Russia: dopo le elezioni

Per gentile concessione dell’autore volentieri pubblichiamo

Ben pochi erano i dubbi che alla vigilia delle elezioni della Duma (il Parlamento della Federazione Russa) si potevano avanzare riguardo la conferma di Edinaja Rossija (in italiano: Russia unita) come primo partito del panorama politico russo. Nonostante la possibilità del voto elettronico, l’affluenza alle urne si è attestata sui livelli delle precedenti elezioni parlamentari del 2016, ossia poco al di sotto della soglia del 50% degli aventi diritto al voto: un dato che conferma l’atteggiamento di disinteresse, sfiducia e disincanto di metà degli elettori. L’assenza di osservatori provenienti dall’Europa occidentale o dagli Stati Uniti ‒ già registratasi in occasione delle ultime presidenziali – ha peraltro reso plateale il disinteresse del Cremlino rispetto al giudizio dell’opinione pubblica occidentale.

Con un’affluenza simile a quella della precedente tornata elettorale, Russia unita si è confermata la principale forza politica del Paese, anche se con una perdita di voti di circa il 4-5%, e ciò nonostante i brogli denunciati dalle opposizioni ed una serie di misure ‒ anche di iniziativa presidenziale – con cui a ridosso del voto sono stati assegnati per decreto a forze di polizia e militari “premi” tra i 10.000 ed i 15.000 rubli. Al netto di tutto ciò, permane il dato che vede ancora Russia unita godere di un largo consenso, in larga misura riconducibile alla popolarità di Vladimir Putin.

Interessante è il dato che riguarda il Partito comunista della Federazione Russa (KPRF, Kommunisticeskaya Partija Rossijskoi Federatsii) di Gennadij Zjuganov, che esce notevolmente rafforzato dalle urne, ottenendo il 20% circa dei consensi: uno dei suoi migliori risultati – il secondo, dopo quello del 1996 ‒ nella storia post-sovietica. Lo stesso segretario Gennadij Zjuganov, tradizionalmente molto prudente e restio ad alzare i toni della polemica politica, ha tuonato contro «le falsificazioni e i furti» che hanno penalizzato il partito. All’indomani del voto i sostenitori del KPRF si sono radunati nella centralissima piazza Pushkin di Mosca per protestare contro i brogli e le macchinazioni elettorali. Oltre a questo, il KPRF ha annunciato di non riconoscere l’esito del voto elettronico nelle circoscrizioni di Mosca: le conseguenze e gli sviluppi di questa presa di posizione, nient’affatto scontata, potranno essere misurati nelle prossime settimane.

In termini generali il voto fotografa gli umori diffusi in seno alla società russa. Umori che si sono fatti più consistenti in particolare nel corso delle proteste degli ultimi anni contro l’aumento dell’IVA e dell’età pensionabile. A questi provvedimenti impopolari si devono aggiungere il calo del potere d’acquisto e le conseguenze economiche della pandemia, tutt’altro che irrilevanti.

Attribuire il rafforzamento ed il (relativo) successo dell’KPRF allo strumento anti-Russia unita ideato dal blogger Alexei Navalny appare in questo quadro questo poco realistico. Ben pochi sono infatti i voti raccolti dal partito di Gennadij Zjuganov grazie agli algoritmi pensati per far confluire su base locale i voti dell’elettorato avverso a Russia unita sui candidati con maggiore possibilità di insidiarne il primato, non fosse altro che per il fatto che le autorità russe sono riuscite a bloccarli in buona misura. La ragione fondamentale per la quale il KPRF ha potuto attestarsi sulla soglia del 20% dei consensi va ricercata altrove, soprattutto nella capacità del KPRF di attrarre giovani, rinnovare la propria dirigenza e svecchiare l’immagine percepita dalla società russa, oltre che di costruire un’alleanza con il Levij front (in italiano: Fronte di Sinistra) di Sergei Udaltsov. Al contempo, dei limiti di Russia unita sembrano ben consapevoli, oltre che una quota ampia della società russa, sia la dirigenza del partito sia lo stato profondo. Sulla base di questa consapevolezza anche Russia unita ha investito moltissimo sui giovani e sulla formazione dei propri quadri.

Nonostante il generale rafforzamento del KPRF ed una serie di successi su base locale ‒ circoscrizioni, città, regioni – l’attuale assetto politico non sembra correre rischi: il sistema elettorale della Federazione Russa prevede infatti un ampio premio di maggioranza per la forza politica con maggiore consenso, blindando così un Parlamento già fortemente limitato nelle sue competenze effettive. Il risultato, dati alla mano, assegna a Russia unita ben 324 seggi della Duma, che garantiscono al partito la maggioranza assoluta e quindi la possibilità di modificare la costituzione senza bisogno del voto di altri partiti.

Dal risultato delle elezioni della Duma emerge quindi lo spaccato di un Paese con un asse politico spostato verso sinistra: se da una parte ciò potrebbe innescare alcuni contrasti nelle vicende interne della Federazione Russa, dall’altra potrebbe convincere il Cremlino della necessità di una maggiore attenzione alle politiche sociali, alla lotta alla povertà ed alle difficoltà con cui ampi territori e milioni di cittadini russi fanno tutt’ora i conti. I segnali che il voto porta con sé potrebbero inoltre suggerire al Cremlino un atteggiamento più prudente nei confronti del passato sovietico e del suo retaggio.

Restano intanto aperte le incognite su cosa avverrà a ridosso della conclusione del quarto mandato di Vladimir Putin e le modalità con cui questo delicatissimo passaggio verrà gestito.

* Fonte: Treccani