Comunicato n. 1/2020 del Comitato Centrale di Programma 101
La criminale uccisione del generale Qassem Soleimani segna un salto di qualità nella politica aggressiva dell’imperialismo americano in Medio oriente. Dopo la rottura dell’accordo sul nucleare, l’imposizione di pesanti sanzioni, è questo l’ultimo scalino di un’escalation contro l’Iran che potrebbe condurre alla guerra.
In questo quadro torna centrale l’Iraq. Dopo le due aggressioni imperialiste (1991 e 2003), dopo le sanzioni che affamarono quel popolo tra le due guerre, neppure l’eroica resistenza popolare seguita all’invasione di 17 anni fa riuscì a cacciare del tutto gli americani dal paese. Le divisioni settarie, soprattutto quelle di natura religiosa, consentirono infatti agli USA (accordo del 2008) un ritiro non disastroso, tale da mantenere una presenza militare ed una forte influenza politica sul governo di Bagdad.
In 12 anni ne è passata di acqua sotto i ponti. L’epoca della collaborazione di fatto tra le milizie filo-iraniane e le forze armate americane contro l’Isis (si pensi alla battaglia per riconquistare Kirkuk) è finita da tempo. Adesso l’imperialismo statunitense ha nel mirino la Repubblica Islamica dell’Iran, in primo luogo l’influenza di Teheran nel Paese dei due fiumi.
Sbaglia chi pensa che l’uccisione di Soleimani sia stata principalmente il frutto della personalità disturbata di Trump. Certe azioni non sono mai decise d’impulso, sono invece tasselli di una strategia ben pianificata tendente a raggiungere obiettivi altrettanto precisi. Quali possono essere questi obiettivi è presto detto: a) riaffermare il potere americano nella regione, b) spingere l’Iran in un vicolo cieco, c) prendere il controllo sostanziale dell’Iraq.
Rispetto a quest’ultimo punto è probabile che i decisori di Washington abbiano valutato come estremamente favorevole il quadro di spaccatura del paese – perfino dentro il campo sciita – che è emerso dalle manifestazioni popolari degli ultimi mesi. Talvolta, però, certi calcoli si scontrano con la realtà. Sta di fatto che il parlamento di Bagdad ha deliberato finalmente l’espulsione delle truppe americane dall’Iraq.
In questo modo ogni legittimazione alla presenza militare americana è stata cancellata, ma di certo Washington se ne infischierà, dato che l’imperialismo a stelle e strisce non intende certo abbandonare le sue basi, tanto meno nel momento in cui, come oggi, i suoi rapporti con la Turchia sono sempre più critici.
Nel riaffermare l’obiettivo della cacciata degli USA e della NATO dal Medio oriente, Programma 101 sottolinea la necessità del ritiro immediato dei 900 militari italiani presenti in Iraq.
Su questo punto, come sulla gravità dell’azione americana, la politica italiana o tace (come nel caso indecoroso del governo) o dice cose di una gravità inaudita, come quelle pronunciate da Salvini. Parole, quelle del capoccia della Lega, che chiariscono fino in fondo come ci si trovi di fronte ad un falso sovranista, in realtà un servo sciocco della cupola imperiale di Washington.
Ma il silenzio – sia quello del governo, che quello di un finto sovranismo che non sa neppure riconoscere i veri interessi nazionali – diventa ancora più significativo se si passa ad esaminare la grave situazione libica.
Il governo Conte (ma su questo neppure Salvini ha qualcosa da eccepire) ha di fatto abbandonato la Libia al suo destino. Eppure, nel 2016, l’Italia (con il sostegno in pompa magna tanto dell’ONU che dell’UE) aveva concorso ad insediare al Serraj a capo del governo di Tripoli.
In questo modo le truppe del generale Haftar – dietro alle quali c’è il sostegno militare ed economico del blocco Arabia Saudita-Emirati-Egitto-Israele, nonché quello della Francia – puntano dalla primavera scorsa alla conquista di Tripoli per poi spartirsi, a beneficio dei protettori di cui sopra, le risorse energetiche del paese. Adesso, dopo mesi di assedio alla capitale da parte di questa compagnia di ventura basata in Cirenaica, ci si scandalizza dell’intervento della Turchia a sostegno del governo al Serraj!
Come antimperialisti siamo innanzitutto a difesa dell’indipendenza della Libia. Ma se le truppe di Haftar non verranno fermate, quell’indipendenza sarà comunque persa. E sarà persa a tutto vantaggio delle forze più reazionarie della regione. Quelle schierate al 100% con gli USA ed Israele.
Come si vede la situazione è complessa e pericolosa, tanto in Medio oriente che nel Nord Africa. E’ una situazione che coinvolge in vari modi anche l’Italia, mettendo in luce sia le conseguenze dell’appartenenza alla NATO, sia quelle di essere membri di un’Unione Europea che certo non può andare contro agli interessi francesi in Libia.
Per riconquistare la sovranità nazionale si dovrà dunque uscire sia dal Patto atlantico che dall’UE, facendo dell’Italia un Paese neutrale, capace di sviluppare relazioni amichevoli con i paesi del Medio oriente, per la libertà dei popoli e l’indipendenza delle nazioni di quella regione.
– Massima unità contro l’imperialismo americano e il sionismo!
– Sostegno alle resistenze antimperialiste fino alla vittoria finale!