranno per adottare una legge di bilancio in linea coi desiderata del grande capitalismo eurista.

Noi non ne siamo affatto sicuri, anzi, non escludiamo che i populisti, malgrado tenteranno di raggiungere un nuovo compromesso con la Ue (come quello del 2,04), saranno costretti a disobbedire, perché il prezzo per restare al governo sarebbe salatissimo. Col che si aprirebbe una battaglia da cui dipenderanno non solo le loro sorti (di cui poco ci importa), da cui dipenderanno le sorti del Paese. Ecco perché riteniamo sia doveroso che dalle urne del 26 maggio, il governo (il solo che oggi, nell’area euro, sia inviso a Bruxelles) non ne esca battuto. Se ne uscirà battuto i due populismi subiranno un inevitabile processo di disgregazione che andrà a tutto vantaggio del blocco euro-liberista, con Salvini che tornerà all’ovile del centro-destra e quel che resta del M5s col centro-sinistra. Lo squarcio apertosi col referendum del dicembre 2016 e le elezioni del 4 marzo dell’anno scorso si chiuderebbe, avremmo una restaurazione della seconda repubblica, ed i dominanti avranno ragione ad esultare.

Se questo fosse l’esito del 26 maggio il popolo lavoratore avrebbe tutto da perdere, ed i rivoluzionari non avrebbero nulla da guadagnarci. Per questi ultimi non è solo doveroso stare accanto al popolo lavoratore, per la precisione entro il “campo populista”, per questi è vitale che il conflitto, da latente e limitato al piano politico-istituzionale, tracimi in conflitto conclamato sul piano sociale. Solo a questa condizione essi potranno giocare un ruolo vitale.

«I patrioti con la testa sulle spalle il 26 maggio si recheranno dunque alle urne, votando per i candidati no euro presenti nelle liste del M5s. A chi invece intende votare per la destra leghista diciamo: non limitatevi ad esprimere un voto di lista ma date la preferenza ai candidati sovranisti che in questi anni si sono battuti non solo contro l’euro ma in difesa della Costituzione del 1948».

Anzitutto ai Cinque stelle per tre ragioni fondamentali. La prima è che se essi precipitassero troppo la morte del governo sarebbe certa e la Lega spinta a tornare nel centro-destra. La seconda è che nel campo populista il Movimento Cinque stelle, a differenza della Lega, è quello che contiene forze sociali ed anche soggettive più vicine ad un progetto non solo sovranista, ma democratico ed egualitario. La terza è che M5s, vada come vada, è destinato, nella sua continua metamorfosi, a subire importanti fratturazioni: mentre ci sarà chi tornerà nel campo sistemico, altri, all’opposto cercheranno un’alternativa democratica e rivoluzionaria.
Per essere domani nel posto che conta occorre essere oggi in quello giusto.