«La lotta per la sovranità nazionale non si alimenta con la paura, quanto piuttosto con la ragionevole speranza di una liberazione che non potrà tardare a lungo».

Chi ha paura non vada alla guerra. Ecco un detto che chi si occupa delle cose della politica sempre dovrebbe rammentarsi. E come non farlo, ricordando Sciascia, nel momento in cui gli ominicchi potrebbero lasciare il posto ai quaquaraqua? Ma non è di “grande” politica che vogliamo occuparci oggi, bensì di un problema più circoscritto: quello dei sovranisti alimentati a paura, quelli del “vorrei ma non posso”, del “prima bisogna…”, eccetera eccetera.

Stavolta ce ne offre lo spunto uno scritto di Davide Gionco, apparso su “Scenari economici“. Il ritornello è sempre il solito: uscire dall’euro è difficile, la Bce ci strangolerebbe, il consenso non ci sarebbe (o comunque non reggerebbe), meglio sarebbe stato esserne fuori, ma ormai…

Certo in maniera del tutto involontaria sono proprio questi discorsi il regalo più grande che si possa fare alle oligarchie euriste. Del resto, anche tra i dominanti non manca chi riconosce che l’euro sia stato un errore, aggiungendo però subito dopo che adesso uscirne sarebbe semplicemente catastrofico.

Già tre anni fa chi scrive polemizzò con un articolo di Giorgio Lunghini, il cui succo si condensava in questa frase del noto economista scomparso nel 2018: «In breve, l’Unione Economica e Monetaria europea è come l'”Hotel California” nella canzone degli Eagles: forse sarebbe stato meglio non entrare, ma una volta dentro è impossibile uscire».

Un concetto assurdo in sé, quello della “impossibilità”, che se preso sul serio ci condurrebbe dritti dritti nelle accoglienti braccia di Francis Fukuyama e della sua “Fine della storia“, pensata e scritta dopo la disgregazione dell’Urss. Ma se del politologo americano di origine giapponese oggi ben pochi si ricordano, una ragione certo ci sarà. Purtroppo, però, certe visioni (stavolta cucinate in salsa tecnicista) si son fatte strada in tanti mondi, anche in quello sovranista. Ed una delle idee che circolano è che, non solo non ci sarebbe più spazio per le sollevazioni come per le rivoluzioni, non solo sarebbe vietato pensare, aspirare e lottare per una diversa società, ma pure uscire da due costruzioni politiche come l’euro e l’Ue sarebbe un’impresa quasi impossibile.

Il brutto è che mentre l'”impossibilismo” (mi si passi il termine) di Lunghini era tutto da ascriversi – singolare paradosso dei tempi nostri – al conservatorismo della cosiddetta “sinistra radicale”; quello adombrato da certi sovranisti, pur essendo animato da opposti obiettivi, rischia di condurci anch’esso nei meandri dell’impotenza. Ma la lotta per la sovranità nazionale non si alimenta con la paura, quanto piuttosto con la ragionevole speranza di una liberazione che non potrà tardare a lungo.

L’articolo di Davide Gionco

Partendo dalla fosca cornice di cui sopra, l’idea proposta da Gionco non è certo nuova. In breve: anziché uscire dall’euro, la moneta unica verrebbe semplicemente aggirata con l’introduzione di una moneta parallela. Avremmo così un parto indolore e tutti vivrebbero felici e contenti. Il primo paradosso di questo ragionamento è che dopo aver descritto un nemico pressoché invincibile, alla fine egli dovrebbe gettare la spugna dopo una manovra di aggiramento di cui (evidentemente) non si sarebbe accorto in tempo. Bah!

Prima di entrare nel merito dell’articolo voglio però ricordare due cose. La prima è che mai e poi mai abbiamo pensato ad un’uscita indolore dall’euro, il che non vuol dire però che essa debba essere immaginata e descritta come una catastrofe, come una sorta di Terza guerra mondiale. La seconda è che riteniamo positiva (e per certi aspetti necessaria) l’introduzione di una moneta parallela, e non a caso siamo a favore dei Mini-Bot, ma riteniamo che questa mossa abbia senso solo nell’ambito della prospettiva dell’uscita piena dall’euro e dalla Ue.

Detto questo, veniamo ad alcune affermazioni centrali dell’articolo in questione. Scrive Gionco:
«La soluzione al problema sembra semplice: “usciamo dall’euro!”. E traditori sono i politici che avevano promesso di farlo ed ora non lo dicono nemmeno più. Cerchiamo ora di capire perché, se anche sarebbe cosa buona che l’Italia non fosse mai entrata nell’euro e sarebbe cosa buona oggi trovarci fuori dall’Eurozona, vi sono delle difficoltà oggettive a realizzare il passaggio “da dentro a fuori”. E sono certamente queste difficoltà a far tacere i politici, quei pochi che hanno capito il problema, su questo argomento. Il fatto principale è che l’euro non è solo una moneta. E’ soprattutto un sistema di regole comuni a molti paesi europei, una organizzazione  complessa e interconnessa».

Lo ripeto a scanso di equivoci: non siamo mai stati tra i “facilisti” del “tutto e subito”, ma giustificare certe giravolte dicendo che quei politici «hanno capito il problema» è davvero un po’ troppo. Che l’euro sia un sistema oltre che una moneta è cosa fin troppo nota, scoprirlo ora o è tardivo o è furbesco.

Ma è davvero impossibile uscire da quel sistema? Qui Gionco fa sfoggio di un catastrofismo davvero fuori luogo. Per rendercene conto leggiamo due passaggi. Così si esprime nel primo:
«Se la BCE, sulla quale la Repubblica Italiana non ha sostanzialmente alcuna autorità, decide di bloccare il sistema bancario, succede che tutto il nostro denaro non lo possiamo più utilizzare. Ovvero: la BCE ha il potere di bloccare il sistema dei pagamenti bancari».

Ha la Bce questo potere? Ovviamente sì, ma ce l’ha finché restiamo nell’euro. Dopo no. Un minuto dopo l’uscita questo potere svanisce nel nulla. Una ragione in più per percorrere quella strada. Il problema è semmai nella fase precedente all’uscita, ma appunto per questo dilatarla oltremodo sarebbe un errore, quello sì, catastrofico.

Vediamo ora il secondo passaggio:
«Se un governo democraticamente eletto decide di “uscire dall’euro”, la BCE lo minaccia con il blocco del sistema dei pagamenti. Mentre quel governo converte le euro-banconote in neo-lire, tutti noi ci troveremmo impossibilitati a ricevere lo stipendio sul nostro conto corrente bancario, non potremmo pagare le bollette, non potremmo ritirare banconote dai bancomat. Non è fantascienza, sono fatti a cui abbiamo già assistito in Grecia o a Cipro. O anche in Argentina nel 2001-2002. Non solo: lo Stato non potrebbe più ricevere i pagamenti delle tasse, né pagare gli stipendi. Si fermerebbe la macchina dello Stato, i trasporti, gli ospedali, l’economia intera. Come già successe in Argentina nel 2001, non potendo convertire le nostre “note contabili” presso le banche nei beni e servizi di cui abbiamo bisogno per vivere, ci sarebbero gli assalti ai supermercati per potersi procurare anche solo da mangiare e ci sarebbe la fuga dalle città verso le campagne, dove almeno è possibile trovare del cibo senza pagarlo».

Questo catastrofismo, francamente incommentabile, non ha davvero giustificazione alcuna. E per diversi motivi. In primo luogo, un governo minimamente capace non avrebbe troppe difficoltà a prendere tutte le contro-misure del caso. In secondo luogo, uscire dall’euro non è “uscire dal mondo” e neppure “uscire dall’Europa”, e non è difficile prevedere che un po’ tutti i paesi europei farebbero a gara per mantenere e sviluppare affari e commerci con l’Italia post-euro. Assurdo dunque spargere terrore sul sistema dei pagamenti bancari.

In terzo luogo, posto che una fase di emergenza va effettivamente messa nel conto (ma non nei termini ipotizzati dal Gionco), essa non sarebbe comunque troppo lunga. E qui voglio essere brutale ma chiaro: se non siamo nemmeno capaci di immaginare e di affrontare qualche giorno senza il bancomat, è giusto che rimaniamo schiavi.

Non si può infatti avere la botte piena (la sovranità) e la moglie ubriaca (il quieto vivere senza scossone alcuno).

Avendone scritto tante volte in passato, non la faccio qui troppo lunga sulla questione del debito pubblico, altro tema che preoccupa Gionco. Detto che sono totalmente d’accordo sulla sua rinazionalizzazione, non riesco veramente a comprendere il suo allarmismo. Lo spread è un problema, ma solo finché restiamo nell’euro senza una Banca centrale che faccia il suo lavoro di prestatrice di ultima istanza. Al massimo, per un periodo brevissimo, si tratterà di rinviare di qualche giorno il pagamento dei titoli in scadenza. Gli investitori inizieranno a vendere alle prime avvisaglie dell’uscita? Facciano pure. A loro decidere se svendere in euro od essere ripagati al 100% in nuove lire. Per lo Stato italiano nulla cambierebbe.

In conclusione

Se mi sono occupato dell’articolo di Gionco, non è solo per mettere in guardia da un catastrofismo che fa soltanto (evidentemente al di là delle intenzioni) il gioco delle èlite. E’ anche per segnalare un errore di fondo ancora più grande.

Siamo talmente immersi nel mondo della tecnica da ridurre ogni questione ad un problema tecnico. E siccome la materia monetaria ha una sua complessità, i problemi tecnici sembrano l’aspetto principale. Errore, errore madornale. Gli aspetti tecnici hanno la loro importanza, ma mai vengono per primi.

Il nodo principale, quello veramente decisivo, è puramente politico. Quel che occorre è il potere politico, la volontà di agire per l’Italexit, la determinazione a farlo nelle condizioni più favorevoli (o meno sfavorevoli) per l’interesse nazionale e per quello del popolo lavoratore. Ciò che conta è questa capacità decisionale, questo doveroso coraggio unito alla mobilitazione popolare.

Poi verrà la tecnica e con essa i tecnici. Ma se vi saranno potere, volontà e determinazione, non mancherà di certo la capacità tecnica di risolvere ogni questione.

Nel frattempo non lasciamoci imbrigliare in risposte che sembrano più facili, ma che non solo non lo sono (vedi la risposta della Cupola eurocratica ai Mini-Bot), ma che rischiano di illudere sulla possibilità di evitare lo scontro col blocco eurista. Più che sfornare una ricetta tecnica al giorno, c’è adesso bisogno di costruire un percorso politico.

La manifestazione del 12 ottobre servirà proprio a questo.