Riceviamo da un nostro lettore e volentieri pubblichiamo
Thierry Meyssan è un analista di punta dell’area cosiddetta antimperialista, il cui ultimo libro “Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della Primavera Araba” è stato pubblicizzato e introdotto in lingua italiana non solo dal nostro indimenticato amico G. Chiesa ma anche dal conservatore Reaganiano filostatunitense Germano Dottori, analista, scrittore di “Limes” e autore di un importante saggio su “La Visione di Trump”. Meyssan, il 19 agosto, ha dedicato un articolo alle note vicende afghane. Tale articolo apre il campo a una serie di domande senza risposta. Ci soffermiamo su Meyssan in quanto è un militante “antimperialista” coraggioso che ebbe nel passato i suoi spunti geniali, che fu per noi un riferimento, ma che si limita sempre più, in tempi recenti, a ripetere lo schema secondo cui la Fratellanza Mussulmana è il male principale e assoluto.
La tesi centrale del Meyssan è appunto la medesima che ripete negli ultimi anni. La Fratellanza Musulmana, nelle sue varie sezioni geografiche o regionali, è stata uno strumento della Lega AntiComunista Mondiale ieri, del Partito Democratico Americano e del Deep state angloamericano oggi. Osama Bin Laden e i vertici di Al Qaeda sarebbero niente altro che agenti di questa cerchia oligarchica. La guerra di liberazione del popolo Afghano contro l’invasione sovietica, un fenomeno epocale che mobilitò e sconvolse allora tutto il mondo delle Relazioni Internazionali, con l’Irak di Saddam e la Libia di Gheddafi in sostegno dell’Armata rossa e l’Iran di Khomeyni o la Cina di Deng o la Romania Socialista di Nicolaie Ceasescu in sostegno dei Mujaheddin, è ridotta dal Meyssan alla stregua di un complotto di agenti segreti di uffici segreti fondati qua e là in giro per il mondo da Bin Laden. Il Meyssan peraltro non specifica, né lo ha fatto in passato, la fortissima lotta di frazioni dell’intelligence americana e del Pentagono sul sostegno da accordare ai Mujaheddin e al “Risveglio Islamico” dell’epoca, elemento questo, ben sviscerato ad esempio da Lawrence Wright e dal Kiessling autore di un fondamentale studio sulla Fede, l’Unità e il cameratismo dell’ISI Pakistano (Inter-Services Intelligence), studi che ci permetterebbero oggi di comprendere l’11 settembre 2001 al di là della finta contrapposizione epistemologica tra complottisti/anticomplottisti. Poiché se è vero che talune frazioni militari statunitensi sostennero il “Risveglio Islamico” in una logica antimarxista, ma di certo non lo crearono, talune voci profetiche del mondo militare e finanziario degli USA e del Partito Democratico (il partito dello Stato profondo) sostenevano allora che l’URSS andava colpita ai fianchi ma non troppo in quanto un eventuale crollo sovietico avrebbe significato storicamente la fine della NATO, di Yalta e dell’egemonia americana su tre quarti di mondo. Dall’11 Settembre a oggi, non a caso, il mondo universo si è ogni giorno De-Americanizzato di più. Ciò è sotto gli occhi di tutti. Che vi sia, in marcia, un mondo multipolare alternativo a quello Americanistico è un altro discorso che non possiamo affrontare qui.
La guerra di liberazione dei Pashtun (2001-2020) dall’imperialismo americano è considerata sostanzialmente dal Meyssan un non guerra, una finzione. Scrive il Nostro nel cap. 4 che “i talebani non hanno fatto una guerra”:
Le forze armate afghane contavano 300 mila uomini − ossia più di quelle francesi − molto ben addestrati da Stati Uniti, Francia e altri Paesi. Erano ben equipaggiate con strumenti sofisticati. Tutta la fanteria era dotata di giubbotti antiproiettile e di sistemi per la visione notturna. L’aviazione era molto competente. Le forze talebane invece erano un terzo di quelle afghane, ossia 100 mila uomini: pezzenti in sandali armati di kalashnikov. Non avevano aviazione − ora all’improvviso ne hanno una, dotata di piloti addestrati, usciti da non si sa dove. Se ci fossero stati combattimenti, i talebani sarebbero stati sicuramente sconfitti.
Al Meyssan sfugge che la vittoria dei taliban è stata una vittoria politica, non militare, come politica fu la vittoria afghana contro l’Armata rossa prima e politica fu quella talebana, poi, contro le forze collaborazioniste di Najibullah e dell’Alleanza del Nord. Meyssan pensa, con una ottica in questo caso globalista, che quello afghano sia un popolo come gli altri, che il codice etico del “pashtunwali” sia messo sotto le scarpe dagli afghani, che quella pathan non sia una millenaria nazione indoeuropea al pari di quella Persiana ma con caratteri irriducibili e molto particolari. Lo hanno capito Merkel e Putin quando hanno sottolineato, come dato centrale, il consenso che ha contrassegnato la recente offensiva degli studenti di Dio. Meyssan sembra non averlo capito. Alla base della concezione del Meyssan vi sono tre elementi emergenti da considerare.
- Un radicale eurocentrismo o occidentalismo. I “pezzenti” taliban come li chiama il Nostro, ossia il movimento degli studenti di Dio del Mullah Omar, non sarebbero in grado di mandare in frantumi eserciti moderni e addestratissimi come l’Armata rossa o la NATO. Se ciò avviene è perché le onnipotenti sezioni speciali della CIA, Mi6 e NASA permettono a tali “pezzenti” di vincere come nell’ambito di uno spettacolo teatrale. Al riguardo, molto più realisticamente, il gen. Mario Bertolini, capo della Folgore, primo italiano a esercitare il ruolo di Capo di stato maggiore della missione Nato Isaf, bolla l’eurocentrismo a cui anche il Meyssan pare aderire come “ingenua fiducia nella presunta invincibilità degli Stati Uniti e dell’Occidente”.
- Meyssan fu molto vicino all’ex presidente iraniano Ahmadinejad, al punto che ha letto l’uscita di scena dell’Ahmadinejad come un segno tangibile del passaggio dell’Iran dal campo antimperialista al neo-imperialismo persiano sciita sul modello dello scià. Meyssan ha però sorvolato sulle recenti dichiarazioni pre-elettorali di Ahmadinejad, in cui quest’ultimo si definiva “liberale”, democratico, non nazionalista e non revisionista. A parte ciò, possiamo quindi di certo comprendere, e condividere, le preoccupazioni del Meyssan, di tendenza filo-iraniana, verso la sorte della comunità Hazarà, gruppo etnico mongolo di confessione sciita (come gli iraniani) ma al tempo stesso non possiamo dimenticare che, nonostante e ben oltre Ahmadinejad, la politica estera iraniana dopo il 2001 è stata tutta caratterizzata, a parte il provvidenziale interventismo sul campo siriano imposto dalla frazione Soleymani, dal tentativo di una equa e indolore spartizione con l’Occidente del Grande Medio Oriente allargato (compreso l’Aghanistan). Ancora, se i binladiani altro non sarebbero che maschere dell’Americanismo, come si spiega la meticolosa protezione accordata in molteplici casi, anche usciti in cronaca di recente, dall’intelligence di Tehran ai seguaci di Al Qaida? E’ un complotto nel complotto? E che senso avrebbe, poi, come nota appunto lo stesso Meyssan, il subitaneo trasporto attorno all’Afghanistan di migliaia e migliaia di mercenari “islamici” che debbono svolgere il medesimo ruolo svolto nella Siria di Assad, ossia scatenare una guerra civile e takfirista contro Kabul? E che senso hanno le richieste del nuovo Governo di Kabul rivolte a Mosca di mediare, per conto dei talebani, sia in ambito internazionale sia in ambito interno? Anche il ministro Shoigu lavora quindi per il Deep State e per il Partito Democratico dei sionisti Obama e Kamala Harris?
- La filosofia empiristica e meccanicista che sancisce che da un incontro, nel Libano della guerra civile, tra Osama Bin Laden e un cristiano maronita o un falangista debba scaturire per forza di cose un risultato preordinato e certo è una palese violazione del principio della Probabilità Condizionata, essenziale per comprendere i rapporti di forza politici e geopolitici, con le tattiche e astuzie del caso, sul campo delle Relazioni Internazionali o della guerra di civiltà.
CONCLUSIONE
In conclusione il popolo afghano ha sconfitto l’imperialismo britannico, l’Armata Rossa e l’Imperialismo americano. E’ una vittoria dell’Islam? Certamente sì, checché ne pensi Meyssan. Nella bandiera del movimento talebano compare il simbolo del “tawhid” (unicità di Dio), il più significativo principio del monoteismo islamico. Ma è anche una grande vittoria del Nazionalismo pathan della multi/nazione afghana. Si pensi al principio sacro del “turah”, il coraggio e il dovere di difendere la propria terra, i più deboli e l’onore, contenuto nel “pashtunwali” – il codice morale dei pahstun. Tutto il resto, allo stato attuale, è negazionismo neo-colonialista e neo-occidentalista.