2022: l’anno della tigre

“Cresce il bosco, ma cresce anche il manico della scure” 

Che ci ha detto il 2021?

L’anno 2021 ha avuto un valore eccezionale sul piano della politica internazionale. Ha anzitutto confermato che il fenomeno intenzionalmente globalista COVID-19 non solo ha riportato definitivamente ad un approccio nazionale agli eventi globali, asservendo gli stessi processi tecnici e specialistici di digitalizzazione alle logiche da Stato nazionalista, ma ha anche posto le basi, nella stessa Unione Europea, per un assetto post-democratico della vita sociale civile, al punto che parlare ancora di “liberalismo” o di “democrazia liberale” e forse anche di “capitalismo” – come fossimo nell’800 – denota una alienazione con i processi storici reali. Vladimir Putin ha specificato che le proteste “no-vax” in Occidente sono anzitutto proteste sociali. Il futuro di questi movimenti, come già avemmo a dire in questo stesso blog, dipenderà esclusivamente dal fatto se un’elite militare prenderà l’egemonia sull’elemento sociale o apocalittico-religioso che serpeggia in seno a queste formazioni; negli Stati Uniti ad esempio, sia fazioni del Pentagono sia dell’esercito hanno espresso aperta contrarietà ai ventilati obblighi vaccinali e alla politica da tessera sanitaria. Inoltre, l’anno che sta terminando ha chiuso definitivamente il brevissimo ciclo storico apertosi con la fine della “guerra fredda” e con il tentativo di identificare “americanismo” o “angloamericanismo” con Globalismo. Abbiamo visto di contro frammentazioni verticistiche sul piano delle elite, con impreviste ricadute su quello della politica internazionale: Israele sempre più gelosa della propria autonomia dallo stesso Occidente, lo stesso si può dire della Turchia membro della NATO, il Medio Oriente zona rossa per le forze del tradizionale Patto Atlantico.

Il Grande Medio Oriente al centro

Non possiamo di conseguenza che dare valore epocale alla fuga occidentale da Kabul a cui abbiamo assistito nell’agosto 2021. Si chiude la fase strategica apertasi con la fine della “guerra fredda”, fase nella quale avvengono l’11 settembre e le guerre senza fine medio-orientali che avrebbero dovuto legittimare il dominio globalista anglo-americano. La vittoria talebana non condurrà però ad una islamizzazione internazionale, in quanto il nazionalismo, nel nostro Vicino Oriente, ha ampiamente mostrato di essere più forte e radicato dello stesso Islam. Abbiamo oggi il “Medio Oriente” terra di nessuno. La seconda guerra mondiale fu caratterizzata dal conflitto di civiltà Oriente Occidente (P. Grosser, “Dall’Asia al Mondo”, Einaudi 2018) ma il cuore del conflitto fu comunque il Mediterraneo. Il centro di questo nuovo conflitto di civiltà sarà sempre il Medio Oriente, non l’Asia o Taipei.

La pandemia rafforza il patriottismo russo

Da registrare inoltre il fondamentale elemento storico – che il 2021 e l’epoca pandemica ci hanno vieppiù confermato – rappresentato dalla radicale e radicata resistenza nazionale grande-russa a tutto ciò che sa anche lontanamente di Great Reset e anglosassismi simili, pur con le varianti afro-americaniste da Cancel Culture. Solo un superficiale può identificare questo millenario nazionalismo resistente con il putinismo; è una risposta più propriamente di civiltà e civilizzazione. E’ questa resistenza profonda che ha mandato totalmente in frantumi il disegno davosista del Great Reset, che è al fondo niente altro che la vecchia ipotesi dei Rothschild, opportunamente riciclata, di una nuova Yalta tra Pechino e Londra-New York sulla pelle sanguinante e smembrata dell’orso russo. Nel conflitto di civiltà, per le ragioni appena esposte, Mosca è perennemente sull’abisso più di quanto lo siano cinesi e angloamericani; per questo sarebbe corretto provare a vedere ciò che sarà guardando il futuro anno con gli occhi di un russo: dal 2022 l’orso russo prenderà inevitabilmente la forma e la dynamis della tigre siberiana. Nel calendario sinico il 2022 sarà l’anno della tigre.

Nuova Dehli Mosca Berlino Est            

Alexander Solzenicyn, nobile e leale Patriota russo, nella “Lettera ai Capi dell’Urss” del 1973 invitava l’elite marxista del Cremlino a superare la fase storica del materialismo storico con un nuovo idealismo nazionale slavofilo, individuando il conflitto del secolo futuro tra imperialismo cinese e nazionalismo russo. “…Sarà una Guerra Difensiva, autenticamente patriottica. Non possiamo cedere il territorio della Siberia, questo è indubbio”. Per Solzenicyn, il materialismo tecnicistico occidentale non rappresentava il pericolo per l’anima russa. Quest’ultima avrebbe avuto gli anticorpi per resistere all’ Estremo Occidente, come lo scrittore puntualizzò anni dopo negli stessi “Discorsi di Harvard”. L’Occidente tecnocratico non avrebbe esercitato alcun fascino sull’anima russa. Gli anni ’90, ricordati tuttora come il periodo più buio dell’intera storia russa, confermeranno le visioni di Solzenicyn. Era viceversa il collettivismo imperiale neo-confuciano che alla lunga avrebbe potuto frammentare l’identità spirituale e nazionale russa. L’elite sovietica naturalmente non ascoltò Solzenicyn, guardava solo a Occidente, non tenendo in eccessiva considerazione la formidabile e rivoluzionaria Ideocrazia Neo-Confuciana della Città Proibita, che poco dopo Deng Xiaoping avrebbe genialmente, e gradualisticamente, ricondotto all’egemonia mondiale. I sovietici gettarono via le risorse russe in quella nefasta sfida tecnocratica con gli Stati Uniti, che Solzenicyn condannava senza mezzi termini; “la corso al Cosmo è spettacolare quanto è inutile” sosteneva Solzenicyn, invitando il Cremlino a sviluppare un cammino spirituale autonomo dal “gigantismo tecnologico” nichilista di New York.  Oggi Mosca, che si è definitivamente liberata da ogni più pericoloso influsso statunitense,  non può però non sentire il fiato sul collo dell’inevitabile movimento di espansione imperiale e ideocratico del popolo Han, votato alla legittima riconquista globale. Immaginavamo non a caso mesi fa –     https://www.sollevazione.it/2021/04/ne-u-s-a-ne-cina-di-o-g.html – ciò che stiamo oggi vedendo, la formazione di un blocco strategico, politico-militare, tra Vladimir Putin e Narendra Mohdi. Se la Federazione Russa è obbligata a muoversi in tale direzione, per motivi di sopravvivenza storica e politica, lo stesso va detto sia riguardo all’India nazionalista di Mohdi sia riguardo alla Germania.  Quest’ultima sta sperimentando da decenni la più grande e tragica crisi identitaria che uno Stato-nazione possa sperimentare. E’ la vecchia Germania orientale, la più identitaria, che guarda con sentimento fraterno a Mosca e non vuole la definitiva estinzione della cultura e dell’identità germaniche.  Mosca Nuova Dehli Berlino è perciò un blocco obbligato dalla elementare logica di sopravvivenza umana e vitale prima che da ogni strategia geopolitica. Le masse politicizzate e militari russe e indiane ben integrate con il complesso funzionale industriale e economico tedesco significherebbero un Neutralismo pacificatore e equilibratore nel caotico e tesissimo contesto di odierna politica internazionale.

Mosca, il Terzo Occidente e l’avanguardia del futuro

Nella medesima Lettera citata, il Patriota e scrittore russo Alexander Solzenicyn avanzava l’ipotesi di una irreversibile crisi di civiltà dell’intero Occidente, ecosistematica e spirituale. Non il marxismo sovietico avrebbe saputo approfittare di tale crisi, dato lo strettissimo legame gnoseologico tra giudeo-cristianismo occidentale e marxismo-leninismo, ma proprio il risorgente nazionalismo asiatico: a Taipei nei primissimi anni ’80 Solzenicyn previde perfettamente il futuro mondiale con gli occhi a mandorla, delineando una realtà “Collettivista mondiale” a base di tecnocrazia socialista confuciana. Dagli anni ’90 però lo scrittore russo tornò a prefigurare, come già fece nel ’73, nel polo russo l’unica barriera di civiltà sia rispetto alla tecnocrazia occidentale sia rispetto a quella orientale che stava in quegli anni recuperando il terreno perduto nei secoli precedenti. Nel corso dell’aggressione mondiale contro la resistenza Serba, egli paragonò i serbi – allora abbandonati, con grande dolore di Solzenicyn, anche dal tradizionale protettore russo – agli antichi spartani. Con la graduale rinascita russa degli anni Duemila, lo scrittore identificò con la tutela e la trasmissione degli originari valori occidentali, devastati e vilipesi dall’Unione Europea, la missione identitaria dello spirito nazionale russo. La missione russa era perciò per Solzenicyn la missione del “terzo Occidente”, in continuità con il primo Occidente ( l’originario spirito greco) e poi con il cristianesimo di scuola greca (non giudaica), che si contese la guida culturale e spirituale dell’Occidente dell’epoca con l’ecumene franco-germanica. Il messaggio di Solzenicyn è oggi più attuale che mai: nè l’Unione Europa né gli anglo-americani possono ormai fare molto per temperare o moderare il movimento espansionista mondiale Han. Va anche detto che il “socialismo di mercato” di Pechino ha usato sino a ora un metodo sviluppista, rispetto agli stessi paesi colonizzati, certamente più umano e progressivo di quello dei “bombardamenti etico-umanitari” che le tecnocrazie militariste occidentali hanno fatto loro conoscere negli ultimi decenni. Come prefigurò nei decenni scorsi Solzenicyn, spetterà dunque alla Russia, con il suo fondamento morale avito, “ricostruire l’Occidente”, dato che la decadenza morale dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti è oggi addirittura più avanzata di quella descritta dallo scrittore russo. Se l’avanguardismo nazionale russo, che il Presidente Putin a Valdai ha considerato una manifestazione di “Conservatorismo modernista”, riuscirà a integrarsi con l’Occidente avremo un concreto multipolarismo e una sana evoluzione sul piano della politica internazionale; altrimenti il multipolarismo che vedremo dal 2022 in avanti avrà sempre più la forma dello spirito imperiale Han. La Cina strariperà ovunque e con la saggezza mostrata sino a oggi. In tale direzione, l’eventuale sconfitta nelle presidenziali francesi del 2022 del candidato dei Rothschild, Macron, a vantaggio della Valèrie Pècresse (LR), statalista nazionalista e russofila, potrebbe avere un provvidenziale effetto catena in tutto l’Occidente, a iniziare dall’Italia dove pesa come un macigno l’assenza di un fronte politico nazionale che caldeggi operativamente la nascita di una Terza Forza mondiale: né Oriente né Occidente!