Il cambio di posizione di Programma 101 rispetto al governo Conte — COMUNICATO N. 9/2019 del 18 luglio —, ovvero il passaggio dall’appoggio tattico all’opposizione, è stato considerato da alcuni una “salutare correzione di un errore grave”, da altri una “giravolta”, da altri ancora un “aggiustamento a tempo scaduto”.

Ci sono ovviamente molte sfumature di grigio, ma sempre di grigio stiamo parlando.

Non siamo adusi a nascondere o camuffare le divergenze politiche con alcuni amici e compagni — anche dell’area della Sinistra patriottica. Esse c’erano, ci sono e, ahinoi, resteranno. E finché esse non saranno superate è improbabile che nel breve futuro sia possibile un soggetto unico di questa sinistra. Speriamo invece non risulti aleatoria la costruzione di un fronte comune. Lo vedremo presto il 12 ottobre, poiché penso che il 12 traccerà una linea tra il prima e il dopo, tra chi considera irreversibile la rottura con la sinistra transgenica e chi, di riffa o di raffa, resta aggrappato alla sottana dell’élite euro-globalista. Ci sono poi sempre le sette, che non si aggrappano a nessuno e passano il loro tempo a contemplare il proprio ombelico. Di queste inutile occuparsi.

Non ci giriamo attorno, guardiamo anzi in faccia queste differenze.

(1) POPULISMO


Non siamo giunti all’appoggio tattico al governo giallo-verde(blu) per sbaglio, alla leggera, bensì dopo un lungo e faticoso percorso fatto di studi, discussioni, lotte, diserzioni. Ci siamo arrivati anzitutto in base al discorso sul “populismo” ed alla analisi ed al giudizio sulle due forme specifiche di populismo italiano: m5s e Lega salviniana. Non abbiamo mai affermato che essi rappresentassero una rottura in atto della gabbia euro-globalista, o che questi movimenti populisti fossero all’altezza del momento storico che viviamo. Al contrario, abbiamo sempre segnalato la loro insipienza, la loro profonda inadeguatezza. Abbiamo cioè costantemente ribadito che essi incarnavano, volenti o nolenti, una spinta storico-sociale in potenza, che portava seco la possibilità dello scontro con l’Unione europea ed i poteri forti collaborazionisti nostrani. Dicevamo che il populismo, per quanto per sua natura contraddittorio, veicolava un impulso democratico, che incarnava una potente volontà di rivincita sociale di un blocco sociale tendenzialmente maggioritario, le diverse classi sociali ferite a morte dalla euro-globalizzazione — non solo la media e piccola borghesia, ma pure la gran parte della classe operaia e della gioventù proletaria.
Il populismo, era dunque, in ultima istanza, una manifestazione, pur spuria, della vecchia ma non defunta lotta di classe.


(2) IL FATTORE PRINCIPALE


Alla base di questo giudizio sul “populismo” e le sue potenzialità eversive dello stato di cose presenti c’era un paradigma che abbiamo sempre tenuto fermo: nella scala delle priorità (intendiamo le priorità del Paese, quindi della sua maggioranza popolare) abbiamo sempre posto la necessità della rottura dell’Unione europea, dunque il legame tra la questione sociale e democratica e quella della sovranità nazionale. Abbiamo cioè sempre considerato la relazione tra l’Unione e la nostra nazione come essenzialmente antagonistica, perciò come il fattore principale. Diversamente da noi, di riffa o di raffa, altri gruppi della sinistra hanno considerato come principali fattori i diritti civili o  l’accoglienza degli immigrati, giungendo a qualificare il populismo come proto-fascista, addirittura adombrando una “fascistizzazione delle masse”. Altri ancora, del tutto incapaci di fare i conti sol reale, hanno insistito nell’immaginare che la contraddizione principale fosse quella tra capitale e lavoro (anticapitalismo d’abord). Certo, non abbiamo mai escluso un’inversione delle contraddizioni (la principale può diventare secondaria e viceversa). Si faccia avanti tuttavia chi ha visto in questi ultimi dieci anni manifestarsi questa inversione. Morale della favola: il sostegno tattico al governo Conte era una maniera per agire sulla contraddizione principale, ovvero sostenere lo sganciamento di Roma dall’asse carolingio Berlino-Parigi, considerando che ogni pur piccolo passo andava nella giusta direzione. Considerando infine che essendo l’élite euro-globalista (Pd anzitutto) il nemico principale, e la Ue una gabbia di ferro, l’auspicabile fratturazione dell’Unione avrebbe rappresentato una essenziale conquista strategica, l’inizio di una fase che avrebbe riaperto la partita anche per le debolissime forze rivoluzionarie. Su questa via pochi ci hanno seguito a sinistra, molti invece, fuori.


(3) LINEA DI MASSA E BLOCCO SOCIALE


La conseguenza di questo discorso è stata per noi inevitabile: non solo schierarsi col “campo populista” contro quello dell’élite euro-globalista, ma costruire quella che chiamammo la “terza gamba” di quel campo, un movimento patriottico e partigiano per far sì che la disobbedienza ai diktat dell’Unione maturasse nella direzione di una lotta nazionale e sociale di liberazione. Era per noi la logica conseguenza di quel che andavamo sostenendo da almeno un lustro: linea di massa. Il polo rivoluzionario poteva essere costruito dentro, e non fuori il campo popolare e populista, poiché esso conteneva la parte più avanzata della società italiana. Diciamo quel che pensiamo, e facciamo quel che pensiamo. Per questo uscimmo daEurostop (che respingeva l’idea della centralità della questione nazionale) e fummo tra gli animatori dellaConfederazione per la Liberazione nazionale la cui ragione sociale era la costruzione di un Comitato di Liberazione nazionale. Si rifiutavano, in Eurostop, sia di considerare la lotta nazionale come centrale, sia di valutarla come una forma della lotta di classe, sia, infine, di considerare il populismo, malgrado la sua momentanea configurazione politica, come espressione del solo blocco sociale dalla cui evoluzione e tenuta dipendeva (e dipende) la possibilità (sottolineato possibilità) di cacciare l’élite collaborazionista dal governo. Un passaggio decisivo (decisivo per chi mastichi almeno un po’ la politica) che noi ritenemmo a portata di mano dopo il referendum del 4 dicembre 2016. Un passaggio, quella vittoria del NO, che pochi seppero cogliere nella sua effettiva dimensione — si cianciava che si trattasse anzitutto di “anti-renzismo —, che nessuno seppe leggere come il sintomo dell’avanzata poderosa del populismo.


(4) APPOGGIO TATTICO


Avanzata che ineluttabile verrà, manifestandosi nel terremoto elettorale del 4 marzo 2018. Terremoto devastante da cui nascerà il governo giallo-verde(blu) — dove il blu è la “quinta colonna” mattarelliana. Dicemmo subito che il governo, nascendo grazie ad un infido compromesso coi poteri forti — ricordiamo il veto di Mattarella su Paolo Savona a ministro dell’economia —, non nasceva sotto una buona stella. Il “contratto di governo” non era certo entusiasmante — un ibrido notarile di liberismo e keynesismo —, tuttavia, frutto dell’accordo tra i due populismi, la sua attuazione implicava non solo la fine dell’austerità, ma la disobbedienza all’eurocrazia. Di qui la nostra decisione sull’appoggio tattico. Anche qui, una precisazione è doverosa: non ci siamo fatti deviare dalla molte promesse, alcune banali, altre inaccettabili, scritte nel “contratto”; dicemmo che avremmo giudicato l’azione di governo anzitutto dalla qualità delle sue politiche sociali, dalla determinazione a porre fine alle politiche di austerità dettate dal vincolo esterno e dal dogma del pareggio di bilancio. Altri, a sinistra invero pressoché tutti, caddero nella trappola ideologica dell’élite, giudicando il governo dalla sua legiferazione attinente a minoranze spesso insignificanti o agli immigrati. Eppure ci voleva poco a capire che la campagna ideologica “progressista” nascondeva il vero motivo dell’ostilità dei poteri forti verso il governo, il fatto essenziale che per la prima volta da decenni, disobbediva loro.


(5) TERREMOTO NEL CAMPO POPULISTA


L’offensiva a tutto campo dell’élite spinse il governo a fare marcia indietro, che infatti rimodulò la Legge di bilancio 2019 affinché fosse evitata la ritorsione dei mercati e dell’Unione europea. Condannammo quel compromesso, dicemmo tuttavia che  la partita restava aperta, che non si trattava di una finanziaria austeritaria. Avevamo piuttosto una tregua in cui entrambi gli sfidanti guadagnavano tempo. C’erano in vista le elezioni europee, che malgrado il rovesciamento dei rapporti di forza tra M5S e Lega, confermavano un’ampia maggioranza popolare a sostegno del governo. Maggioranza conservata malgrado una furibonda e massiccia campagna di diffamazione animata dal fronte eurista. Una maggioranza conservata grazie alle misure adottate (per quanto menomate rispetto alle promesse iniziali: Quota 100 e RdC) e malgrado la evidente  improvvisazione e inidoneità a governare dei due populismi, nonostante gli stucchevoli litigi tra loro e tra i diversi esponenti della posticcia maggioranza. Litigi che hanno premiato la Lega di Salvini apparso come l’uomo decisionista, il populista che tira diritto, pronto a tenere testa alla Ue ed agli avversari nostrani — mentre Di Maio ha svolto una campagna elettorale suicida, all’insegna di un moderatismo politicamente corretto, ciò che spiega il crollo elettorale del M5S. Un’inversione, quella dei rapporti di forza all’interno del campo populista, che cambiando di nuovo il panorama politico ha avuto un effetto destabilizzante sul governo Conte.


(6) IL GIORNO DEL GIUDIZIO


Abbiamo conservato la posizione di appoggio tattico (tanto più perché da Bruxelles era giunta la minaccia della “procedura d’infrazione”), sempre ritenendo che il banco di prova per il governo, il vero giorno del giudizio, sarebbe arrivato nei messi successivi, alla prova della prossima Legge di bilancio. La “manovrina” di giugno, scritta da Tria (più volte abbiamo invocato la sua estromissione dalla compagine governativa), l’accordo siglato da Conte con la Merkel e Macron in sede europea per le nomine ai vertici Ue, sono stati due inquietanti campanelli d’allarme. Il Cc di P101 scriveva l’8 luglio scorso:

«Il tempo sta scadendo. La prossima Legge di bilancio sarà la cartina di tornasole per capire se il governo si ribellerà o si inginocchierà alla Ue. Per questo i patrioti ed i cittadini consapevoli dell’alta posta in palio non possono restare alla finestra. Assieme dobbiamo trovare il modo di mobilitarci e scendere in piazza per la fine dell’austerità, per la sovranità e la democrazia, contro l’euro-dittatura. A fianco del governo nel caso avrà il coraggio di combattere, contro se getterà la spugna».

La goccia che per noi ha fatto traboccare il vaso è stato il voto con cui i parlamentari europei del 5 stelle hanno salvato, assieme al falco Von Der Leyen, la cupola eurocratica da una crisi istituzionale che sarebbe potuta diventare devastante. Non è stato un incidente di percorso ma, come da noi affermato il 18 luglio, un salto di qualità, uno sfrontato segnale che il

«M5S ha attraversato il Rubicone, passando armi e bagagli nel campo dell’élite eurocratica — passaggio sancito dalla indegna adesione al gruppo liberista capeggiato da Macron Renew Europe. Da questo momento, visto che i 5 Stelle hanno la maggioranza assoluta dei ministri, e dato il loro tradimento — che dovranno pagare a caro prezzo —, la Sinistra Patriottica denuncia questo governo come una succursale della cupola eurocratica, come un nemico della causa sovranista e del popolo lavoratore».


(7)  QUANTITÀ E QUALITÀ


La bestialità compiuta dal M5S non ha solo indebolito il governo, lo ha gettato in uno stato comatoso, e un governo moribondo non potrà fare niente di buono per il Paese. Fiaccato com’è, esso è un ostaggio dei poteri forti.
Di più: col salto della quaglia dei Cinque Stelle è il campo populista che è stato azzoppato e sfibrato. Nei fatti non abbiamo più due populismi ma uno solo, e non abbiamo più un governo populista con una quinta colonna eurista all’interno, ma un governo a trazione eurista con un ospite indesiderato, la Lega salviniana — posta non a caso sotto attacco e che a sua volta vede al suo interno una forte componente liberista, nordista e collaborazionista. In queste condizioni, dati i cambiamenti avvenuti, mantenere l’appoggio tattico al governo equivarrebbe a diventare ruote di scorta dei poteri forti.

La quantità, ad un certo punto ed a certe condizioni, si trasforma in qualità, come l’acqua che a cento gradi evapora o a zero gela, gli atti, le decisioni ed i gesti, anche solo simbolici, di un movimento, sanciscono ad un certo punto il passaggio qualitativo. Uno degli aspetti decisivi del fare politica è appunto capire, e quindi decidere, in quale momento critico ed a quali condizioni la quantità si trasforma in qualità. E’ infatti in questi momenti critici che cambia il senso comune, che le minoranze creative possono stabilire una relazione con esso, o almeno con le linee più avanzate del popolo. Non è dunque fare come gli oracoli che prevedono un’eclissi ma non hanno la più pallida idea di quando essa avverrà. Certi sapientoni che ci dicono “noi ve l’avevamo detto” sono come quell’orologio rotto che indica almeno due volte al giorno l’ora esatta.

Gli orologi rotti non servono a nessuno, tantomeno al popolo, tanto più in questo delicato frangente storico.