Ancora a proposito della narrazione leghista sulla crisi

Al di là delle divergenze politiche chi scrive ha sempre avuto grande stima di Alberto Bagnai, ma la sua ricostruzione delle vicende che hanno portato alla fine del governo gialloverde non fa certo onore alla sua intelligenza.

Capisco la scelta salviniana di intorbidire le acque – la propaganda ha le sue esigenze -, tuttavia da uno come Bagnai ci si aspetterebbe qualcosa di meglio del semplice accodamento ad una narrazione che fa acqua da tutte le parti. Una narrazione che include ovviamente alcune verità, occultandone però altre non meno importanti. Il tutto al solo patetico scopo di salvare la faccia a colui che l’ha persa.

Su tutto ciò ho già avuto modo di scrivere nei giorni scorsi, ma tornarci sopra non è inutile. Ed il testo di Bagnai ci dà l’occasione di andare al succo di diverse questioni, ponendo al senatore della Lega dodici precise domande.

Prima domanda

Già il titolo del suo articolo, “Cronaca di una crisi annunciata“, vorrebbe dar l’idea che in fondo tutto era già scritto, che dunque – mossa di Salvini o meno – si sarebbe comunque arrivati in breve ad un governo M5s-Pd. Ecco allora la prima banalissima domanda: se così stavano le cose, perché agevolare quell’operazione aprendo la crisi con motivazioni ridicole (tipo, il “partito del sì” contro quello “del no”) che non spiegavano nulla agli italiani?

Seconda domanda

Naturalmente, Bagnai ha tutto il diritto di pensare che invece la crisi sia stata aperta con motivazioni chiare, precise e ben illustrate. Resta il fatto che se alla maggioranza delle persone così non è parso, un motivo ci sarà. Tuttavia la seconda domanda è un’altra: se ormai la situazione tra Lega ed M5s era già prima assolutamente incomponibile, che senso ha avuto la successiva riapertura ad un governo gialloverde bis?

Terza domanda

Sulle prime due questioni il Nostro non dice nulla, mica si può criticare (neanche di striscio) l’ex ministro dell’Interno! Ma torneremo alla fase immediatamente precedente all’apertura della crisi più avanti. Adesso voglio invece seguire, passo dopo passo, gli argomenti dell’articolo in questione.

Bagnai inizia ricordando il lungo periodo (88 giorni) che portò alla nascita del governo gialloverde nella primavera 2018. Curiosamente, ma non troppo, egli se la prende con Mattarella per non aver allora incaricato Salvini come leader della coalizione di destra (includente in posizione di spicco quel sovranista convinto che corrisponde al nome di Silvio Berlusconi), mentre glissa invece sul ben più grave veto posto nei confronti di Paolo Savona.

La cosa è rivelatrice assai. Mentre la critica a Mattarella sull’incarico a Salvini è infondata – il presidente della Repubblica è tenuto ad incaricare non il leader della coalizione di maggioranza relativa, ma colui che può ragionevolmente ottenere la maggioranza assoluta in parlamento – la mancata critica al diktat presidenziale del 27 maggio 2018 la dice davvero lunga.

Come se la cava sul punto il presidente della VI Commissione del Senato? Egli ci dice soltanto che venne: «recepita la raccomandazione del Presidente della Repubblica di avere un Ministro dell’economia che non desse “un messaggio di allarme per gli operatori economici e finanziari”». Tutto lì? Non è un po’ pochino? Non si ricorda Bagnai che a quel diktat (diktat, non raccomandazione), peraltro palesemente concordato con Bruxelles e Berlino, il leader dei Cinque Stelle rispose con la (più che motivata) richiesta di impeachment, mentre Salvini preferiva tacere? Questa è allora la terza domanda: perché la Lega non raccolse la sfida a Mattarella, accettando invece che quest’ultimo infiltrasse il governo con Tria e Moavero?

Quarta domanda

Subito dopo Bagnai ci parla dei problemi posti da quella che definisce “ibridazione tecno-politica“, degli strabordanti poteri del Ministero dell’economia, del ruolo che in esso hanno, specie nelle trattative con l’Ue, tecnici sostanzialmente inamovibili. Su tutto ciò non possiamo che essere totalmente d’accordo. Anzi, nel nostro piccolo fummo i primi a parlare, denunciandone il ruolo e la pericolosità, della Quinta Colonna mattarelliana capeggiata da Tria. Tuttavia, in quattordici mesi di governo la Lega e Salvini hanno alzato la voce sui migranti, la sicurezza, la legittima difesa, gli inceneritori, il Tav, il Tap, la famiglia, per avere più soldi al nord, per Israele e contro l’Iran. Come mai – quarta domanda – il problema Tria non è mai stato posto apertamente? Non sarà che ciò sia dipeso dalle contraddizioni interne della Lega?

Quinta domanda

Ad un certo punto della sua ricostruzione il Nostro ci dice che: «I toni sono degenerati rapidamente con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni europee». Già, sono degenerati, ma a causa di chi? Chiaro che il suo riferimento, come esplicitato nell’articolo, è rivolto unicamente ai Cinque Stelle. Ma è corretta questa ricostruzione? Ora, chi scrive non ha niente a che spartire con M5s, specie dopo la svolta eurista degli ultimi mesi, tanto più dopo l’entrata a pieno titolo nell’attuale governo della restaurazione. Tuttavia la ricostruzione di Bagnai proprio non ce la racconta giusta.

Che forse i toni della Lega nei confronti di M5s erano quelli di un alleato? Quante volte la Lega ha manifestato (con Pd e berluscones, con Confindustria e sindacati) nel mitico “partito del Pil” per imporre il Tav? Quante volte la Lega si è unita alla stampa mainstream nel deridere questo o quel ministro pentastellato? Quante volte, con la sua costitutiva arroganza, Salvini ci ha voluto far sapere che nel governo era lui (e solo lui) che comandava?

Sta di fatto che, mentre Salvini e Di Maio parlavano d’altro, il partito mattarelliano interno al governo riportava l’Italia nell’ovile eurocratico. Questo esito, che non era già scritto fin dall’inizio, è stato anche il frutto di una conflittualità interna alla vecchia maggioranza che Salvini e la Lega hanno costantemente alimentato. Non pretendo che Bagnai concordi con questa mia valutazione, ma è così assurdo pensare – quinta domanda – che sia stata proprio l’iniziativa leghista a gettare i Cinque Stelle nelle braccia del Pd, facendo così un enorme regalo alle èlite eurocratiche?

Sesta domanda

Sia chiaro, tutto ciò non assolve minimamente i Cinque Stelle, il loro vuoto strategico, la loro adesione al “politicamente corretto”, tantomeno la vergogna del governo col Pd ed il voto alla Von der Leyen.

Su quest’ultima questione così scrive il Nostro: «Nel frattempo, in coerenza con la linea euroscettica, e in dissenso verso il “cordone sanitario” al Parlamento Europeo la Lega non votava la candidata presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen». Vero, il voto è stato quello, ma può smentire Bagnai – sesta domanda – ciò che a noi risulta, che quel voto negativo non è stato tanto l’espressione di una chiara volontà politica di opporsi alla nuova Commissione Europea, quanto piuttosto il frutto di una mancata vicepresidenza a Strasburgo, che se invece questa fosse stata concessa anche la Lega avrebbe votato a favore della tedesca?

Settima domanda

A proposito di quelle settimane seguite alle europee di maggio, scrive Bagnai che nonostante l’evidente tradimento di Conte (e qui concordiamo in pieno), definitivamente passato nel partito mattarelliano: «Salvini decideva tuttavia di mantenere fedeltà all’alleato, nella speranza di ricucire gli strappi, nel frattempo incontrava tutte le parti sociali, trovandole unanimi nel richiedere un importante taglio delle tasse per lavoratori e produttori».

Ecco, qui mi è venuto proprio da mettermi le mani nei pochi capelli rimasti. Ma come, il problema sono Tria e Conte, ed anziché porre la questione della loro incompatibilità con quello che si faceva chiamare “governo del cambiamento”, si convocano le parti sociali al Viminale? Per fare cosa, di grazia? Non avverte il Nostro – settima domanda – che evitare di intervenire sul vero problema politico, per ricorrere invece ad un inutile incontro al Viminale, sia stata solo una delle tante buffonate del suo “capitano” in pieno delirio di onnipotenza?

Ottava domanda

Leggiamo ancora la ricostruzione di Bagnai sulle settimane di luglio: «Nel frattempo Salvini aumentava la pressione sui tecnici del Governo per ottenere una legge espansiva per il 2020 con tanti investimenti e un corposo taglio delle tasse». Senza dubbio sarà stato così, ma la verità è che sul punto Salvini non è mai stato preciso. Non lo è stato sull’entità della manovra espansiva, tantomeno sulle tasse. Sul progetto di flat tax – sorvolando adesso sulla sua iniquità sociale, maggiore o minore a seconda delle varie ipotesi circolate – mai è stata presentata una proposta precisa. Ed il perché è chiaro: se lo si fosse fatto si sarebbe immediatamente scoperta la sua pochezza, sia dal punto di vista macroeconomico che da quello di chi le tasse le paga.

Se Siri, prima che passasse ad occuparsi dell’eolico, parlava di 50/60 miliardi, si era poi scesi a 30, poi a 20, infine (lo dicevano gli esponenti della Lega) a 10. Ora, 10 miliardi diviso 40 milioni di contribuenti fa 250 euro medi a testa, cioè 20 euro al mese. Non proprio quel «corposo taglio delle tasse» di cui parla il Nostro.

L’ottava domanda è dunque semplice, semplice: se quanto ho appena scritto non corrisponde a verità, vuole il Presidente della VI Commissione del Senato, a maggior ragione oggi che il suo partito non è più al governo, dirci esattamente come avrebbero realizzato la flat tax? Ai cittadini interesserebbe assai.

Nona domanda

Giustamente Bagnai ricorda l’ingloriosa vicenda dei minibot, sulla quale rammenta l’opposizione di Tria. Tutto vero, ma – nona domanda – non risulta al Nostro che, insieme a Conte e Tria, il principale affossatore dei minibot sia stato quel tal Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia, autorevole esponente del suo partito a tal punto che Salvini, dopo l’apertura della crisi, lo indicava come futuro Ministro dell’Economia?

Decima domanda

Prudentemente, Bagnai non parla nel suo articolo del “regionalismo differenziato”. Capisco la reticenza, che vorrei poter interpretare anche come dissenso rispetto alla linea del suo partito. Tuttavia la questione ha una grande rilevanza, tanto più che non si vede come si possa riconquistare la sovranità nazionale distruggendo nel contempo l’unità del Paese. Mi permetto allora la decima domanda: cosa pensa il senatore della Lega delle pretese dei governatori delle regioni del nord?

Undicesima domanda

Torniamo adesso al momento dell’apertura della crisi. Se il problema centrale – e qui concordiamo pienamente con Bagnai – era quello del ruolo di cane da guardia delle regole europee svolto della componente mattarelliana, quella che noi abbiamo chiamato Quinta Colonna, niente torna nelle modalità di apertura della crisi. E’ ben noto infatti come in quel momento Salvini non abbia neppure citato Tria, mentre si è scagliato contro i Cinque Stelle come “partito del no”, quasi che in politica si dovessero dire sempre e soltanto dei “sì”.

Come mai questa reticenza salviniana? Così scrivevo in un articolo di sei giorni fa:
«Mettiamoci ora nei panni di un Salvini che fosse stato davvero deciso ad affrontare lo scontro con l’Unione Europea. Cosa avrebbe dovuto fare l’ormai ex ministro dell’interno di fronte alle posizioni europeiste all’interno del governo? Semplice, egli avrebbe potuto dire: signori, qui senza una terapia choc (necessariamente da finanziare a debito) non si esce dalla stagnazione, occorre dunque portare il deficit al 3, meglio al 4%. Su questa base – e forte del consenso elettorale – avrebbe potuto chiedere un sì od un no a Conte, Tria e Di Maio. I primi due avrebbero certamente risposto picche, sul terzo non ci giurerei proprio. Se Di Maio avesse accettato la linea dello scontro con l’Ue, la strada sarebbe stata quella di sostituire Tria e Conte, andando però avanti con la stessa maggioranza gialloverde. Se invece anche Di Maio avesse detto di no, ecco che Salvini avrebbe avuto una motivazione nitida per uscire dal governo e chiedere nuove elezioni».

C’è qualcosa che non va in questo schema di ragionamento? Nel caso, avrei piacere che Bagnai ce lo chiarisse. Ma se lo schema è invece giusto, come chiunque può capire, perché – undicesima domanda – Salvini non ha scelto la strada della chiarezza, rifugiandosi invece in un incommentabile pasticcio? Lo ha fatto solo per i suoi evidenti limiti, o anche perché nella Lega comandano altri?

Dodicesima domanda

Alla luce di quanto abbiamo visto finora, non è che nella Lega le posizioni di Bagnai sono state sonoramente battute?

Breve conclusione

Un tempo, ironizzando sull’insopportabile Vendola, Bagnai ci parlava spesso di quanto fosse orribile il “Fogno europeo“. Bene, non vorremmo che oggi il Nostro sia invece finito nel credere ad un improbabile Fogno salviniano.  

Noi continuiamo a pensare che tutte le forze sinceramente interessate alla riconquista della sovranità nazionale, e con essa della democrazia e dunque della sovranità popolare, dovranno un giorno unirsi per liberare l’Italia.

Molte sono però le cose da fare per avvicinare il momento di quella liberazione. Una, più semplice delle altre, sarebbe intanto quella di smettere di raccontarsi storie. No dunque alla storiella della sinistra sinistrata sulla riformabilità dell’Unione europea che dovrebbe portare all’Europa dei popoli. No alle storielle edificanti e “politically correct”, tutte onestà e perbenismo, del mondo Cinque Stelle. No, infine, alla storiella di una Lega capace di guidare un percorso di liberazione nazionale.

La Lega è un’altra cosa. Le vicende di questi ultimi mesi sono lì a dimostrarlo. Proprio per questo, nelle sue ricostruzioni, Alberto Bagnai farebbe bene a non offendere troppo l’intelligenza: la sua e quella di chi lo legge.