Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Michael Morell, due volte capo della Cia, ha dichiarato che Osama Bin Laden ha vinto la guerra con gli Stati Uniti d’America e il Pentagono deve correre ai ripari. Jason Burke, il più grande ricercatore occidentale su al Qaida, ha scritto nel The Guardian pochi giorni fa che l’Occidente ha perso e perderà tutte le sfide strategiche con l’Islam politico in quanto l’MI6 (reputato il miglior servizio segreto al mondo con il GRU russo e con l’ISI di Islamabad) non è in grado di distinguere le molteplici fazioni politiche musulmane.
Dopo venti anni, è forse un pochino più facile avere una visione chiara dei fatti svoltisi dal 9/11. Ciò che dopo il 1945 fu il punto di forza dell’americanismo, l’essere stato una “ideocrazia machiavelliana” elitista e una “democrazia militarista di Dio” (non una democrazia liberale, a differenza di quanto la retorica liberal continuava e continua a volerci far credere) basate perciò sull’azione politica del Pentagono, come teorizzava già nel 1943 con la solita lucidità il Burnham nel suo fondamentale saggio The Machiavellians, Defenders of freedom, è oggi diventato una debolezza strategica. Consigliamo di vedere attentamente questo video per comprendere come tale elite burocratico-militare, un tempo dinamica e attiva, gravi al momento odierno come un cancro all’ultimo stadio non solo sul popolo americano ma su tutti i popoli del mondo: https://www.youtube.com/watch?v=G5eK4u4FUgY. Il Pentagono, con le sue multiformi ramificazioni, è il tanto famigerato Stato profondo più profondo che vi sia. I vari Kissinger o Brzezinski così come i neo/con del caso sono gli ideologi della burocrazia militaristica, gli Zdanov dei nostri giorni, di gran lunga meno colti e meno perspicaci di quanto lo fosse un James Burnham. Lo stesso 1984 di Orwell fu probabilmente un plagio delle tesi di Burnham e Bruno Rizzi sul collettivismo burocratico e sulla rivoluzione manageriale.
Non v’è quindi bisogno di eccedere in complotti e dietrologie, gli stessi Rothschild o Soros non sono altro che i garanti di ultima istanza del potere politico e militare del Pentagono e delle miriadi di compagnie mercenarie private sguinzagliate dal complesso militare in giro per le metropoli americane a fare danni. Cacciato Donald Trump con mezzucci e falsificazioni eclatanti da Stato fallito, ora il Pentagono ha fatto sapere di essere già scontento di Joe Biden e di Kamala Harris: il “capitalismo della sorveglianza” diretto da una elite militarista, non tecnocratica o scientifica, è quanto si vuole applicare all’intero Occidente. Non è Amazon e non sono i Gafa a guidare le danze, naturalmente. Sono solo i classici utili idioti che silenziano Trump perché lo ordinano dalla Nasa, dalla CIA, dalla FBI o da Arlington. Chi ha del denaro di suo, di solito, non sa fare politica e non deve sforzarsi molto nell’arte del pensiero.
L’unica salvezza del Pentagono, e forse degli stessi USA, vi sarà probabilmente se il famoso complesso arriverà a insediare direttamente un militare dei suoi alla Casa Bianca, spazzando via i vari Biden, Trump, Pence o Harris. Per il resto i dati tragici su cui riflettere sono proprio quelli datici in questi giorni dai “veterani” Usa: la guerra senza fine dei Bush e dei Blair, degli Obama e dei Clinton, del Pentagono e dei neocon ha prodotto qualcosa come centinaia di migliaia di vittime musulmane innocenti, mutilati, sfollati, bambini orfani privati di qualsivoglia futuro, bambini bruciati vivi con ferite permanenti irreparabili, campi della morte e delle torture insediati in vari luoghi di Europa e Usa, ma soprattutto, il soprattutto è naturalmente per il Pentagono e per i “veterani”, circa 20 mila soldati occidentali – per lo più americani – uccisi spesso per mano diretta di al Qaeda e Taliban ma in altri casi per mano di altre fazioni islamiche, un numero imprecisato che cresce di giorno in giorno, si viaggia sulle decine e decine di migliaia, di soldati americani che soffrono di “stress da al Qaida” o disturbo psicologico post-traumatico. Molti marines rientrati da Iraq e Afghanistan abbandonano le famiglie e scelgono la vita da barbone e vagabondo sotto i ponti, altri si suicidano, altri ancora spariscono dalla circolazione e divengono irreperibili per i loro stessi famigliari. Il destino dei suoi figli, dei suoi “patrioti”, dei suoi soldati è il destino di un Impero declinante e umiliato su tutti i fronti. La crisi d’identità della “democrazia di Dio” e del fondamentalismo giudeo-cristiano nordamericano ha prima prodotto l’antiglobalismo trumpiano, ora addirittura il rifiuto dell’intera storia americana (Cancel Culture), concepita da una nutrita schiera di giovani o professori americani come storia di esclusiva barbarie e regresso.
La teoria del complotto mostra il fiato corto di fronte all’ascesa sul piano del dominio globale dell’Asse Confuciano-Islamico. Leggevamo con difficoltà il 9/11 alla luce del radicale scontro di posizioni e fazioni della Repubblica Islamica dell’Iran: se i riformisti filo-occidentalisti e i “populisti” di Ahmadinejad spiegavano l’attentato alle Torri Gemelle alla luce della teoria del complotto, la fazione rivoluzionaria dei Pasdaran che rispondeva e risponde direttamente alla Guida Suprema rafforzò viceversa il dialogo politico e militare con la Resistenze sunnite,afgana e irakena in particolare, subito dopo l’invasione di civiltà del 2002. Lo stesso si potrebbe dire dell’Hezbollah libanese.
Peraltro, il fatto che l’esponente più rilevante dell’intelligence italiana rispondente proprio al Pentagono, Francesco Cossiga, avesse sposato la teoria del complotto sul 9/11 finì per suscitarci più d’un punto interrogativo in proposito. Di recente, Gioele Magaldi, interessante analista di sponda atlantista e keynesiana che ha promosso l’operazione “Draghi sovranista” e antiglobalista dal febbraio 2020, ha addirittura paragonato l’incendio di Notre-Dame (15 aprile 2019) al 9/11 di Macron. La teoria del complotto è diventata così un minestrone dai mille sapori, di fatto inservibile e non potabile. E’ politicamente del tutto inutile perderci ancora tempo.
Parlano perciò i dati, le strategie di civiltà, le identità profonde e reattive che non solo non muoiono ma avanzano più dei complotti mandati in frantumi sui campi afgani, irakeni, siriani, yemeniti, libanesi e iraniani. I dati interessanti, gli unici veramente tali e storicamente decisivi che si ricorderanno tra un secolo, ricorderanno che l’Occidente ha perso la guerra di civiltà con l’Islam. Tra un secolo non sappiamo come e se parleranno di Coronavirus ma sicuramente sappiamo che parleranno dell’Islam politico su cui si è schiantato il Pentagono con tutti i suoi sogni di dominazione globale. E ora?
Le nuove prospettive
Come detto, vediamo anzitutto l’avanzata strategica di un fronte Confuciano-Islamico, ormai nuovo soggetto di civiltà e di civilizzazione. L’Iran del Generale Hajj Qasem Soleimani e del legislatore Sayyd E. Raisi e la Kabul di nuovo taliban dall’11 settembre 2021, nuovi padroni delle frontiere insanguinate del Grande Medio Oriente e nuovi arbitri degli spazi geopolitici intercontinentali in via di definizione, sono ora disponibili alla cessione di una fondamentale fetta del potere mondiale al mandarinato Confuciano e Nazionalista dell’Impero di Mezzo. Vediamo la Turchia di Recep Erdogan conquistare spazi strategici, con un equilibrismo tattico che deve al suo grande statista. E’ in marcia altresì un esercito infinito e inarrestabile, un movimento perpetuo del mondo come lo definisce Parag Khanna, in base al quale l’Europa, vittima della bomba demografica africana e asiatica, sarà destinata a sparire come soggetto culturale a meno che non sappia ridefinire la propria identità in senso eurorusso. Vediamo tra l’altro a lato due significativi elementi strategici che potrebbero entrare a breve termine in campo.
Il primo è rappresentato dal nuovo Global Britain successivo alla Brexit. Il nuovo Nazionalismo britannico sta ormai dando segnali di chiara autonomia strategica dagli storici alleati yankee, siano essi trumpiani o bideniti. E’ il tentativo storico, in atto, da parte di Londra di riprendere sulle proprie mani il destino di un Occidente ormai allo sbando e privo di guida.
Il secondo è rappresentato dall’ascesa silenziosa ma attivistica, come è nelle corde di un genio di Stato come Narendra Mohdi, dell’Hindutva sul piano dell’assalto al nuovo potere globale Confuciano-Islamico. Mohdi, che non è un avventuriero, che non è un sionista, nè un atlantista, nè un liberista come i panzer d’attacco della propaganda sinistrata internazionalista con una ottica sumprematistico-occidentale amano ripetere, il semaforo verde di Mosca per lanciare il possibile assalto al nemico di civiltà e riportare la gloriosa millenaria India al centro degli spazi mondiali. L’uomo forte della Federazione russa, Sergej Sojgu, il massimo rappresentante politico di quelle elite combattentistiche wagneriane che hanno vinto in Siria, in Libia, in Sudan, in Birmania, a Caracas e hanno riconquistato determinanti spazi vitali nell’Ucraina russofila (unica pesante sconfitta in Mozambico dovuta agli insorti islamici), saprà di sicuro – se necessario – coadiuvare il leader nazionalista indiano meglio di chiunque altro.
L’eventuale formazione di un blocco Anti-egemonico russo indiano che dall’attuale fase tattica si concretizzi in un vero e proprio Asse Storico e Strategico dipenderà soprattutto dalla proiezione di profondità del Nazionalismo Confuciano di Pechino. Ove la Cina confuciana, spinta dalla crescente pressione sociale e demografica interna, ripeterà l’errore del Giappone Shintoista degli Anni trenta e quaranta trasformando l’iniziale, legittimo, ideale di armonia nazionalistica differenzialista panasiatica in Imperialismo egemonico han – sia esso economico, politico o militare non cambia in sostanza molto – la fase tattica di attuale coordinamento militare tra Mosca e Dehli si consacrerà in vero e proprio fronte politico intercontinentale.