Orrore, orrore! Il debito, il debito, quello pubblico naturalmente! L’Europa ci spezzerà le reni, dopo averlo mussolinianamente fatto con la Grecia! E ben ci starà, perché peccatori siamo!
Ad interrompere almeno per un giorno questa trista litania ci ha pensato un signore di 82 anni, Paolo Savona. Fa un po’ specie che per ascoltare, finalmente, alcune note di buon senso sulla questione del debito si debba andare a leggere il discorso tenuto venerdì dal presidente della Consob. L’occasione è stata, pensate un po’, l’annuale “incontro con il mercato finanziario”. Un titolo che è tutto un programma.
In assenza del mitico “mercato”, il parterre era costituito da più concreti banchieri e finanzieri che in quel mercato giornalmente operano. Ed il bello è che questi ultimi, con chiaro disappunto della stampa eurista, non si sono affatto turbati per quel che le loro orecchie hanno udito. Trattandosi di persone “informate dei fatti” la cosa può stupire solo gli ignoranti, una categoria ben rappresentata tra i giornalisti.
Ma cosa ha detto Savona?
In primo luogo, il mancato ministro dell’Economia – sempre ricordarsi dell’abuso compiuto da Mattarella! – ha smontato pezzo dopo pezzo la narrazione sul debito: «La teoria economica e la ricerca empirica non hanno fornito una risposta univoca su quale sia il legame ottimale tra il debito pubblico e il PIL, soprattutto se il rapporto è valutato in modo indipendente dallo stato della fiducia. L’esempio del Giappone è istruttivo: se la fiducia nel paese è solida e se la base di risparmio sufficiente, livelli di indebitamento nell’ordine del 200% rispetto al PIL non contrastano con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica».
Giappone? Debito al 200%? Agli euristi, gente che drammatizza uno 0,1% in più sul deficit – è per questa iperbolica cifra che l’Italia rischia le sanzioni europee – è crollato il mondo addosso. E pensare che in realtà il debito del Giappone non è al 200 bensì al 250%, roba da distruggere le coronarie a Fubini, Calenda, Monti e Cottarelli messi insieme.
Savona, precisando ovviamente che «ciò non significa che non esista un limite all’indebitamento», ha ricordato come tale livello debba essere messo in relazione alla base di risparmio ed alla solidità della fiducia di un Paese. C’è in realtà un terzo decisivo elemento, che il presidente della Consob non poteva citare in quella sede, sempre per un problema di coronarie nell’uditorio. Esso è però implicito nel suo discorso. L’elemento mancante è la sovranità monetaria, che è il vero fattore che ci distingue dal Giappone. A Tokio ce l’hanno, a noi ce l’ha sequestrata l’euro.
Chi lavora contro l’Italia
Rammentata la forza dell’industria nazionale, come pure l’elevato livello del risparmio, Savona se l’è presa con chi lavora alla sistematica distruzione della reputazione del nostro Paese:
«I giudizi negativi non di rado espressi da istituzioni sovranazionali, enti nazionali e centri privati appaiono prossimi a pregiudizi… E’ come se l’Italia fosse collocata dentro la “caverna di Socrate” dove le luci fioche della conoscenza che in essa penetrano proiettano sulle pareti un’immagine distorta della realtà. Per giunta in presenza di un continuo vociare a senso unico, che stordisce. E’ compito di chi riveste posizioni di vertice della politica, dell’economia e dei mezzi di informazione rafforzare la luce e abbassare i toni per ristabilire la fiducia sul futuro del Paese. Non esiste alcun vincolo oggettivo insuperabile alla nostra crescita». (sottolineature nostre)
Chiaro come il professor Savona abbia voluto denunciare l’incessante opera di denigrazione proveniente dalle istituzioni europee. Un’azione aggressiva che può avere successo, però, solo grazie al blocco eurista di casa nostra, autore di quel «continuo vociare a senso unico» messo in atto dai vari Mattarella, Visco, Boccia, con il quotidiano coro a sostegno del sistema mediatico al gran completo.
Ma non si tratta solo di chiacchiere. Da quando Bankitalia (divorzio del 1981) non funziona più come “prestatore di ultima istanza”, da quando siamo ingabbiati nella trappola dell’euro, c’è quella decisiva conseguenza chiamata spread. Ecco cosa ci dice Savona a tal proposito:
«Il potere di valutare il rischio di rimborso si è trasferito sul mercato senza un adeguato contrasto alla speculazione, che non di rado trova alimento nell’attitudine delle autorità a usarlo come vincolo esterno per indurre gli Stati membri a rispettare i parametri fiscali concordati a livello europeo». (sottolineature nostre)
Qui l’accusa è chiara. Di fatto speculatori e tecnocrati europei sono in combutta fra loro. Ai primi il vincolo esterno serve per paralizzare la risposta della vittima dei loro attacchi speculativi; ai secondi la speculazione serve per imporre i loro diktat politico-economici. Ma c’è un terzo soggetto che prima o poi dovrà finire sul banco degli imputati, ed è sempre quel blocco eurista nazionale – meglio: anti-nazionale – di cui abbiamo già parlato. Quali siano i nomi di chi compone questa cupola è facile a dirsi, basta elencare tutti quelli che non riescono ad aprir bocca senza pronunciare la parola “spread“.
Dal debito agli investimenti: far lavorare i risparmi
Scopo di Savona non è però solo la denuncia dei nemici (esterni ed interni) dell’Italia. Con il suo ragionamento egli pone una decisiva questione economica: quella del rilancio degli investimenti. Ma prima bisogna restituire «ai debiti sovrani, incluso quello italiano, la dignità di ricchezza protetta che a essi attribuiscono giustamente gli investitori. Il raggiungimento di questa condizione allontanerebbe i sospetti sulla possibilità di insolvenza del nostro debito pubblico, oggettivamente infondati».
Chi scrive pensa che, arrivati al redde rationem, un default ragionato sul debito sia una scelta politica utile e motivata sia sul piano economico che su quello sociale. Al tempo stesso, però, Savona ha perfettamente ragione ad affermare che in base ai fondamentali dell’economia italiana il rischio di insolvenza è del tutto infondato. Uno spauracchio agitato dai soliti noti per seminare caos e paura, che sono poi le armi preferite dalle èlite ai giorni nostri.
Ma perché i debiti sovrani dovrebbero avere «dignità di ricchezza protetta»? Semplice, per riportarne la proprietà all’interno, dunque per sfuggire al dominio della finanza internazionale. E’ possibile questa operazione? Ovviamente sì, dato che le famiglie italiane hanno una ricchezza finanziaria enorme, pari a 4.218 miliardi di euro. Una ricchezza un tempo in buona parte investita in titoli di Stato, ma oggi – a causa della campagna terroristica su di essi – non più. Con la conseguenza che buona parte di questi risparmi prende adesso la strada dell’estero, andando così a finanziare le economie di altri, piuttosto che la nostra. Paradosso e mostruosità (ma più mostruosità che paradosso) della moneta unica.
Ecco quel che ci dice Savona sul punto:
«Contrariamente a importanti paesi sviluppati come Stati Uniti, Regno Unito, Canada, nell’eurozona Grecia e Francia, e nel resto del mondo Turchia e l’intero continente sudamericano, l’Italia non assorbe flussi di risparmio dall’estero, ma ne cede in quantità superiori al suo debito pubblico… Per la comunità europea e globale l’Italia non rappresenta un problema finanziario, ma una risorsa alla quale molti paesi attingono per soddisfare le loro necessità».
Come si comprenderà, qui il discorso si chiude. Perché continuare a finanziare altri paesi – magari quelli che ci vorrebbero strozzare finanziariamente – anziché lavorare per far rientrare i risparmi in patria? Il senso del discorso sul 200% è tutto qui. Perché senza una forte ripresa degli investimenti non si uscirà dalla crisi. Ma questa ripresa non potrà esservi senza il ruolo centrale dello Stato. Ed affinché esso vi sia occorrerà liberarsi dal vincolo esterno, da Maastricht e dal Fiscal compact. Dunque, per quanto ci riguarda, dall’euro e dall’UE.