Domenica la redazione titolava il mio commento ad un post di Alessandro Di Battista: “SPIEGATI MEGLIO”.
Non era una domanda retorica. Davvero non mi sapevo spiegare — appena giunto il siluro della procedura d’infrazione da Bruxelles e mentre Salvini pare quello più deciso a tenere la posizione — il perché di quell’attacco virulento alla Lega e cosa esso potesse nascondere.

Un’attenta lettura del suo libello POLITICAMENTE SCORRETTO, pubblicato non a caso da Il Fatto Quotidiano aiuta, oltre a farsi un’idea sulla caratura del personaggio, a dare qualche sensata risposta.
Sorvolo sulla caratura del personaggio. Ognuno si legga il libretto, e si faccia un’idea. Ad un certo punto (Pagina 43) Di Battista scrive che

«La politica va amata, rispettata sostenuta. E questo lo deve fare il popolo. Lo dobbiamo fare noi cittadini informandoci, partecipando, spegnendo, quanto occorre, la Tv per aprire un libro».

Forse sarà che io sono sono un po’ troppo di bocca buona, ma non è certo il suo libro che suscita “amore per la politica”. Non ci sono idee originali e nuove, nessuna grande visione, figurarsi utopie. Non c’è nessuna seria spiegazione della cocente sconfitta elettorale. C’è, è vero, un’autocritica (“ci siamo burocratizzati, chiudendoci troppo nei ministri, mentre Salvini è stato in campagna elettorale permanente”), ma a favore di una riproposizione dei tratti tipici di certo grillismo prima maniera (onestà, dagli addosso ai partiti, furore giustizialista, ecc.). Non si fa che riproporre la narrazione che tre anni di governo a Roma un anno di governo nazionale hanno fatto a pezzi.

Un’autocritica che, malgrado il Dibba lo neghi, si presenta come un affondo contro Di Maio e a come egli ha gestito gli affari di governo ed i rapporti con la Lega. Ma se cercate il merito, quale siano stati gli errori commessi — Di Maio ha sbagliato seguire Salvini sulla sicurezza, sulla Diciotti, ecc? —, non troverete nulla. Non troverete una parola chiara contro Tria che occupa il Mef per nome della eurocrazia, né tantomeno su Conte, e nemmeno su Mattarella che di fatto tiene sotto scacco il governo.

Di qui si è tentati di dare ragione ai giornaloni di regime che vedono in questa incursione di Di battista un modo per candidarsi a successore di Di Maio, considerato oramai un pesce bollito. Non voglio banalizzare la crisi del Movimento 5 stelle. E’ certo però che l’uscita del Dibba apre ufficialmente la lotta per la successione, corroborando il sospetto che ai piani alti del M5s si dia per scontato che il movimento andrà in pezzi, con la possibilità che ci sia una fratturazione in due pezzi principali: l’ala fichiana che andrà a comporre con il Pd un nuovo centro-sinistra, e un’ala che andrà con un nuovo centro-destra a guida salviniana. E quindi? E quindi Dibba che si pone come terzo campo, un grillismo delle origini che punta a tornare all’opposizione e conservare il M5s come terzo campo.

Non ci sarebbe niente di male in questo riorientamento, non fosse che esso si presenta come un “travaglismo ortodosso”, appoggiato su un giudizio unilaterale del salvinismo che potrebbe rivelarsi sbagliato.

Il modesto libricino è infatti un attacco durissimo a Salvini. Questo si basa su un teorema. Leggiamo a pagina 118:

«Salvini, forte del trionfo alle europee, si sta già, forse inconsciamente, rifugiando nel più becero berlusconismo».

Dibba da dunque per scontato che Salvini voglia tornare all’ovile sistemico del centro-destra, ed è sicuro che egli voglia far cadere il governo per andare al voto anticipato in autunno — di qui la sua autocandidatura a guidare le sconfortate truppe grilline.

Morale: basandosi su un giudizio del salvinismo (e delle intenzioni di Salvini) che potrebbe rivelarsi del tutto fasullo — all’atto pratico Salvini sembra essere quello più deciso a non capitolare ai poteri forti eurocratici — Dibba, invece di fare quadrato attorno al governo mentre è sotto attacco da parte della Ue, ha insomma sferrato un al governo il suo siluro, obiettivamente indebolendolo, con ciò facendo un favore all’eurocrazia, che è il vero e più pericoloso nemico del governo.