«Quando il nemico cerca il vantaggio, getta l’esca per ingannarlo. Quando è in confusione, attaccalo. Quando il nemico è potente, stai in guardia. Quando è forte, evitalo. Quando è infuriato, provocalo. Attaccalo quando è impreparato. Fai la tua mossa quando meno se lo aspetta».

Sun Tzu

Il compagno Alessandro Visalli ha scritto un articolo, ben fatto com’è nel suo stile — Giochi di specchi ed equivoci: il caso della Lega — che, dopo un’articolata analisi del fluido e per certi versi confuso quadro politico italiano, nelle conclusioni, chiama in causa chi, come noi, considera un dovere sostenere il governo giallo-verde nel braccio di ferro con l’Unione europea. Sostegno che quindi non è acritico, ma tattico, temporaneo e mirato.


Ebbene, la prima e categorica affermazione di Visalli è che il braccio di ferro non sarebbe che una messa in scena, testualmente una “una nuova puntata della partita di distrazione n.2 (essendo quella sugli immigrati la distrazione n.1)”.

A proposito di questa “distrazione n.2” il nostro afferma.

«Alcuni sperano, contro ogni speranza, che queste manovre siano il preludio ad uno storico passaggio del capitale anglosassone e del potere sovrano statunitense dalla pluridecennale politica di sostegno (anche ambigua a tratti, ma sempre confermata allo stretto) dell’unione continentale a guida tedesca, ad una nuova politica volta a frammentare il quadro, consentendo il distacco dell’Italia, magari della Spagna e di qualche altro paese mediterraneo. Ci sono corpose ragioni (negli intrecci di interesse, di capitale, brevetti, insediamenti produttivi, scambi di élite, consuetudini e relazioni) che militano verso la scarsa probabilità di questo esito in tempi medi. Ma soprattutto potrebbe essere descritto come l’alternativa tra padella e brace». [sottolineatura dell’autore]

Non solo sarebbe una “vana speranza” quella di un assist Washington a Roma in funzione anti-carolingia. Ove esso ci fosse il nostro Paese passerebbe dalla padella alla brace.

Perché non sono d’accordo l’ho spiegato giorni addietro — USCITA DALL’EURO E FILOSOFIA POLITICA:

«(1) chi immagina che in queste condizioni sia fattibile una lotta su due fronti, è meglio che cambi mestiere invece di perdere tempo con la politica; (2) che il nemico principale, oggi come oggi, per il popolo lavoratore italiano, non è Trump, bensì la potente oligarchia ordoliberista euro-tedesca e (3) ove la casa Bianca, per ipotesi, offrisse un assist a Roma per rompere con l’euro-dittatura, esso, per quanto ciò sia indigesto a quelli che soffrono di dispepsia, andrebbe colto al volo per fare gol all’oligarchia di cui sopra e vincere possibilmente la Champion league. La  super coppa intercontinentale con l’imperialismo statunitense, la giocheremo semmai dopo, a condizione di aver vinto la partita con l’euro-germania».

Chiedete a Tsipras se non ebbe un peso decisivo, nello spingerlo a subire la terapia lacrime e sangue della Troika, il niet opposto — prima da Obama, poi da Putin, quindi da alcuni potenti fondi d’investimento — a difendere la Grecia dall’attacco eurocratico.
Beninteso, non è affatto sicuro che Salvini possa contare sull’avallo di certo grande capitalismo anglosassone e yankee a sfidare l’euro-germania, ma ove questo assist giungesse sarebbe sbagliato respingerlo a priori. Il problema, semmai sarebbero le condizioni, visto che per gli americani non ci sono pasti gratis. Ove si ponesse il problema si dovrebbero valutare, sul piatto della bilancia, i costi ed i vantaggi per il Paese dell’una o dell’altra alternativa. Posto che ben conosciamo quale sarebbe per l’Italia il costo tremendo che pagherebbe ove accettassimo le politiche economiche lacrime e sangue chieste dall’euro-germania, Visalli è davvero sicuro che passeremmo dalla padella alla brace?

Questa, più che un’affermazione ponderata, ha tutta l’aria di un postulato ideologico e impolitico, rivelatore dell’idea che la subalternità all’Unione europea ordoliberista è pur sempre preferibile alla subalternità al liberismo di marca anglosassone — col che abbiamo, Visalli mi perdonerà il ricorso alla proprietà transitiva, che i britannici sbaglierebbero a perseguire la Brexit a qualsiasi costo perché starebbero passando… dalla padella alla brace.

Affermazione, quella della padella e della brace, impolitica, ovvero astratta, oserei dire idealistica, segno, ma forse mi sbaglio, della sudditanza teorica verso certo europeismo distopico habermasiano — l’idea per cui l’Europa avrebbe una missione civilizzatrice universale di cui l’Unione, malgrado tutto, sarebbe strumento.

Si capisce questa astrattezza ove si consideri che per il nostro non c’è alcun braccio di ferro, che esso è una mera pantomima, una manovra salviniana di distrazione di massa. Ove invece considerasse la possibilità della rottura e dell’uscita come frutto di processi oggettivi di crisi della Ue prima ancora che come conseguenza di contrapposte volontà politiche, Visalli dovrebbe prendere in considerazione che questa rottura non solo non sarà indolore ma getterà presumibilmente il Paese in una situazione altamente critica, tecnicamente d’emrgenza, sul piano economico e finanziario anzitutto (spread alle stelle, titoli di debito deprezzati, crisi bancarie a catena, default) e su quello politico-istituzionale. Chiedo a Visalli: in un contesto d’emergenza e di marasma di tali dimensioni respingerebbe l’eventuale salvagente americano?

Carlo Pisacane

A difesa della sua posizione (che in altri tempi si sarebbe definita “purista”) il nostro attinge alla storia del nostro Risorgimento, per la precisione si appoggia a Carlo Pisacane:

«Pisacane nel 1857, alla vigilia della partenza per la spedizione di Sapri, scrisse in “Saggio sulla rivoluzione”, “quale interesse possono avere gli italiani di favorire una dinastia piuttosto che l’altra? Il medesimo di un condannato cui fosse concesso di scegliere il carnefice”. Nel rovesciare la retorica risorgimentale, volta alla unità d’Italia come obiettivo dal quale tutto il resto deriva, dichiarando la priorità della “libertà sociale”, sulla mera “libertà politica”, il duca napoletano dichiara con grande forza d’animo e chiarezza di visione che chi “spera che un popolo straniero ci conquisti per poi donarci la libertà”, segue “delle utopie la più assurda e codarda ad un tempo stesso”. Visto dal punto di vista del patriota napoletano, e dunque di chi vede il Regno di Sardegna da secoli come paese estero (ma la cosa è in modo del tutto evidente simmetrica), è chiaro che “il forte troverà maggior vantaggio nel comandare, che nel francare completamente il debole; senza che la libertà ottenuta in dono non potrà essere che condizionata, quindi mutilata”.L’unica libertà reale è quella che si prende da se medesimi, e quella che attiva le energie sopite nel popolo, suscitandone le energie. Ancora con le parole di Pisacane: “Non è libera una nazione convinta, ch’altri, volendo, possa rapirgli la sua libertà; la piena fiducia nelle proprie forze è una condizione indispensabile (fiducia che solo dai fatti può emergere), quindi la libertà deve non solo conquistarsi ma conquistarsi senza aiuti”».

Pisacane non è stato solo un grande patriota. E’ stato il solo, anche contro Mazzini, a legare indissolubilmente la liberazione sociale degli oppressi a quella nazionale, e in questo fu un vero socialista ed un vero rivoluzionario. Di più, di contro non solo a Mazzini ma allo stesso Marx, comprese la centralità della riforma agraria, e che senza la mobilitazione dei contadini non ci sarebbe stata alcuna vittoria nazionale e rivoluzionaria. Mise dunque in guardia da un “risorgimento” guidato dalla borghesia perché questa, per sua natura, avrebbe tradito la causa democratica e popolare.

Le intuizioni di Pisacane erano giuste, ma non erano sorrette né da una solida teoria politica né da una realistica articolazione strategica. Dalla una profetica visione generale  possono discendere scelte tattiche, decisioni e pratiche sbagliate, poiché queste ultime debbono fare i conti con le circostanze concrete e con i rapporti di forza in cui l’azione politica si esplica. E’ certo, tanto per rifarsi al Machiavelli, che il rigorismo morale non è quasi mai un buon consigliere dello stratega politico. Nel caso specifico erano idee sbagliate la “propaganda del fatto” e la concezione mitica dell’azione eroica, come una pratica errata il militarismo avanguardista. Pisacane fu infatti un proudhoniano anti-giacobino, per certi versi antesignano di certo anarchismo antipolitico. Per quanto sia triste occorre riconoscere che la sua fine tragica nel luglio 1857, fu la sanzione del suo primitivismo politico.

Ci sarà pure una ragione se alla fine sarà il genio politico del Cavour, il suo machiavellico destreggiarsi tra le potenze in contesa, ad averla vinta e per la prima volta dopo tanti secoli a fare dell’Italia uno Stato-nazione.


Tutto questo per dire che non c’è niente di più sbagliato tirare in ballo Pisacane come  maestro. Per essere più precisi è sbagliato considerare il suo esempio come foriero di insegnamenti per l’Italia dell’oggi che, piccola potenza tra grandi per di più privata di sovranità sostanziale, potrà liberarsi se e solo se saprà utilizzare per trarne vantaggio gli attriti ed anche i conflitti tra le potenze mondiali.

Come “principe” avemmo già Cavour, e il popolo ne pagò le conseguenze a carissimo prezzo. Serve oggi un “Principe” che tenga assieme determinazione rivoluzionaria e realismo politico. Per questo non ci serve Carlo Pisacane, ma semmai Antonio Gramsci.