Dal socialismo reale a quello irreale

Una prova evidente della crisi esistenziale della sinistra è la schermaglia sulla natura sociale della Cina odierna. Di contro a certa sinistra sinofoba liberal-cosmopolitica ci sono i nuovi filo-cinesi i quali, oltre a reputare la Cina un “paese socialista”, ritengono questa qualificazione la frontiera che dividerebbe i “veri marxisti” da quelli fasulli.

Nel passaggio all’essere, ovvero attuandosi, il socialismo può assumere diverse forme quanti sono gli ambienti in cui esso si sviluppa. Questa multiformità, tuttavia, non può spingersi fino al punto di mutarne qualitativamente la sostanza.

E qual è l’essenza di una società socialista? Noi riteniamo che essa si possa esprimere in quattro punti:
(1) vige l’eguaglianza sociale poiché sono abolite le classi sociali; (2) lo Stato, in quanto organo coercitivo della classe dominante è in via d’estinzione assieme a questa; (3) sono assicurati i diritti di libertà dei cittadini; (4) il paese socialista è internazionalista, sostiene le forze rivoluzionarie e antimperialiste esterne.

Della Cina noi sappiamo con certezza che:
(1) non c’è eguaglianza sociale (le differenze di classe sono anzi abissali); (2) lo Stato è ben lungi dal deperire (è all’esatto contrario un vero e proprio onnipotente Leviatano); (3) i cittadini non godono dei fondamentali diritti di libertà della persona (sono anzi sottoposti da un regime di coercizione sbirresca e dispotica sorveglianza); (4) le autorità cinesi non sostengono in alcuna maniera i movimenti anticapitalisti e antimperiaisti (si basano anzi sulla politica di “non ingerenza” negli affari dei paesi capitalisti e imperialisti).

Qualunque cosa la Cina possa essere, una cosa è sicura: non è un paese socialista.

Stando alla sostanza potremmo spingerci oltre tirando in ballo Marx:
«Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità… La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguano il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa. Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa».
Karl MarxIl Capitale, III, Editori riuniti, 1972, pp. 231-232.

Ai paladini del “socialismo alla confuciana” corre l’obbligo di chiedere: si sbagliava Marx o vi sbagliate voi?

  • Abbiamo scritto sulla questione cinese QUI e QUI