
Era prevista e, puntuale come la morte, è arrivata. Parliamo della lettera con cui la Commissione europea, preso atto che l’Italia non avrebbe mantenuto gli impegni sulla riduzione del debito pubblico, avverte il governo che potrebbe scattare la famigerata “procedura d’infrazione“, con tanto di pesanti sanzioni». [SOLLEVAZIONE del 30 maggio]
Da decenni l’imperativo categorico del rimborso del debito, è il mantra assillante con cui i tecnocrati dell’Unione europea ed i pescecani della finanza predatoria giustificano la necessità di tenere l’Italia incatenata al ceppo dell’ortodossia ordoliberista. Ove non vi fosse la certezza del rientro, almeno nei parametri di Maastricht, sarebbe la catastrofe economica, lo sfacelo del paese. In questa cornice sono cadute le “sorprendenti” dichiarazioni del ministro dell’Economia Giovanni Tria sulla “monetizzazione del debito”:
«Non dobbiamo dimenticare che esiste un secondo modo di finanziare un deficit, che è il finanziamento monetario».
Cosa sia, in ambiente Ue, la “monetizzazione del debito”, è presto detto: la Bce finanzierebbe le politiche fiscali di uno Stato stampando moneta, col che verrebbe meno il problema dello spread poiché i titoli di debito sarebbero acquistati direttamente dall’Istituto di Francoforte. L’idea di Tria, malgrado sia come la scoperta dell’acqua calda, ha suscitato vibranti rimostranze degli ambienti ordoliberisti oltranzisti. Rimostranze ingiustificate poiché, come vedremo, la proposta di Tria, si presta ad una lettura inquietante. Ma ci torneremo in fondo.
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DEFAULT NON È BANCAROTTA
La verità è che il debito italiano — per quanto, come si evince dalla tabella sopra (dati Bankitalia) esso sia in mano per il 70% a creditori “residenti”, ovvero a banche italiane —, è debito destinato a restare insoluto, a rimanere impagato. Lorisgnori lo sanno bene e, dicendo il contrario, sanno di mentire. Quel che essi temono come la peste è che prima o poi l’Italia, come han fatto nel passato decine e decine di stati (notare: l’Italia mai) lo metta in quel posto ai creditori facendo default. Al che sentiamo già alzarsi l’urlo degli ordoliberisti: “Default? Ma siete matti!? Sarebbe la bancarotta!”.
Ma questa equivalenza, se si parla di uno Stato è falsa. Uno Stato può ricorrere al default (insolvenza) ove non riesca più a rimborsare le proprie obbligazioni coi suoi creditori. E’ vero l’inverso semmai, che in bancarotta, rischiano di andarci propri i creditori che s’ingrassano con lo strozzinaggio a spese degli stati. La bancarotta (colposa o dolosa) designa infatti il fallimento di un’azienda privata quando questa, non potendo più far fronte ai suoi debiti, è costretta a chiudere i battenti ed a consegnare quindi il proprio patrimonio ai suoi debitori.
Uno Stato non può, con tutta evidenza, chiudere i battenti, a meno che esso non venga fagocitato ed il suo patrimonio passi nelle mani dei suoi creditori. Nei centinaia di casi di default della storia moderna ciò è accaduto una sola volta, per la precisione al piccolo Stato di Terranova (oggi Canada) quando, in conseguenza della crisi del 1929 che fece impennare il suo debito pubblico, esso perdette la sua autonomia per ridiventare colonia dell’Impero britannico — che era il suo unico creditore.
DEBITO PUBBLICO: NUMERI ALLA MANO
Non passa giorno che gli ordoliberisti esortino l’Italia (per il suo proprio bene s’intende) a ridurre il debito pubblico, quindi invitando chi governa a ridurre la spesa pubblica. In verità, non sembri un paradosso, quel che interessa davvero ai pescecani della finanza privata che finanziano lo Stato — dato che l’Italia non avendo più la sua propria Banca centrale come principale finanziatore — è infatti che il debito resti perpetuo, così prendendo due piccioni con una fava: mantenere l’Italia sotto permanente ricatto a fare profitti predatori staccando le cedole dell’interesse sul debito appunto. La sola reale preoccupazione di chi detiene i titoli di debito è che non si svaluti il loro valore.
Vediamo, numeri alla mano, di dimostrare perché il debito dello Stato italiano è destinato ad essere perpetuo, a meno che, appunto, non giungerà quel fatidico giorno in cui non si trovi il coraggio sovrano di dichiarare default.
Teniamo a mente due dati: il Pil italiano (2018) è stato di 1.753 miliardi di euro, mentre il debito (a fine 2018) si è attestato a 2.359 miliardi — il 134,5%.
Ora supponiamo che l’Italia, nel rispetto del pareggio di bilancio, decida di rispettare il famigerato parametro di Maastricht (il rapporto tra il debito pubblico lordo e il Pil, com’è noto, non deve superare il 60%), di abbassare il debito da 2.359 miliardi a 944 miliardi.
Si tratta di racimolare la bellezza di 1.415 miliardi.
E supponiamo pure che avvenga il miracolo che la Ue accetti che la Bce adotti politiche di “monetizzazione del debito” pubblico italiano, portando quindi l’interesse sul debito futuro a zero — si tenga a mente che pur in calo a causa del Qe l’Italia ha sborsato, nel 2018, 65miliardi di euro solo per interessi, ovvero il 3,7% del Pil.Si tratterebbe quindi di trovare questi 1.415 miliardi.
Supponiamo infine che l’Italia s’impegni a concordare coi suoi creditori un piano di rientro trentennale. In questo caso, dividendo 1.415 per 30 anni avremmo che ogni anno l’Italia dovrebbe sborsare la cifra di 47 e passa miliardi.
Ci sono solo due maniere per reperire queste risorse: o con tagli draconiani e costanti nel tempo alla spesa pubblica o incrementando stabilmente il Pil.
Ebbene, visto che la spesa pubblica italiana è già tra le più basse d’Europa, ovvero secondo gli analisti difficilmente comprimibile, non resta che affidarsi alla lotteria della “crescita”. Chiediamoci, in questa ipotesi di scuola, di quanto dovrebbe crescere, il Pil ogni anno a spesa pubblica invariata?
Risposta: se oggi il Pil sta a 1753 miliardi — aggiungendo ogni anno 47 miliardi —, il Pil italiano dovrebbe raggiungere nel 2049 la cifra di 3.168 miliardi. Ciò significherebbe nei primi anni una “crescita” attorno al 2,7%, e comunque superiore al 2% per tutto il primo quindicennio.
Viene dunque la domanda: è realistico questo tasso di “crescita”? Ovviamente no, e per diverse ragioni, la prima delle quali, visto che entrano in gioco rilevanti fattori esogeni, è che a scala mondiale l’economia globale, nei prossimi trent’anni, non solo non conosca gravi recessioni ma registri una “crescita” costante. Condizione altamente improbabile dato che l’economia capitalistica è un susseguirsi di cicli espansivi e recessivi — impossibile ove avessero ragione quegli economisti che sostengono che saremmo entrati in una “stagnazione secolare”.
PIEDI PER TERRA SIGNORI!
Ricapitoliamo. (1) Abbiamo posto l’ipotesi (ripetiamo, di scuola) che l’Italia adotti un piano di rientro trentennale per far scendere il suo debito al 60% del Pil; (2) abbiamo quindi considerato che, anche ammesso che la Bce accetti di “monetizzarlo”, cioè finanziarlo in prima persona, ciò non basterebbe, poiché (2) ci sarebbe bisogno di una seconda e più importante condizione: una “crescita” economica costante di un 2% costante nell’arco del periodo considerato. Abbiamo visto che questa seconda condizione è, come minimo, altamente improbabile. Resta ora da stabilire quanto realistica sia la prima, ovvero che la Bce si decida per la monetizzazione.
Ebbene, anche questa è irrealistica, per la precisione inverosimile, dato che essa, come abbiamo detto, implica che i paesi dell’Unione europea, all’unanimità, cambino lo statuto della Bce, detto altrimenti che aboliscano il principale dei dogmi ordoliberisti, che consiste appunto nel divieto fatto alla banca centrale di finanziare il fabbisogno degli stati. Una decisione che ognuno che abbia i piedi per terra sa quanto sia impossibile.
Per la verità la Bce può acquistare già oggi titoli di debito pubblico di uno Stato ma solo nel quadro dell’Outright monetary transactions (Omt). Lo Stato che chiedesse alla Bce di attivare l’Omt, che cioè si trovasse in una situazione di grave crisi con lo spread fuori controllo, dovrebbe aderire ad un programma draconiano di “riforme strutturali e consolidamento fiscale (leggi: austerità e macelleria sociale).
E quindi veniamo alle dichiarazioni di Tria. Perché abbiamo detto che sono inquietanti? Perché essendo che l’Omt è di fatto una forma di monetizzazione, è proprio a questa che il Tria, da bravo segugio del mondo finanziario e bancario ordoliberista, allude.
Per concludere: resta che il debito pubblico italiano non è solvibile, che è impagabile e che, a meno di non fare la fine della Grecia, fare default è inevitabile. Aggiungiamo noi: sarà uno degli atti con cui il nostro Paese riconquisterà la sua sovranità.