La guerra e l’Unione europea
(a proposito delle manifestazioni del 25 gennaio)
«Spegniamo la guerra, accendiamo la Pace», questo il nobile proposito enunciato nel titolo dell’appello che chiama alla mobilitazione per il prossimo 25 gennaio. Il problema è che al titolo segue un testo. Anch’esso, beninteso, contiene obiettivi condivisibili. Peccato che siano stati impacchettati in un involucro di carta ammuffita marchiata UE.
Una muffa capace di avariare ogni buona intenzione, di manipolare il sincero desiderio di manifestare contro la guerra e l’imperialismo di tante persone.
Vediamo subito di cosa si tratta, leggendo questo decisivo passo dell’appello:
«L’UE, nata per difendere la pace, deve assumere una forte iniziativa che — con azioni diplomatiche, economiche, commerciali e di sicurezza — miri ad interrompere la spirale di tensione e costruisca una soluzione politica, rispettosa dei diritti dei popoli, dell’insieme dei conflitti in corso in Medio Oriente e avviare una rapida implementazione del Piano Europeo per l’Africa (Africa Plan) accompagnandolo da un patto per una gestione condivisa dei flussi migratori».
Ma non basta. I promotori delle mobilitazioni del 25 gennaio sentono anche il bisogno di sottolineare l’esigenza di: «porre all’interno dell’Unione europea la questione dei rapporti USA-UE nella NATO».
Tralasciando altre questioni non proprio secondarie – come ad esempio l’invito a rafforzare la presenza delle truppe italiane in Libano – limitiamoci qui ad esaminare la portata di queste affermazioni sul rapporto guerra-UE.
Quattro le questioni poste: primo, l’UE sarebbe nata per difendere la pace; secondo, ad essa ci si affida per risolvere tensioni e conflitti dell’intero Medio oriente; terzo, si approva di fatto il neocolonialista Africa Plan; quarto, si accetta tranquillamente la NATO a condizione di un certo riequilibrio tra USA ed UE.
Davvero ce ne è abbastanza
per comprendere i reali propositi dei promotori delle manifestazioni
del 25, che non a caso corrispondono (fra gli altri) ai nomi di Acli,
Arci, Cgil, Legambiente, Costruttori di Pace, Tavola della Pace, tanto
per citare quelli più importanti. Il problema è che a questo mondo
gravitante attorno al Pd, si è aggiunta la partecipazione di buona parte
delle formazioni a sinistra del partito di Zingaretti, che non hanno
perso l’occasione per fare la solita figura che da tempo gli compete.
Uniche eccezioni, che segnaliamo volentieri, quelle del Pcl e di Potere
al Popolo, che hanno deciso di tenersi fuori da un’ammucchiata davvero
imbarazzante.
La UE e la guerra
Ora,
tutti sanno (o dovrebbero sapere, perlomeno in certi ambienti) che
numerosi paesi dell’UE, tra i quali l’Italia, sono stati (e sono
tuttora) complici delle guerre americane in Medio oriente,
dall’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia. Tutti sanno (o dovrebbero
sapere) come questi stessi paesi alimentano con la vendita delle armi
l’aggressione saudita allo Yemen. Tutti sanno (o dovrebbero sapere) che i
piani dell’UE per l’Africa sono quelli tipici del neocolonialismo,
pensati per controllare le materie prime, acquisire nuove zone di
influenza, sostenere i peggiori regimi del continente. Tutti sanno (o
dovrebbero sapere) che tra uscita o permanenza nella NATO non esiste la
terza via di una sua impossibile riforma.
Ma in che cosa l’Unione Europea si differenzierebbe dalla NATO? Questo ovviamente non lo si dice, per il semplice motivo che non si saprebbe cosa dire.
Veniamo ora al cuore dell’appello. Se tutto il
collateralismo piddino, inteso in senso lato, ha sentito il bisogno di
muoversi è solo perché stavolta a premere il grilletto è stato Trump,
che se invece a colpire fossero stati i benefici droni killer del premio
Nobel (sic!) Obama si può scommettere che nulla avrebbero avuto da
ridire. Ed al fine di riuscire a mobilitare almeno un po’, essi han
dovuto enunciare obiettivi meno fumosi del solito. Tutto però a
condizione di una santificazione integrale dell’UE, addirittura «nata
per difendere la pace».
Una clamorosa falsità storica
Entriamo perciò nel merito di questa clamorosa falsità storica. Come noto, siamo arrivati all’UE partendo dalla CEE (Comunità Economica Europea) del 1957 e passando dalla CE (Comunità Europea) del 1992, ma qui per semplicità useremo solo la denominazione attuale (speriamo l’ultima per suo sopravvenuto decesso) di Unione Europea.
Partiamo anzitutto dalle guerre più recenti. Oltre alle ricordate aggressioni in Medio oriente e Nord Africa (Libia, 2011), come non rammentare le responsabilità dell’UE prima nella ex Jugoslavia e poi in Ucraina? Altro che “nata per difendere la pace”! Nel periodo 1991-1999 costante è stata l’azione europea per disgregare la Jugoslavia, fino alla partecipazione diretta (in ambito NATO) alla guerra di aggressione alla Serbia del 1999. E che dire dell’Ucraina, paese in cui l’UE (in totale subalternità agli USA) ha semplicemente appoggiato le formazioni nazistoidi che hanno preso il potere a Kiev nel 2014? I fatti sono talmente evidenti, e talmente in contrasto con la soporifera retorica dei “diritti umani” sempre in bocca agli europeisti di tutte le risme, che parlano da soli.
Ma non ci sono solo le guerre guerreggiate. Per capire di che pasta sia fatta l’UE, quale il suo cordone ombelicale con la NATO, basta seguire il tragitto che hanno fatto i paesi dell’est Europa per entrarne a far parte. Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca entrano nella NATO nel 1997, nella UE solo nel 2004. Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia e Slovacchia entrano nella NATO il 29 marzo 2004 e nella UE il 1° maggio dello stesso anno. Bulgaria e Romania entrano nella NATO nel 2004 e nell’UE nel 2007. Che dire? Tra tutte queste new entry nella UE non ce n’è una che non appartenga alla NATO. Di più, in tutti questi casi — a mostrare chi sia il vero bollinatore dell’adesione all’UE — l’entrata nella NATO ha sempre preceduto quella nell’Unione Europea.
Non solo, è ben noto come l’allargamento dell’Alleanza Atlantica verso paesi sempre più lontani dalle sponde di quell’oceano sia servita (e serva tutt’oggi) ad una bellicosa politica anti-russa. Politica fra l’altro condita dalle sanzioni contro Mosca, ancor oggi rinnovate da parte dell’UE. Decisamente una politica di pace…
Eppure, nonostante tutto ciò, si ha ancora il coraggio di sostenere il mito fondativo dell’UE «nata per difendere la pace».
L’UE e la Guerra Fredda
(i verbali di una riunione segreta a Washington)
Sul ruolo avuto dall’UE (allora CEE) nella Guerra Fredda non possono esserci dubbi. Al di là dei mugugni, dei diversi interessi e delle diverse visioni nazionali, la costruzione europea è sempre stata parte del dispositivo politico-militare anti-sovietico e, più in generale, anticomunista.
Ed è proprio per svolgere quella funzione che il
processo politico che ha portato negli anni all’UE prese le mosse già
settant’anni fa. Nel n° 12/2019, la rivista Limes ha pubblicato gli
interessanti verbali di un incontro segreto che si tenne a Washington il
3 aprile 1949, cioè esattamente la sera prima della firma del Trattato
dell’Atlantico del Nord, data ufficiale della nascita della NATO. Alla
riunione, voluta da Truman affinché si capisse da subito
quel che la Casa Bianca esigeva, furono invitati i ministri degli esteri dei paesi firmatari il Trattato, che vennero istruiti sulla strategia americana, oltre che da Truman, dal segretario alla Difesa Louis Johnson e soprattutto dal segretario di Stato Dean Acheson.
Commentando il succo di quell’incontro, Sergio Romano ha così scritto:
«Nel corso della riunione i temi sollevati dagli americani furono: la politica da adottarsi verso la Germania e il Giappone, la decolonizzazione, l’integrazione dei comandi alleati e della produzione militare, l’unificazione politica ed economica dell’Europa».
Ovviamente (siamo nel 1949) tra gli europei esistono spinte assai diverse: gli inglesi resistono all’integrazione, i francesi hanno ancora la Germania come prima preoccupazione, gli olandesi non vorrebbero mollare l’Indonesia in alcun modo. Tocca perciò agli americani spingere sul tasto del processo di unificazione in chiave anticomunista.
Leggiamo ora alcune affermazioni fatte in quella sede da Dean Acheson, cui venne affidato il compito di cantarle chiare:
«C’è un importante corollario alla cooperazione difensiva incondizionata ed è quello in cui, a nostro avviso, l’Europa deve impegnarsi con il massimo sforzo. Si tratta di una più vasta unificazione politica ed economica. In particolare con l’Erp (European recovery program), percepiamo che, dopo un buon avvio, l’enfasi verso la cooperazione si è attenuata in proporzione al consolidarsi del processo di ricostruzione. Siamo entusiasti per i grossi passi in avanti fatti nella Oeec (Organization for european economic cooperation), nell’Unione occidentale, nel Consiglio d’Europa e forse siamo più consapevoli di quanto effettivamente voi siate disposti a concederci degli enormi ostacoli derivanti dalla tradizione, dalla eterogeneità delle economie nazionali eccetera. Devo avvertirvi però che il Congresso vorrà vedere qualche risultato più tangibile di qualche diagramma della produzione economica, se volete assicurarvi i fondi desiderati. E’ stato esaurientemente reso chiaro a tutti voi che solo da uno sforzo di unità maggiore potremo creare un equilibrio di potenza senza costi proibitivi. Collegando le economie europee a una cooperazione politica più stretta sortiremo due effetti. Dando una base solida alla ricostruzione potremo ridurre la minaccia comunista interna e parallelamente fornire la base potenziale indispensabile per un adeguato, futuro riarmo».
Concetti ribaditi da Acheson in una risposta al ministro degli Esteri italiano, Carlo Sforza:
«Conte Sforza, lei forse più di ogni altro qui questa sera è stato un protagonista eminente dei tentativi verso una più stretta cooperazione europea sia in campo politico che in quello economico. Lei potrà quindi ben valutare il senso d’urgenza con cui questo governo ritiene desiderabile una più stretta unione politica, sia per integrare che per irrobustire la cooperazione nei settori della ricostruzione e della difesa. Riteniamo che in Europa occidentale debba formarsi un nuovo sentimento di unità, un nuovo scopo dinamico che riesca a ridare vigore a spiriti cinici e prostrati dalla guerra, un antidoto, in un certo senso, al richiamo del comunismo internazionale».
Come si vede, le cose sono chiare. I tanti accenni (da noi evidenziati) all’unità politica, oltre che a quella economica, la dicono lunga su chi siano stati i veri padri (materiali e “spirituali”) dell’odierna Unione Europea. Certo, l’obiettivo enunciato in quella segreta riunione d’oltreoceano ha poi avuto bisogno di diversi decenni di complicata storia per materializzarsi progressivamente. Tuttavia, la direzione di marcia è stata esattamente quella.
In conclusione, se sul piano economico-sociale, sull’idea di società, sulle “potenzialità” liberiste di un sovra-stato come quello che è venuto a formarsi, Friedrich von Hajek può essere considerato il massimo ispiratore dell’UE, su quello geopolitico è a Washington (ed alla visione strategica dell’imperialismo americano) che si deve guardare. Piuttosto che «nata per difendere la pace», l’UE è il prodotto della politica imperiale e guerrafondaia a stelle e strisce.
Ecco spiegato il perché le manifestazioni del 25 gennaio nascono sotto una cattiva stella. Non basta dire “pace” per opporsi davvero alla guerra. Occorre anche chiarezza politica. Esattamente quel che non c’è nell’appello di cui ci siamo occupati.