La Quarta teoria politica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Alexander Dughin è un capitale ideale molto prezioso di cui oggi dispone la Russia. La sua vita stessa può essere paragonata sul piano ideologico e storico odierno a quella dell’indiano Subrahmanyam Jaishankar, min. degli esteri di Delhi machiavelliano e ideologo della Nuova India, a quella del massimo teorico dell’egemonia neo-marxista globale, l’hegeliano Wang Huning, o seppur in parte a quella del nazionalista nipponico Mishima, la cui eccezionale ed epica vicenda esistenziale è stata alla base della rinascita identitaria giapponese dalla fine degli anni ’70 con l’egemonia della revisionistica “Nippon Kaiji” che ha de-americanizzato sempre di più il Sol Levante e riabilitato i “kamikaze”.

Dughin fu infatti negli anni ’90 uno dei più convinti e determinati oppositori del percorso di occidentalizzazione della Russia; la sua posizione al riguardo è stata ed è chiara. Dughin è spesso accostato a Putin, lo stesso diplomatico Sergio Romano lo considera il Lev Gumilev dei nostri giorni, l’ideologo russo è molto rispettato generalmente anche da quelle correnti “nazionalistiche” che non condividono affatto la sua linea eurasiana.

La quarta teoria politica è un saggio del Dughin tradotto nelle principali lingue internazionali, dal portoghese all’inglese, dal persiano al serbo, che vorrebbe dare un nuovo indirizzo antagonista all’egemonia liberal occidentale. E’ una quarta teoria politica superamento definitivo delle tre grandi narrazioni ideologiche che hanno contraddistinto il Sec. Ventesimo. Dughin considera sostanzialmente morte queste dottrine. Il liberalismo prima teoria politica è identificato con l’utilitarismo privatistico, il comunismo seconda teoria politica con il mito globale della classe, il fascismo terza teoria politica con il mito della nazione e dello stato etico, ma è inserito nella terza teoria lo stesso nazionalsocialismo con il mito della razza.

Dughin legge le odierne tensioni sociali conflittuali come conseguenze dell’egemonia economicistica “neo-liberale” fondata sulla logica del mercato globale e dei Big Tech. Da prima teoria politica il neo-liberalismo diviene unica pratica politica consentita. Al posto di strateghi politici abbiamo al comando manager e tecnici che dovrebbero ottimizzare la razionalizzazione sociale e la digitalizzazione algoritmica del politicamente corretto globalista. Il capovolgimento e la trans-valutazione relativistica di tutti i valori operati dal neo-liberalismo occidentale conduce, per il filosofo russo, alla nascita di una nuova pseudo-religione artificiale basata su un ecumenismo sfrenato e su un concetto astratto di tolleranza. Tale impostazione generalistica di politically correct corrisponde in verità più alla hegeliana, sanguinaria furia del dileguare che alla bontà sentimentale umanitaristica. Il globalismo cancella il Dasein di Heidegger e la soggettività trascendentale di Husserl, plasmando il post-mondo e la post-storia composta da simulacri e strutture virtuali collettivistiche: gli sviluppi nel progetto del genoma umano, le clonazioni, gli esperimenti con i robot e le nuove generazioni di cyborg ci porteranno, secondo il filosofo russo, all’avvento della postumanità. E’ il post-modernismo ultra-nichilistico, è la mezzanotte dell’Essere nella sua fase più acutamente tenebrosa.

Qui Dughin introduce concetti, rielaborandoli però in profondità, appartenenti al pensiero filosofico di Martin Heidegger e a quello tradizionalistico di Julius Evola, da quest’ultimo espressi in particolare in un saggio pubblicato nel 1961: “Cavalcare la Tigre”, con sottotitolo “Orientamenti esistenziali per una epoca della dissoluzione”. Il linguaggio sostanzialistico e non nominalistico usato da Dughin pertiene a una certa temperie dell’esistenzialismo tedesco, non ultimo Max Scheler, ma emerge in modo netto il debito verso la rivoluzione conservatrice di Evola e Heidegger: questi due pensatori osano individuare proprio nel nichilismo il loro precipuo campo d’azione, non ponendosi in una logica di stagnazione oppositiva o di semplice antagonismo al nulla dei valori capovolti.

Benvenuto sarebbe dunque il nichilismo più virulento e dissolvitore per l’autentico uomo della Tradizione sacrale, egli non teme la sfida esistenziale desiderandola anzi ardentemente. Il filosofo russo teorizza, in modo genialmente suggestivo, una sorta di nuovo esistenzialismo sacrale sulle macerie dell’attuale vuoto nulla, sull’attuale deserto scavato dalla Scienza e dalla Tecnica. L’Occidente è il focus privilegiato di Dughin, che provocatoriamente dice di voler leggere Evola e Heidegger da Sinistra, non da destra, probabilmente riferendosi anche ai misteri tantrici della via della mano sinistra che sarebbero in grado di trasformare in farmaco il veleno nichilista. Focus privilegiato dughiniano è perciò l’uomo occidentale poiché  essendo piombato nell’abisso potrebbe essere il primo a risalire. L’uomo differenziato evoliano, che cavalcando la tigre si immerge nel caòs del post-modernismo senza esserne dilaniato, il selbst del Dasein di Martin Heidegger, divengono il Soggetto Radicale di Dughin, colui che incarna la dimensione originaria dell’Eroico sacrale nell’abisso dei giorni più oscuri e infami della storia d’Occidente. Il Logos originario ellenico, l’intelletto solitario del genio occidentale affonda nella dimensione spettrale e tecno-specialistica così ben simboleggiata dalla estrema algidità faustiana delle metropoli americane o della valle del silicio. La “Resurrezione dell’Intelletto” dal suo stato di morte da qui ripartirà, probabilmente.

Tale strategia “occidentale” della quarta teoria non è stata ben compresa dagli studiosi della filosofia dughiniana. L’eurasianesimo dughiniano contrappone, sul piano della politica internazionale, il multiporalismo differenzialistico, del quale la quarta teoria politica dovrebbe appunto la filosofia di supporto sul piano della visione del mondo, e il “personalismo comunitario assoluto” al globalismo e alla polverizzazione sub-nucleare individualistica. Ciò è vero. Ma nella sua essenza la filosofia pratica e morale del Soggetto Radicale è tipica di un’ “atmosfera ideale” iper-futuristica e ultra-modernistica, che può esclusivamente valere per taluni ambienti estremo-occidentali o giapponesi. L’Intelletto Occidentale del Soggetto radicale è il centro sperimentale dughiniano nel contesto della più avanzata rivoluzione tecnologica; essendo ormai isolato è definito dal filosofo “l’Intelletto per la morte” che può però Risorgere. L’Intelletto per la morte può accettare il verdetto nella decisiva “guerra angelica” tra forze della luce spirituale e tenebre, ma poco di più. Il volontarismo idealistico della tradizione politica machiavelliana italiana non sembra appartenere al Dughin. E’ ora però necessario individuare tre punti molto critici della quarta teoria politica.

L’Occidente ha vinto la guerra fredda?

Dughin dà per fatto assodato che Reagan e la Thatcher abbiano trionfato nella guerra fredda. Fa propria così la retorica occidentalistica. Da questa errata interpretazione della Storia, tipicamente economicistica e eurocentrista, derivano successivi errori nella sua analisi. Il reaganismo o il thatcherismo son stati di per sé insignificanti nella storia del Novecento; in quel contesto storico, per fermare la nuova ascesa al potere globale del nazionalismo nipponico, furono necessari agli Usa e alla Gran Bretagna i “pre-trumpiani” accordi del Plaza (1985) e l’integrazione della Cina Marxista di Deng nella catena del valore globale. La parola d’ordine dell’originario Globalismo angloamericano fu non a caso: “Japan Bashing!” (Distruggere il Giappone!). Anche grazie al sabotaggio mirato degli occidentali e degli europei contro la nuova ascesa nipponica, il Partito Comunista Cinese di fatto iniziava ad accendere il motore della globalizzazione. Il Giappone, considerato morto dagli Stati Uniti, risorgeva di nuovo dalle macerie degli anni ’90. Identificare dunque la globalizzazione con l’americanismo è antistorico e tipico della propaganda occidentale. Al tempo stesso, durante il processo di globalizzazione, l’Islam tornò al centro. La globlizzazione è stata  un processo di ampia de-occidentalizzazione dell’universo mondo. Il globalismo anglo-americano fu un tentativo politico e militare dell’Occidente estremo di cavalcare la globalizzazione asiatica e in parte islamica. Tentativo che oggi possiamo dire fallito e sconfitto soprattutto grazie alla rinascita del “nazionalismo” della Russia ed alla sua Guerra Liminale. Vi sarà ora il rischio che ci troveremo ad affrontare il globalismo del Partito Comunista Cinese? Assai probabile, ma non è tema di questo articolo.

Il neo-liberalismo è egemone? La quarta teoria considera egemone il neo-liberalismo. Non sarebbero dovuti però servire Covid 19 e stati di emergenza neo-schmittiani, altroché liberalisti o liberisti, per vedere legittimata l’antica profezia del populista russo Herzen secondo cui l’Occidente intero sarebbe divenuto una sorta di Grande Cina semi-coloniale. Il liberalismo occidentale è defunto nel 1914: se oggi vivesse Benedetto Croce, il più grande filosofo liberale del sec. ventesimo, sarebbe di certo alla opposizione sia verso il globalismo sia verso queste tecnocrazie occidentali di esportazione cinese. Appartiene forse ai “Liberali” il potere decisionistico in Occidente? Non si direbbe proprio. La situazione in sostanza è sempre quella dei “Comandanti” civili-militari di Bob Woodward.  Apparati federali, Pentagono, Cia, MI6, agenzie di intelligence hanno il potere di veto sulla strategia, divulgando la narrazione pseudo-liberalistica, il “Complottismo” sull’11/9, sugli Ufo e sui Big Tech al comando. E’ più facile che determinate strategie sociali occidentali siano il frutto di guerra tra bande di vari rami spionistici interni piuttosto che tra bande finanziarie. Il controllo sociale oggettivo e il sistema della sorveglianza sono di pertinenza militare, solo formalmente dei Gafam. La stessa monarchia britannica è da decenni subalterna a tali agenzie di intelligence. Se in Occidente comandasse Big Tech o Big Pharma, come molti pensano, vi sarebbe già da anni un blocco strategico globalista tecnocratico tra Cina e Stati Uniti in funzione anti-Russia; se comandasse la Casa Bianca o il potere politico avremmo invece un asse tra Occidente e Russia in funzione anticinese e anti-orientalistica (1). Non abbiamo né l’uno né l’altro. Gli apparati federali e di sicurezza coltivano viceversa il progetto assolutista unipolare solo accarezzato, ma sfuggito di mano, in questi ultimi decenni. La frazione globalista e utopica di Davos, a favore del blocco tecnocratico con la Cina Comunista, è presa in considerazione solo dentro le antistoriche e neo-kantiane cancelliere europee o nei circuiti “Complottisti”; lo stesso Biden è un nemico esplicito del globalismo di Davos e si è rifiutato di incontrare Schwab. Riguardo al sistema sociale e politico occidentale, ben più che Liberale o Liberista, sarebbe il caso di definirlo una misteriosa Cina in fieri.  Herzen centrò il punto.

Comunismo e fascismo sono veramente stati sconfitti? La quarta teoria politica considera fuori dalla storia sia il comunismo sia il fascismo. Ammesso ciò sia vero, meriterebbe di essere discusso. In Cina, Nepal, Corea del Nord, Vietnam, Cuba, Laos, Transinistria abbiamo al potere da decenni partiti politici esplicitamente marxisti. In India, Giappone, Taiwan, nonostante le furiose proteste delle ambasciate americane, i governanti egemoni non hanno fatto né faranno nulla per nascondere il loro rapporto carnale identitario e anche ideologico-spirituale con il fascismo storico. Pejman Abdolmohammadi, il più grande studioso della dottrina politica iraniana dei nostri giorni, non esita a definire “fascismo iraniano” il nazionalismo egemone tra le cerchie militari persiane e lo stesso baathismo siriano di Assad se non è propriamente fascista non ha fatto nulla per nascondere in tutti questi anni recenti una esplicita affinità ideale con taluni elementi fascisti, dal corporativismo al terzaforzismo. Sono stati citate nazioni quasi tutti più importanti e decisive di quelle europee nell’economia geopolitica e geo-militare globale, gravitanti verso comunismo e fascismo. Questa noncuranza, assai economicistica, pare un forte limite della quarta teoria dughiniana.

NOTE

1) Non si sarà scordato che la Hillary Clinton, considerata a Mosca un falco antirusso, fu tra il 2008- 2009 la maggiore interprete della linea filorussa e anti-orientalistica della politica statunitense. Dopo la esplicita liason con il min. degli esteri Lavrov della primavera 2009, partirono mezzo stampa attacchi furiosi contro la Clinton, che si iniziò guarda caso a posizionare stabilmente alla guida del fronte interno antirusso e fu assai moderata e benevola verso il Socialismo pechinese. Stessa involuzione del Clinton presidenziale, che fu costretto a diventare “amico dei terroristi jihadisti” e impietoso bombardatore della “Serbia cristiana e patriottica”. Medesimo è il copione che abbiamo in questi giorni contro Biden, stupidamente ridicolizzato per le sue gaffes,  e verso Kamala Harris, colpevole di essere per i canali mondiali di “Informazione” obbedienti a fazioni di MI6 e del Pentagono addirittura una “nazionalista dura e pura” come Donald Trump e di non dare garanzie nella logica mondiale di assedio frontale contro Putin e contro la Russia. Il Pentagono e la sicurezza Britannica avevano molto puntato sulla Russofobia di Kamala, ma quest’ultima non ci sta a passare dalla loro parte. MI6 ha fatto in questi mesi il vuoto attorno a Kamala portando alle dimissioni uno dopo l’altro i suoi più validi consiglieri e denigrandola mezzo stampa come “drogata”, a causa di un ridicolo, presunto precedente di cannabis.

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