La portata strategica del conflitto libico

LA GUERRA CIVILE LIBICA CONTINUAZIONE DI QUELLA YEMENITA

Haftar, ospite l’altro giorno a Roma del premier Giuseppe Conte, ha manifestato la volontà di voler continuare l’azione militare contro il Governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj.
I testimoni parlano di un comportamento insolente e sfacciato verso il premier italiano, tanto Haftar è solitamente deferente verso i leader di Egitto e Arabia Saudita. Va comunque considerato che mentre il premier Conte si stava intrattenendo con Haftar, l’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Buccino Grimaldi si confrontava con il Ministro degli interni del governo di Tripoli sotto attacco, Fathi Bashagha, storico esponente della Fratellanza musulmana e pragmatico consigliere del premier Sarraj.

LA PROBABILE GUERRA LAMPO HAFTARIANA

SI STA TRASFORMANDO IN UNA PERICOLOSISSIMA E TERRIBILE GUERRA DI TRINCEA

Conte è stato abile e capace nel mostrare ai vari leader mondiali (Putin compreso) le conseguenze disastrose di questo fallimentare attacco di Haftar ma questo non sembra aver indotto il maresciallo libico ad un ripensamento. Non è stata sufficiente, purtroppo, l’eccellente azione diplomatica del nostro premier, e del suo staff, per superare i gravissimi errori tattici di cui si è stranamente macchiata la nostra intelligence, da sempre la più preparata ed abile, tra quelle europee, nel districarsi nello scenario libico e mediterraneo in genere.

Il grave errore tattico di una frazione dell’intelligence tricolore (quella politicamente subordinata al PD e al ministro Trenta, di stretta obbedienza sionista e atlantica) ha infatti decisamente peggiorato le dimensioni delle contraddizioni interne e manifestato le potenzialità nascoste della crisi libica: il misterioso viaggio in Italia di Saddam Haftar, figlio del maresciallo, ha avuto probabilmente la finalità di preparare la controparte italiana all’aggressione armata contro Tripoli così come il blitz libico di Giovanni Caravelli, generale in forza all’Aise e da sempre in ottime relazioni con il maresciallo libico, effettuato proprio pochissimi giorni prima dell’avanzata verso Tripoli. Ma i calcoli strategici si sono rivelati errati.


La sensazione generale, anche di frazioni dell’intelligence di casa nostra, era che tanto Misurata quanto il Governo vicino alla Fratellanza musulmana non godessero più del consenso interno. Di contro, le manifestazioni di massa in cui vengono bruciate bandiere francesi e saudite, la veloce reazione anti-haftariana di vaste fasce tribali libiche, come lo schieramento su tutta la linea della migliore unità militare, la “Katiba Hattin”, che ha già sconfitto l’Isis, messa in campo dalla “Sparta Libica”, ovvero da Misurata, ci danno modo di osservare il fallimento politico, ancor prima che militare, della guerra lampo di haftariani e salafiti, coordinata peraltro di concerto con consiglieri del Mossad israeliano.

Giuseppe Conte, a fronte di questi ambigui errori militari italiani, continua saggiamente a mostrare un profilo basso nel tentativo strategico di poter arrivare a una temperata soluzione politica in grado di non scontentare nessuno. A tal punto, se il fronte haftariano non sembra sentire ragione volendo proseguire nel piano di aggressione armata, diventa necessario armare le milizie del Governo di unità nazionale: la superiorità aerea del maresciallo gli ha permesso di aprire varchi strategici territoriali, gli aerei senza pilota forniti dai sauditi e da Abu Dhabi colpiscono con precisione, i droni vengono usati in combinazione con le forze d’élite della nota e affidabile Al Saiqa.

Il maresciallo sembra ora, infatti, puntare sulla strategia della guerra di logoramento contro le milizie di Misurata e contro il Governo di unità nazionale. Colpire ai fianchi l’avversario sino a farlo definitivamente retrocedere. Negli ultimi due giorni l’armata del generale, che conta circa 25 mila soldati arruolati nel LNA (Libian national army) più 10 mila mercenari tra ciadiani, sudanesi, salafiti “madkhali” e 2000 di Zintan, avrebbe conquistato zone tattiche sulla strada dell’aereoporto di Mitiga, come ad esempio Qasr Bin Ghashir, ed abbattuto droni di fabbricazione turca e iraniana in perlustrazione su Jufra, Libia Centrale.

Ahmed Mismari, portavoce del LNA, ha di nuovo verbalmente attaccato ieri Turchia, Qatar, Iran come forze unite nel disegno di contrastare l’avanzata strategica haftariana. ha attaccato, in pratica, il fronte della Resistenza yemenita; ha attaccato quel fronte che rende, per ora, di difficile attuazione il definitivo genocidio Palestinese.
QUESTIONE MEDITERRANEA, DIMENSIONE GLOBALE

E qui arriviamo probabilmente al nocciolo della questione libica. Quella libica è ormai una questione interna al mondo geopolitico mediterraneo e dunque a quello vicino-orientale. Continuare a dipingerla come parte di questione euro-occidentale significa non comprendere la partita in gioco.

Come scrivevo, russi e cinesi hanno compreso che il Mediterraneo è tornato ad essere o sta tornando ad essere il “cuore del mondo”. Dire Mediterraneo significa però, politicamente, dire Vicino Oriente o “Grande Medio Oriente”. Europei e occidentali, abituati a concepirsi come il centro il mondo, non hanno compreso gli eventi geopolitici fondamentali dall’89 a oggi. Le giravolte americane, come la marginalità europea, nonostante il farsesco attivismo macroniano, nella partita libica fanno ben capire come non esista una strategia euroccidentale né diversificazioni strategiche occidentali sul Mediterraneo. Sono il caos e il vuoto a dettare i tempi di una evidente improvvisazione, comunque pericolosissima.

Gli occidentali sembrano, ancora oggi, non aver compreso l’immensa portata geopolitica globale delle due grandi vittorie politiche, ancora prima che militari, della Resistenza Afghana (contro Urss e Usa), che si è rivelata una grande potenza militare; nulla di più scontato del fatto, di conseguenza, che non comprendano cosa stia avvenendo in Libia. Si sta chiaramente riproponendo in terra libica lo scenario yemenita, che vede da una parte schierate la Fratellanza musulmana più l’Iran e la Turchia; dall’altra Sionisti, Sauditi e Salafiti o fondamentalisti islamici.

L’élite politica realista putiniana, ben più saggia e tattica degli occidentali, ha dunque compreso che il Vicino Oriente fa storia a sé: l’interventismo siriano della realpolitik russa non andrebbe esagerato e generalizzato ma circoscritto, visto alla luce del tradizionale concetto strategico russo di “sovranità limitata”; fu la cospicua presenza di volontari ceceni, daghestani, tatari, uzbeki a costringere Putin all’intervento siriano. Di conseguenza, errato e fuorviante considerare i russi, in Libia, alleati del fronte haftariano; Putin lascia libero il popolo libico di decidere sul proprio destino, a differenza delle potenze Nato, che han solitamente esportato “democrazia, diritti, libertà” con bombardamenti terribili e criminali sui civili indifesi.

Il piano delle moderne guerre convenzionali e/o asimettriche/ibride chiama anzitutto ed in primo luogo in causa l’elemento della comprensione strategica: dove effettivamente passa la linea del fronte strategico? Ed una volta compreso questo, come sviluppare una saggia ed accorta modulazione realista e tattica? L’intelligence italiana che possedeva sino a qualche decennio fa al riguardo una buona, e forse anche ottima pratica, sembra aver seguito, anche qui, la generale decadenza occidentale.