Di acqua ne è passata sotto i ponti…

I veterani del sovranismo, siamo in pochi per la verità, si ricorderanno della polemica tra noi e Alberto Bagnai dopo che il nostro, nel gennaio 2013 sottoscrisse il Manifesto di solidarietà europea. Quel Manifesto (firmato col fior fiore di economisti liberisti) sosteneva una tesi fantasmagorica, quella che per salvare la “integrazione europea”, occorreva «Un nuovo sistema di coordinamento delle valute europee, volto alla prevenzione di guerre valutarie e di eccessive fluttuazioni dei cambi fra i paesi europei». Concludeva quindi con la proposta di «una segmentazione controllata dell’Eurozona attraverso l’uscita, decisa di comune accordo, dei paesi più competitivi», quindi non dell’Italia badate, bensì proprio della Germania.

Restammo stupefatti dal sodalizio tra un economista che rivendicava fiero il suo keynesismo e incalliti liberisti. Toccò proprio a me — Le divergenze tra il compagno Bagnai e noi — condannare quell’errore, disvelandone le radici. Il nostro ci prese a pesci in faccia bollandoci come Marxisti dell’Illinois. Contro il sottoscritto Bagnai fu spietato:

«(povero compagno M! Con la “m” di meringa, chiederete voi? No, non esattamente, risponderò io. Conti troppo poco perché possa ora perder tempo a dimostrare l’inconsistenza e la slealtà delle tue becere scempiaggini, dettate solo dalla paura di essere definitivamente spiazzato nel tuo patetico e inconsistente anelito verso il potere politico, nonché la dilettantesca e opportunistica approssimazione degli strafalcioni profferiti dal tuo nuovo guru. Quando lo farò ci divertiremo. Noi. Tu continuerai a ragliare di uccisione di padroni nemici del proletariato nel tuo blog che nessuno legge. Mi metti una grande tristezza. Intanto, come dire, la Storia va avanti. Piccoli ortotteri crescono».

LA PROFEZIA

Facemmo pace, io e Alberto, non solo perché, presumo, si rese conto che nel suo contrattacco passò il segno, non solo perché comprese che da queste parti di guru non ne abbiamo — tantomeno quello che lui ci assegnò, per la cronaca Emiliano Brancaccio —, infine perché la sua imminente adesione alla Lega mostrava che il pericolo del suo “salto della quaglia a destra” era tutt’altro che infondato.

Qual era, nella sua essenza, il pomo della discordia? Che noi lavoravamo affinché fosse possibile quella che chiamammo “uscita da sinistra dall’euro”, mentre Bagnai aveva profetizzato come ineluttabile che “l’uscita sarà gestita dalle persone sbagliate”.

PARIGI VAL BENE UNA MESSA

Nella forma della profezia che si autoavvera, Bagnai pare abbia avuto ragione. La dirompente avanzata della Lega salviniana ci dice che se uscita dall’euro ci sarà “sarà da destra”. Al netto di questioni obiettivamente secondarie come immigrazione e sicurezza — delle quali all’eurocrazia poco importa se non come pretesti ideologico-cosmetici — potremmo trovarci a rompere con l’Unione per la presunta “flat tax”, che Salvini sta facendo diventare il suo principale cavallo di battaglia. Flat tax che è non solo l’emblema ma il marchio d’infamia del neoliberismo.
Del resto, che la flat tax sia una «ricetta ultra-liberista praticata con esiti devastanti dal Fondo monetario internazionale dalla fine degli anni Ottanta» lo affermò proprio Bagnai nell’estate del 2015 e non in un consesso qualunque, ma dicendolo in faccia a Salvini, Borghi e Rinaldi che invece la peroravano.
Non penso che Bagnai abbia cambiato idea, poiché ritengo che egli non solo si consideri ma resti effettivamente un economista keynesiano. E’ che egli, avendo sempre creduto che non avremmo mai vinto la battaglia dell’euro senza avere dalla nostra almeno una parte importante della borghesia, anzitutto padana, considera che la flat tax sia appunto il modo per conquistarla alla causa e strapparla al partito eurista. Come disse Enrico di Navarra: “Paris vaut bien une messe”.

SCIOGLIERE IL DILEMMA

Noi non dicemmo, al tempo, che Bagnai avesse torto, che cioè avremmo potuto fare a meno, in vista dell’uscita dalla gabbia dell’euro e dell’Unione, di un’alleanza con settori importanti della borghesia. Da anni andiamo sostenendo che data l’importanza e la difficoltà della battaglia sovranista, un Comitato di liberazione nazionale sarebbe stato necessario. Da anni andiamo dicendo che l’uscita non sarebbe stata indolore e che un eventuale Governo d’emergenza, sarebbe stato necessariamente trasversale, espressione di un blocco nazionale-popolare. La questione per noi era far sì che la forza motrice della rottura e della liberazione nazionale fosse stata non la destra liberista ma una sinistra popolare e patriottica.

Dobbiamo prendere atto che malgrado i nostri sforzi questa sinistra popolare e patriottica non ha acquisito la forza d’urto per candidarsi a guidare la battaglia. Di più: se, come ritengo, stiamo andando ad una finale rotta di collisione con l’Unione, la sua eurocrazia ed i suoi ascari italiani — non condivido, come si capirà, l’idea che alcuni hanno secondo cui “la questione non si pone” dato che saremmo al “momento Tsipras”, che la capitolazione all’Unione europea è già data —, il tempo che ci resta non ci consente di immaginare ancora contendibile la direzione politica della rottura. Questa partita non solo ce la siamo lasciata alle spalle, l’abbiamo persa, e quindi non resta che attrezzarci alla prossima.

Di qui il dilemma che non si pone solo a noi sinistra patriottica, ma pure a tutti i sovranisti, siano essi socialdemocratici, comunisti e keynesiani. Quale sia il dilemma è presto detto: sostenere l’uscita malgrado spinga il Paese verso un’approdo liberista in economia e una sudditanza geopolitica verso gli USA trumpiani o restare nella gabbia euro-tedesca?

Non c’è bisogno di discettare su quale sarà la scelta di campo della sinistra transgenica: essa fornirà la soldataglia (non solo virtuale) al partito dell’euro. Forte immagino sarà infine, nel campo sovranista, la tendenza “terzocampista”, quella del “né-né”. Temo che sarebbe la condanna all’irrilevanza politica, forse addirittura all’auto-annientamento.

Io penso che l’uscita dall’euro e dall’Unione, anche ove l’approdo sia un liberismo in salsa protezionistico-trumpiana, costituisca, e per diverse ragioni, un “male minore” rispetto all’alternativa (altre non ce ne sono nemmeno all’orizzonte) che l’Italia resti incatenata al ceppo eurocratico.

Potrei discettare sulle ragioni per cui tra le due terapie economiche liberiste, quella ordo made in Deutschland e quella made in U.S.A. la seconda, malgrado le controindicazioni è preferibile. Basti dire, per il momento, che se il Paese restasse nella gabbia sarebbe condannato alla recessione perpetua, quindi al sicuro disfacimento sociale, spirituale e nazionale. Tutto ma non questo! Mi limito ad osservare che l’uscita con Salvini e C., sarebbe un terremoto per l’Unione, darebbe una scossa all’Italia, interromperà la mortagora (le cui prime vittime sono proprie le forze rivoluzionarie), aprirà una nuova  ed inedita fase politica, con tutto quanto potrebbe conseguirne in termini di risveglio nazionale e protagonismo del popolo lavoratore, ed anche di rinascita della lotta di classe e di possibilità rivoluzionarie.
Così che un giorno, la sinistra patriottica, accettato di stare nel gorgo della storia, potrà ringraziare per una volta il diavolo, che con Salvini fece la pentola ma non il coperchio.

«Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe,
mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma e che considerino più a’ romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano».

[Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro I, capitolo 4]