Solidarietà con Gaza e il Jihad Islamico Palestinese

Un nuovo “omicidio mirato” sionista. Con un missile lanciato da un aereo le forze armate israeliane hanno ucciso Baha Abu al-Ata, uno dei capi militari delle Brigate al-Quds, braccio militare del Jihad Islamico Palestinese a Gaza. Dopo HAMAS il movimento più forte e combattivo nel campo della resistenza palestinese. Con lui sono periti sua moglie e uno dei figli. “Una bomba ad orologeria perché si accingeva a compiere attentati terroristici contro Israele”, così ha giustificato l’assassinio Benyamin Nethanyau.

Il capo di stato maggiore dell’IDF, Ten. Gen. Aviv Kochavi ha precisato che l’uomo “ha minato la quiete nel sud di Israele” e che “ha agito in tutti i modi per sabotare i tentativi di quiete con Hamas. Era una bomba vivente e fino ad oggi ha funzionato e pianificato attacchi. Era responsabile della maggior parte degli attacchi avvenuti nell’ultimo anno”… “La sua abitazione è stata attaccata in una operazione congiunta delle nostre forze armate e dei servizi segreti… La sua uccisione, è stata decisa per sventare una minaccia immediata”.

“Oggi Hamas non è più la minaccia numero uno nella Striscia di Gaza. Jihad Islamico è stato responsabile di numerosi attacchi violenti contro le truppe IDF durante le proteste della “Grande Marcia del Ritorno” lungo la recinzione del confine di Gaza, inclusa la prima morte di un soldato nel 2014”. [the Jerusalem Post del 12 novembre 2019]

Un’azione di vendetta a lungo preparata. Infatti Abu al-Ata è sopravvissuto a numerosi tentativi di assassinarlo e i sionisti giustificano l’omicidio definendo la vittima pericolosa quanto il generale iraniano Soleimani o il libanese Nasrallah. I media israeliani sottolineano poi che per l’intelligence israeliano il Jihad Islamico Palestinese, a causa delle innumerevoli e spesso vincenti azioni di resistenza e sabotaggio, è il movimento più pericoloso in circolazione.

Gli israeliani non lo dicono ma lasciano capire che il loro attacco è anche un messaggio all’Iran. La rottura dei rapporti tra Tehran ed il Jihad Islamico Palestinese — determinata dal rifiuto di quest’ultimo nel 2015 di sostenere il fronte anti-saudita nel conflitto in Yemen — è oramai acqua passata. Essi precisano infatti che Jihad Islamico non solo è il principale responsabile delle azioni di resistenza messe in atto da Gaza nell’ultimo periodo (violando la tregua sottoscritta da HAMAS), ma che è un braccio dell’Iran, e da questi finanziato. Una vicinanza, quella tra Jihad Islamico e l’Iran che gli israeliani non ritengono solo strategica ma spirituale. Malgrado il movimento sia sorto nel 1979 come scissione del sunnita HAMAS, aperte sono sempre state le sue simpatie per la rivoluzione iraniana. Ne è prova il famoso libro del fondatore del movimento, Fathi Shaqaqi — assassinato nell’ottobre 1995 a Malta da una micidiale operazione israeliana — Khomeni: la rivoluzione islamica e l’alternativa.

I sionisti, Israele e le potenze imperialiste senza il cui appoggio strategico non sopravviverebbe a lungo, considerano non solo Jihad Islamico ma tutte le organizzazione combattenti palestinesi come terroristiche a causa dei mezzi che usano e dei fini che si pongono. Se questo metro di misura è valido che dire dei metodi e dei fini degli israeliani, della politica da essi seguita verso Gaza — un grande campo di concentramento sotto assedio — e i palestinesi delle zone occupate, veri e propri paria, vittime di ogni tipo di sopruso?

I palestinesi non fanno che rispondere pan per focaccia. Quello che fa la differenza, decisiva per gli antimperialisti, che quello palestinese è un popolo oppresso mentre quello israeliano è un popolo oppressore.

Per questo sosteniamo e continueremo a sostenere la causa della liberazione della Palestina fino alla vittoria finale.

13 novembre 2019