Lotta di classe e “rivoluzioni colorate”

I FATTI….

Iraq: il 1 ottobre scoppia a Bagdad, una rivolta popolare, coi giovani in prima fila, contro il carovita, la disoccupazione, l’endemica corruzione. Dopo pochi giorni i rivoltosi, sempre più numerosi malgrado il coprifuoco e le prime vittime, chiedono che il governo se ne vada a casa. Nei giorni successivi la sollevazione si estende al sud, travolgendo proprio le città a maggioranza shiita: Basra, Nassiyia, Najaf, Kerbala. Decine i morti ammazzati dalle forze di sicurezza e da milizie filo-governative, più di mille i feriti.

Ecuador: il 3 ottobre il popolo si solleva contro il paquetazo, il pacchetto di misure anti-sociali sollecitato dal Fondo monetario internazionale che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dei sussidi statali ai combustibili e la liberalizzazione del prezzo della benzina e del diesel.

Libano: 13 ottobre, si svolgono enormi manifestazioni inter-confessionali e spontanee contro le misure liberiste di austerità (più tasse e aumento dei prezzi tra cui i combustibili) chieste da FMI e Banca Mondiale quindi adottate dal governo di coalizione presieduto da Hariri e sostenuto anche da Hezbollah. Diventano ben presto proteste politiche contro il regime, la corruzione. Malgrado le dimissioni di Hariri il 29 ottobre, le proteste continuano

Cile: 18 ottobre: la scintilla che ha scatenato la più grande rivolta popolare (anche qui giovani protagonisti) dalla fine degli anni ’60 è scattata subito dopo la legge che aumentava il prezzo del biglietto della metropolitana della capitale, Santiago. Dopo due settimane è diventata una mobilitazione politica per cacciare il il regime neoliberista di Piñera e una nuova costituzione

Egitto: 26 ottobre, al Sisi, dopo la repressione violenta delle proteste di strada, proroga per la decima volta consecutiva lo Stato d’emergenza.

 

IL GIUDIZIO

Domanda: al di là di affinità evidenti, c’è qualcosa di fondo, di universale, che accomuna la grande sollevazione popolare cilena, il successo elettorale dei peronisti in Argentina, le violente rivolte che scuotono il mondo islamico dall’Egitto all’Iraq, passando per il Libano?

I tratti comuni di queste rivolte, a dispetto dei differenti contesti nazionali, saltano tuttavia agli occhi: la scintilla che da fuoco alle polveri sono le misure austeritarie di impronta neoliberista. I settori popolari che ne vengono colpiti si ribellano, contestano la corruzione delle classi dominanti e dei loro servi politici, velocemente diventano

Bagdad, ottobre 2019

mobilitazioni politiche che chiedono non solo le dimissioni dei governi ma un vero e proprio cambio di regime.


E da che dipende questa affinità? Viene dal fatto la globalizzazione neoliberista ha ornai afferrato ogni Paese nella sua spirale distruttiva, che essa, come uno rullo compressore, ovunque schiaccia chi sta in basso fino al punto limite oltre il quale non può esserci che la sollevazione generale.

C’è di più, quindi, c’è proprio la dinamica simile. Piccoli fuochi di rivolta urbana, coi giovani come punta di lancia, tendono ad estendersi velocemente a macchia d’olio trascinando nelle strade i ceti sociali oppressi fino alla rivolta popolare generale che ben presto, da difensiva, diventa politica e offensiva.

V’è infine un’altra caratteristica comune ed un segno che contraddistingue il tempo che viviamo: il simbolo che dappertutto queste masse utilizzano ed in cui si riconoscono è la rispettiva bandiera nazionale.

Impossibile non vedere l’elemento di fondo, universale, che accomuna tutti quanti questi tumulti: la lotta di classe, quella per quel cane-mai-morto di Carlo Marx rappresentava, in ultima istanza, la forza motrice della storia. E la storia in effetti si va rimettendo in moto, con la differenza che il ritmo della sua danza ricomincia ad essere dettato non da chi sta in alto bensì da chi sta in basso.

Giusto discutere di cosa sia ancora vivo e cosa sia morto della teoria marxista. Di sicuro è morta la tesi operaista che per lotta di classe intendeva solo quella tra operai salariati (metafisicamente portatori di progresso) e capitale (ontolgicamente parassita). La lotta di classe, invece, è un fenomeno per sua natura polimorfa, che quindi può assumere, a seconda del momento storico, della struttura sociale e delle tradizioni spirituali di un dato Paese, aspetti, dinamiche e modi di essere anche molto diversi, ma sempre essa ha la medesima sostanza: i dominati si ribellano ai dominanti e premono per la loro emancipazione.


Malgrado questa verità sia evidente v’è chi si ostina a negarla.

Beirut, ottobre 2019


Non parliamo qui dei liberali o dei fascisti, per i quali il rifiuto della lotta di classe è punto dogmatico di dottrina. Entrambi sono infatti, non solo geneticamente anti-egualitari. Entrambi sono accomunati dalla medesima idea per cui la storia non la fai mai la “plebaglia”, bensì i grandi condottieri, le élite aristocratiche degli ottimati, o le grandi potenze.
Parliamo di diversi amici i quali inneggiano a queste rivolte fino a quando puntano contro quelli che considerano “governi nemici”, e le condannano come “rivoluzioni colorate” quando esse contestano “governi amici”. Viva la sollevazione cilena o ecuadoregna dunque, ma abbasso quella irachena o libanese. Essi equiparano infatti le rivolte in Iraq e Libano a quelle di Hong Kong o alle mobilitazioni contro Maduro in Venezuela o contro Evo Morales in Bolivia, addirittura ad EuroMaidan in Ucraina.

Entra quindi in ballo la geopolitica, con tutti i suoi accecanti automatismi.

Facciamo degli esempi. Dal fatto che si debba difendere la Russia putiniana dalle evidenti provocazioni USA-NATO se ne deduce che ogni protesta sociale che avvenga in Russia non solo sia per sua natura disdicevole, è pressoché scontato che dietro vi siano gli americani, e che i sobillatori siano al soldo della CIA. Non conta, agli occhi dei geopoliticisti, che chi protesta rivendichi legittimi diritti, non conta che la situazione per le classi subalterne sia intollerabile, non conta che il governo putiniano segua una politica sociale sostanzialmente liberista. Essi vedono solo un aspetto della politica putiniana, dimenticando tutti gli altri. Con queste lenti distorte non vogliono vedere le intollerabili ingiustizie sociali, rifiutano di considerare l’esistenza di un’oligarchia capitalista che fa il bello e il cattivo tempo.

Dicendo questo noi vogliamo forse negare che nell’opposizione al putinismo vi siano forze al soldo dei nemici imperialisti occidentali della Russia? Ovviamente no, diciamo che va fatta un’analisi concreta della situazione concreta, che è doveroso distinguere il grano dal loglio, ovvero stabilire quale sia la “natura di classe”, sociale e politica, di una data protesta, di una data opposizione. La geopolitica, le dinamiche ed i conflitti internazionali, non possono cancellare quelli interni ad ogni singolo paese. Non geopolitica o lotta di classe, bensì geopolitica e lotta di classe. L’uno aspetto non sopprime l’altro.

Così ad esempio non ci sfugge affatto che le violente rivolte a Hong Kong, iniziate a maggio contro il governo locale sostenuto da Pechino, per quanto massicce, siano di

Santiago, ottobre 2019

natura reazionaria e filo-imperialista. E poco importa stabilire se i suoi leader siano o meno su libro paga della CIA; parlano le loro rivendicazioni separatiste, parlano i simboli, parla il fatto che esse siano animate non dai subalterni ma dai pupilli della borghesia della ex-colonia inglese.

Di converso sono chiare le cause sociali delle rivolte di massa in Iraq e in Libano. Negare la loro genuinità e la loro legittimità, giungendo addirittura a giustificare la repressione (sanguinosa nel caso iracheno), fallita in quello libanese, è cosa inaccettabile. Anche in questo caso l’argomento di chi condanna le rivolte popolari in Iraq e Libano usa un solo argomento: siccome l’Iran svolge una funzione positiva di contrasto all’imperialismo nordamericano, e dal momento che l’indegno e corrotto governo di Bagdad è sostenuto da Tehran e che il governo  governo Hariri c’è Hezbollah, ogni sollevazione sociale delle classi subalterne è illegittima, peggio, ogni sollevazione sarebbe una “rivoluzione colorata al servizio dei nemici dell’Iran”.

Ci viene alla mente quanto Mao Zedong disse, se non erro nel 1955, a proposito della frazione filo-sovietica avversaria nel suo partito: “Per questi compagni le scoregge dei russi profumano”. Per i filo-iraniani il fatto che Teheran sotto la minaccia di aggressione, giustifica ogni porcheria politica del regime.

Chi afferma oggi queste posizioni sono gli stessi che al tempo (2011-12) liquidò le “primavere arabe” come “rivoluzioni colorate”. Tra questi si annoverava il compianto Costanzo Preve, che in quel frangente abbracciò in toto i paradigmi del geopoliticismo.

Ne nacque una polemica  teorica — GEOPOLITICA E ANTIMPERIALISMO: LA POLEMICA TRA COSTANZO PREVE E MORENO PASQUINELLI che alla luce degli odierni accadimenti riteniamo valga la pena di essere segnalata.