…NOI NEMMENO
Bologna, 12 marzo. Manifestazione nazionale, “Guerra e pandemia stessa strategia. Pace sì ma quella vera. La NATO è colpevole”. Certo, saremmo dovuti essere di più. Non facile sotto la pioggia di bombe a grappolo della propaganda di regime. Non facile in dieci giorni. Proprio per questo essa è stata un successo, pari al coraggio con cui i promotori l’hanno voluta e organizzata. Una manifestazione che non è nata come risultato di un accordo tra partitini, sollecitata da qualche influencer o spalleggiata dalle “Tv dei cittadini”. I partitini poco o nulla hanno fatto, se non salire sul palco per mettersi in mostra nella loro nudità; il coro degli esbizionisti influencer ha taciuto; le diverse TV dei cittadini, come quelle di regime, hanno osservato un rigoroso silenzio. La manifestazione è nata come parto del movimento no green pass, di quello che ne resta, della sua parte migliore, quella più determinata e meglio organizzata e, se mi è concesso, politicamente più avanzata. Una parte che ora deve prendere coraggiose decisioni su come andare avanti, che non deve rifiutare i dialogo con nessuno, ma che ha dimostrato di poter camminare sulle sue gambe, quini imponendo essa il ritmo delle prossime danze.
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“Qui siamo in guerra, è una III guerra mondiale ma a pezzi”. Aveva visto giusto Bergoglio, nell’agosto del 2014, descrivendo la situazione del mondo. Che anche il Papa, abbandonate le consuete vesti del pacere, abbia indossato l’elmetto e sia sceso in campo (sul solco di un orientamento russofobo antico) a fianco del blocco USA-NATO-UE, ci da l’idea della isterica compattezza che serpeggia nelle stanze dei bottoni dell’Occidente (posto che il Vaticano è una di queste stanze) a causa dell’offensiva del governo russo. Offensiva che è un capitolo di un dramma di portata storica, il passaggio, necessariamente doloroso, da un ordine mondiale in sfacelo ad un altro in gestazione, offensiva che può essere compresa solo a patto di considerarla il grido di una Russia che rifiuta il disegno dell’élite mondialista che vuole metterla in ginocchio per poi colonizzarla e saccheggiarla come il più grande serbatoio di materie prime senza il quale il capitalismo non camperebbe altri vent’anni. Con tutto il rispetto che si deve ai pacifisti sinceri (non quelli che fungono da truppe ausiliarie degli USA e della NATO), se la Russia perde questa guerra (guerra sovranista e difensiva) perdiamo anche noi, se la Russia vince, vinciamo anche noi. GUERRA NON RUSSA in un duplice significato quindi: che in Ucraina non stiamo assistendo ad un conflitto tra due paesi confinanti ma ad una nuova fase di una guerra di portata universale — di cui l’indomito orso russo ne sarà protagonista come avversario strategico dell’ordine mondiale che immaginano gli apprendisti stregoni del Grande Reset.
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E’ così, la nostra battaglia per un nuovo risorgimento dell’Italia; la battaglia per la sovranità popolare; la battaglia per liberarci dalla gabbia dell’EU/NATO; passa per la porta stretta di una sconfitta di chi ci tiene incatenati al ceppo del capitalismo mondialista il quale, per compiere il salto e diventare cybercapitalismo, deve appunto frantumare e schiacciare, assieme al nemico esterno (anzitutto il grande “stato canaglia” russo), tutte le forze ribelli, come la nostra, che stanno crescendo nelle sue viscere. Non sempre vale la massima il nemico del mio nemico è mio amico, questa volta sì.
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“Fuori l’Italia dalla NATO”, “Italia neutrale”, si gridava sabato per le strade di Bologna. Verrebbe da dire (si arrabbieranno gli internazionalisti da operetta), non “neutralità assoluta” ma “attiva e operante”. La martellante propaganda di regime, oltre a tutte le amenità, vuole convincerci che Putin è solo e che la Russia sprofonderà nell’abisso dell’autarchia. Ma basta guardare alla reazione del mondo, al risultato della mozione alle Nazioni Unite e alla lista di chi non ha aderito alle violente sanzioni antirusse, per capire che le cose stanno in diverso modo, anzi, opposto: è il blocco euro-atlantista che ha perso pezzi ad ogni latitudine, che rischia di precipitare, dall’euforia imperialistica post-‘89 in uno stato di depressione psicotica (quindi pericolosa assai). Al tramonto del mondo dell’imperialismo occidentale coincide una seconda, certo differente dalla prima, alba di quello orientale. Un’Italia neutrale, sì, ma non quinta ruota di un carro funebre, bensì nella marcia di chi costruisce il mondo che verrà. Se saremo in testa, o piuttosto in coda, questo dipende anche da noi.
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Ordine multipolare certo, ma in ogni ordine multipolare c’è un rango delle nazioni, ove il rango dipende da molteplici fattori, tra questi quello del Paese che riesce a costruire un modello sociale e politico contagioso, che cioè coniughi liberazione sociale e potenza politica, libertà e sovranità strategica.
(14 marzo 2022)