Energia: dieci verità per fermare la catastrofe

Breve riassunto 

Poiché ci è venuto fuori un pezzo un po’ lungo, iniziamo con un riassunto sintetico di quel che abbiamo scritto. In particolare, sulle conclusioni a cui siamo giunti.

Primo. La questione energetica, dunque quella del caro bollette, è oggi centrale. E lo sarà per un periodo non breve. 

Secondo. Le misure del governo italiano, come quelle dell’Ue, sono del tutto inadeguate ad affrontare l’emergenza che loro stessi hanno creato. 

Terzo. Nell’esplosione dei prezzi il ruolo della speculazione è importante, ma essa non avrebbe mai raggiunto questi livelli se non fossimo di fatto in guerra contro la Russia.

Quarto. Le politiche anti-russe ci stanno portando verso una carenza strutturale, e di lungo periodo, del gas. Al di là dei picchi attuali, l’aumento dei prezzi che si profila per il futuro è comunque insostenibile per l’economia italiana. 

Quinto. Per venire fuori dall’attuale disastro bisogna innanzitutto revocare le sanzioni, portando l’Italia fuori dalla guerra e ristabilendo normali relazioni politiche e commerciali con Mosca. 

Sesto. Si potrà porre fine alla speculazione solo con l’uscita da tutti i mercati borsistici dell’energia, quelli internazionali e quelli nazionali. Questi ultimi andranno semplicemente chiusi.

Settimo. E’ necessario nazionalizzare il sistema energetico, a partire da Eni ed Enel. Alla nuova Enel il compito di produrre e distribuire l’energia elettrica per l’intero Paese. All’Eni quello di garantire tutti gli approvvigionamenti con contratti di lungo periodo con i vari fornitori. Allo Stato il ruolo di programmazione e di fissazione di prezzi stabili amministrati.  

Ottavo. C’è bisogno di una nuova opposizione all’altezza di questi compiti. Un’opposizione che si ponga l’obiettivo di far saltare tutti i governi imperniati sulle forze euroatlantiste.

Nono. In questo quadro vanno sostenute tutte le iniziative contro il caro bollette, tese a mettere in difficoltà il governo e le compagnie energetiche. 

Decimo. Alla fine, però, solo un ampio movimento popolare potrà farcela. Alla chiarezza delle idee dovrà dunque accompagnarsi la costruzione di una grande capacità di lotta. Quali forme assumerà questa lotta ce lo diranno solo i fatti. Ma da lì non si scappa.

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Parlare del gas senza parlare della guerra?

Lo avevano già fatto timidamente a marzo (ne avevamo parlato qui), per poi dimenticarsene nei mesi successivi, ma adesso lorsignori hanno riscoperto alla grande l’acqua calda. Che però vorrebbero raffreddare almeno di qualche grado, perché il boomerang delle sanzioni gli sta tornando addosso. Da qualche giorno è tutto un parlare di speculazione. Ma dai, ma chi l’avrebbe mai detto che in Borsa si specula! Sembra quasi che l’energia elettrica ed il gas in Borsa ce l’abbiamo portati noi. O magari il perfido Putin!

Quanto è onesta questa tardiva “scoperta” della speculazione? Diciamo che in una scala da zero a dieci, ad essere buoni gli daremmo -10 (attenzione al segno meno), che è esattamente la temperatura che ci augureremmo per il prossimo inverno nei loro uffici. Che invece resteranno purtroppo al caldo, mentre a soffrire sarà la povera gente. Tanto per cambiare.

La disonestà di questi farabutti non sta solo nell’evitare la pur minima autocritica sul modello neoliberista che osannano ormai da decenni; essa sta pure nel fatto che oggi parlare solo di speculazione, senza indicare il contesto in cui essa ha potuto prosperare, serve soltanto a non parlare di guerra. Quella guerra che hanno voluto a gran voce contro la Russia, pensando di piegarla in tre mesi con le loro odiose sanzioni. Sanzioni che avrebbero stroncato l’economia russa, mentre la massiccia fornitura di armi all’Ucraina avrebbe impedito – come in effetti sta avvenendo – ogni possibilità di pace.

Le cose sono andate diversamente. L’economia russa sta reggendo, quella europea no, ma mai che si dica che il governo dei “migliori” ha sbagliato i suoi calcoli, mica vorrete andare all’inferno! E mica vorrete andarci due volte, dicendo che quell’errore ha accomunato tutta (o quasi) quell’infallibile Regno del Bene denominato Unione Europea!?

Diceva Eschilo che in guerra la verità è la prima vittima. Giusto, ma i nostrani trombettieri del neoliberismo come migliore sistema possibile, la verità hanno smesso di prenderla anche solo in considerazione fin da bambini.

Di fronte alle loro cortine fumogene, non resta altro che provare a ristabilire alcune verità. Alcuni dati di fatto che possono aiutarci a dare una risposta alla domanda che più ci interessa: come possiamo uscire dalla situazione attuale? Detto in altre parole, come impedire la catastrofe messa in pista dal combinato disposto rappresentato dalla guerra della Nato, dai meccanismi del sistema neoliberista, dal pavido servilismo delle classi dirigenti europee?

Andiamo con ordine.

  1. I meccanismi della speculazione

Abbiamo illustrato i meccanismi della speculazione nel già citato articolo di marzo. Lì abbiamo spiegato a sufficienza ciò di cui oggi parlano tutti: dalla Borsa di Amsterdam per il gas, fino alla Borsa elettrica nazionale introdotta nel 1999 da quel sant’uomo di Bersani. In effetti non il peggiore dei governanti dell’ultimo trentennio, il che è tutto dire.

Per la verità quell’articolo trattava anche di un altro luogo dove la speculazione si consuma, il Psv (Punto di scambio virtuale), un mercato spot nazionale dove i grandi operatori moltiplicano talvolta per dieci il prezzo di acquisto della materia prima, riversandolo così maggiorato nei dorati tubi che conducono il gas alle utenze del nostro disgraziato Paese. E’ vero, il Psv (in pratica la Borsa italiana del gas) si basa sulle quotazioni del Ttf olandese, ma resta il fatto che la “nostra” Eni ha incrementato di oltre sei volte (+670,7%, ne abbiamo parlato qui) i propri profitti senza alcun bisogno di passare da Amsterdam! Sarà un caso che i giornaloni si siano dimenticati di parlare di questo piccolo dettaglio?

Questo giusto per dire che i luoghi della speculazione sono molteplici, che il neoliberismo è fantasioso e non si fa mancare proprio nulla, anche perché la classe politica che gli fa da pendant non è mai avara nel mettere a punto tutti i giocattolini di cui gli speculatori hanno bisogno. Borsa elettrica, Psv e mercato di Amsterdam non sono astoriche creature extraterrestri. Questi mostri iper-speculativi sono nati tutti negli ultimi 23 anni. Prima non c’erano, e stranamente il mondo andava avanti lo stesso!

Dell’avvio della Borsa elettrica (1999) abbiamo già detto, mentre il Ttf olandese nasce nel 2003 ed il Psv italiano viene varato nel 2007 (governo Prodi II), diventando operativo nel 2010 (Berlusconi IV).

Le trasversali responsabilità politiche dei vari governi nazionali e dell’Unione europea non hanno bisogno di particolari commenti. Stessa l’impostazione mercatista e neoliberista, stessa la subordinazione ai giganti dell’energia e della finanza, quest’ultima piuttosto attiva (tramite i soliti fondi d’investimento) sul mercato olandese.

Chiudiamo qui il discorso sulla speculazione, rimandando sempre all’articolo di marzo chi volesse approfondire la questione. In quel pezzo, volendo contestualizzare la speculazione in corso, così titolavamo un capitoletto: «Neoliberismo e politica anti-russa: padre e madre delle attuali speculazioni». Bene, proprio perché i nostri nemici oggi vorrebbero farci dimenticare tanto il neoliberismo, quanto (soprattutto) la guerra, è bene tornarci sopra.

Del neoliberismo abbiamo già detto, degli effetti della guerra è bene parlare meglio, anche perché di cose ne sono avvenute da marzo in poi.

  1. Una speculazione figlia della guerra

Che la guerra favorisca la speculazione è una banalità di cui tutti possono rendersi conto. Le cronache della Prima e della Seconda guerra mondiale, bastano e avanzano. Già ai primi di giugno del 1915, quando l’Italia era entrata in guerra da appena una settimana, iniziarono le prime segnalazioni di negozi che speculavano sul prezzo del grano e dei suoi derivati. Fu l’inizio di un disastro. Si dirà che stavolta è diverso, visto che per ora non abbiamo soldati al fronte. In realtà tutta questa differenza non esiste. E’ vero, per ora non ci sono soldati a morire, ma le sanzioni sono una forma di guerra, ed il loro effetto ci sta tornando addosso.

Le speculazioni belliche nascono principalmente dalla scarsità di determinati beni causata dal conflitto. Inoltre, oggi più di ieri, la guerra è un fatto economico oltreché militare. In generale, dunque, la speculazione ama la guerra. Ma essa ha bisogno di precise condizioni per svilupparsi. L’importante è che l’insieme di queste condizioni determini una qualche scarsità, meglio se di beni indispensabili all’economia ed alla società. Che è esattamente quello che è avvenuto con le sanzioni alla Russia.

Fino ad aprile non potevamo parlare di scarsità del gas. Al massimo la si poteva temere per il futuro. Le variazioni sui prezzi del gas (e del petrolio) erano dunque legate alle incerte prospettive di uno sconosciuto domani. Da maggio, però, le cose sono cambiate. E sono cambiate perché, del tutto legittimamente, la Russia ha iniziato a difendersi dalla violenta aggressione del blocco Nato.

In cosa consiste questo cambiamento?

In primo luogo, non tutte le nazioni europee (e le loro aziende importatrici) hanno accettato il pagamento in rubli richiesto a partire da maggio. Di conseguenza la Russia ha sospeso le consegne verso Polonia, Olanda, Danimarca, Lituania e Lettonia. La Bulgaria, fino a pochi giorni fa nella stessa situazione, è adesso tornata sui suoi passi. Questi paesi hanno sopperito acquistando gas da altre nazioni europee in nome della famosa solidarietà euroatlantica. Ma se Berlino vende alla Polonia, sarà la Germania ha soffrirne. E se la Norvegia dirotta i suoi flussi verso i baltici, quelli verso il sud del continente non potranno che ridursi. Quel che è certo è che, solo per la questione del pagamento in rubli, le forniture russe verso l’Ue sono diminuite in maniera significativa.

Ma non basta. A questa prima riduzione, ne è seguita una seconda legata agli effetti tecnici delle sanzioni. La Russia sostiene di non poter mantenere gli stessi flussi di prima a causa del blocco di alcune componenti importanti degli impianti gasiferi. E’ noto a tutti, ad esempio, il caso della turbina Siemens revisionata in Canada ed attualmente bloccata in Germania per alcuni adempimenti legati all’applicazione delle sanzioni deliberate dai paesi Ue. A seguito di questioni di questo tipo il gasdotto North Stream 1, che collega direttamente la Russia alla Germania, è chiuso da alcuni giorni, e al momento non si conosce la data della sua eventuale riattivazione. Che i problemi dovuti alle sanzioni siano realmente così gravi, oppure no, non ha importanza alcuna. Ciò che conta è che i flussi di metano (tra i quali quelli verso l’Italia) si sono effettivamente ridotti.

Le sanzioni sono arrivate dall’Occidente e la Russia ha tutto il diritto di difendersi. Ed è veramente pittoresco dover sentire i governanti europei che si lamentano dei tagli nelle consegne, quando sono proprio loro a teorizzare l’azzeramento di quelle forniture nel più breve tempo possibile. Che se quello è l’obiettivo, forse dovrebbero ringraziare Putin, visto che in questo momento sembra venirgli incontro… Ad ogni modo, i dati ufficiali sulla riduzione complessiva delle forniture verso l’Unione europea, prima ancora dello stop al North Stream I, parlano di un significativo -32%.

In terzo luogo, la scelta strategica dell’Ue di sganciarsi dalle forniture russe ha prodotto una pazzesca corsa al gas. Acquistare ad ogni prezzo hanno detto sia Draghi che il governo tedesco. Una follia che, oltre all’esplosione del Ttf, ha portato alla firma di nuovi contratti con altri fornitori (per l’Italia particolarmente importante quello con l’Algeria). Questi contratti sono immancabilmente segreti, dunque non si conoscono né i prezzi base, né le eventuali formule di aggancio ai mercati energetici. Non ci vuole molto, però, ad immaginarsi prezzi base doppi se non tripli rispetto a quelli praticati in epoca anteguerra e generalmente stimati sui 40 €/Mwh.

Infine, poiché siamo in guerra (ecco quello che adesso vorrebbero farci dimenticare), e poiché la guerra non è un fatto meramente militare, i governi devono comprensibilmente considerare l’ipotesi di un vero e proprio stop da parte russa. Questo comporta sia la corsa ad accaparrarsi a qualsiasi prezzo il gas per le scorte e le forniture invernali, sia quella all’acquisto delle costose navi per la rigassificazione.

Come possiamo pensare che tutti questi fattori non incidano sulla penuria del gas, dunque sul suo prezzo? Certo, la speculazione ha il suo peso (che di seguito proveremo a calcolare), ma essa ha bisogno del giusto habitat per potersi sviluppare. E questo habitat è la guerra. Tanto è vero che fino ad un anno e mezzo fa i prezzi di Amsterdam erano inferiori a quelli dei contratti pluridecennali.

Ed ancora nel dicembre dello scorso anno il Ttf olandese era sotto i 50 €/Mwh, poi con la guerra siamo arrivati a sfiorare i 200 €/Mwh all’inizio di marzo. Tra la metà di marzo e quella di maggio – quando è risultato chiaro che la Russia non aveva ridotto i flussi nonostante la porcheria delle sanzioni occidentali – i prezzi si sono stabilizzati, con quotazioni a cavallo dei 100 €/Mwh. Questa fase di relativa calma è finita a maggio quando, con l’introduzione del pagamento i rubli e tutto quel che ne è seguito (e che abbiamo elencato poc’anzi), i prezzi hanno iniziato ad impennarsi, raggiungendo i 150 €/Mwh a fine giugno, i 200 a metà luglio, fino al picco di 321 €/Mwh registrato il 25 agosto.

Questi dati ci dicono esattamente una cosa, che guerra e speculazione viaggiano in coppia come i carabinieri. Ai nostri nemici, che solo ora scoprono i problemucci del mercato per farci dimenticare le conseguenze della guerra, è giusto ricordare questa semplice verità per loro scomoda assai. Ma è questa una verità che dobbiamo tenere a mente fin da subito nell’azione politica, perché ogni iniziativa contro il caro bollette non potrà in nessun caso prescindere da due obiettivi: portare l’Italia fuori dalla guerra, ristabilire normali rapporti politici e commerciali con la Russia.

  1. Il peso della speculazione

Fin qui abbiamo visto fondamentalmente due cose: il ruolo ed i meccanismi della speculazione, il suo intimo rapporto con la guerra in corso. Ma, pur considerando che essa non avrebbe mai raggiunto gli attuali picchi senza la guerra, qual è il peso della speculazione rispetto all’aumento complessivo del prezzo del gas?

A questa domanda si può provare a rispondere solo in maniera spannometrica. Per quel che concerne l’Italia, due sono i dati da considerare. Il primo riguarda quelli che vengono pudicamente chiamati “extraprofitti”, ad oggi quantificati ufficialmente in 40 miliardi di euro. All’ingrosso, questa cifra monstre ci dà una misura abbastanza attendibile su quanto hanno guadagnato finora le aziende del settore energetico grazie ai meccanismi speculativi che abbiamo visto. Ma c’è una seconda cifra monstre, quella delle misure adottate dal governo per calmierare le bollette e il prezzo dei combustibili alla pompa. Osservato dal punto di vista dei cittadini questo “calmieramento” non si è apprezzato granché, ma ad oggi l’ammontare complessivo di questi interventi è pari a 49,5 miliardi.

Dunque, l’intervento dello Stato ha più che compensato la mostruosa speculazione sui prezzi del gas e dell’energia elettrica. E tuttavia le bollette di luce e gas sono mediamente raddoppiate, per qualcuno (soprattutto per chi è arrivato alla scadenza del contratto a prezzo bloccato) esse sono triplicate, se non addirittura quadruplicate.

La conclusione è che la speculazione è sì gigantesca, sicuramente senza precedenti dal 1945, ma la speculazione è solo una parte del problema. L’altra parte, quella che peraltro è alla base di tutto, si chiama guerra Nato alla Russia.

  1. Il price cap

Che le cose non siano semplici ce lo dice la vicenda del price cap, cioè dell’imposizione di un limite al prezzo del gas. Di questa idea il governo Draghi si è sempre fatto un gran vanto. Per mesi l’Unione europea ha fatto orecchie da mercante, ma nei giorni scorsi la decisione sembrava finalmente presa ed il price cap pareva dietro l’angolo. Da qui il trionfalismo dei nostrani giornaloni, tutti intenti a celebrare il gran successo italiano all’interno di un’Ue finalmente ravvedutasi. Peccato che questa edificante narrazione sia tutta da verificare.

Nelle confuse vicende europee ancora non è chiaro se la riunione dei ministri dell’energia, in calendario per il 9 settembre, affronterà davvero la questione del price cap, ed ancor meno chiaro è come proverà eventualmente a risolverla. Eppure, non più tardi di due giorni fa, Von der Leyen ha dichiarato che «è giunto il momento di fissare un tetto massimo al prezzo sul gas che arriva in Europa attraverso gasdotti russi».

Già su questa formula dev’esserci qualche problema, dato che secondo altre fonti europee il limite dovrebbe riguardare il gas in generale, non solo quello russo. Ma il punto decisivo è un altro. Io posso tranquillamente fissare il prezzo massimo che sono disposto a pagare per acquistare un chilo di pesche, ma se il fruttivendolo decide che a quel prezzo non vende io rimango senza pesche. Ora, finché si tratta di pesche il problema non è grave, vuol dire che passerò alle albicocche. Oppure cercherò un altro fruttivendolo. Se invece si tratta del gas la questione è leggermente più complessa. Non solo perché non ho altri fornitori adeguati, ma anche perché del gas (almeno per molti anni ancora) non potrò fare a meno.

Veniamo al concreto. Paolo Scaroni (ex amministratore delegato di Enel e di Eni) così si esprime sull’inserto economico de la Repubblica del 29 agosto:

«Se in Europa fissassimo un prezzo del gas più basso di quello che sono pronti a pagare i cinesi o i giapponesi o coreani non avremmo il gas e perderemmo addirittura la sicurezza dell’approvvigionamento».

Avete capito qual è il problema? Il fatto è che le tensioni sul mercato del gas hanno fatto schizzare i prezzi non soltanto in Europa, ma anche in Asia. Giusto per far capire chi sta vincendo la guerra dei prezzi, prendiamo quelli del giorno del picco europeo registratosi a fine agosto. Mentre nel Vecchio continente il prezzo superava la soglia dei 300 euro a Mwh, negli Usa (primo produttore mondiale di gas naturale) il metano prezzava 30 euro! Una differenza pazzesca, che ci dice dove stia andando l’economia europea. Negli stessi giorni il prezzo dell’Asia (in particolare Cina, Giappone, Corea del Sud ed India) si aggirava sui 180 €/Mwh. Assai meno che in Europa, ma sei volte più che negli Usa!

Da qui, tenuto conto delle enormi oscillazioni attuali, la difficoltà a stabilire un tetto al prezzo in Europa. Von der Leyen e soci lo vorrebbero abbastanza basso da colpire significativamente la Russia, ma sufficientemente alto da non far dirottare tutte le navi gasifere verso l’Asia. Un bel rebus, che potrebbe anche risolversi in un disastro se Mosca chiudesse davvero tutti i rubinetti. Come del resto minaccia di fare.

  1. Lo tsunami a venire sulle bollette

Fin qui abbiamo parlato di questioni macro. Ma ovviamente i prezzi all’ingrosso si scaricano poi, puntuali come la morte, nelle bollette delle famiglie e delle imprese. Sul punto è necessario essere chiari: chi pensa che il peggio potrà passare alla svelta, dovrà togliersi dalla testa questa illusione. Insomma, non andrà tutto bene.  Questo per due motivi: il prevedibile ulteriore aumento delle bollette; il carattere strutturale della carenza di gas in Europa determinata dalle scelte euroatlantiche.

Partiamo dal primo punto. Il riversamento dei prezzi all’ingrosso sulle bollette è ancora in corso. Nei prossimi mesi, mano a mano che i contratti a prezzo bloccato andranno a scadenza, l’aumento riguarderà tutte le utenze. Di questo ci parla un articolo di Laura Serafini sul Sole 24 Ore del 30 agosto, dal titolo: «Bollette, perché per famiglie e imprese il vero tsunami è atteso entro un anno». In realtà, se il peggio deve ancora venire, lo tsunami è già in corso, come dimostrano i tanti annunci di aziende costrette a fermare la produzione.

Sulla questione dei contratti a prezzo bloccato ancora in essere è intervenuto il governo con il decreto 115 dello scorso 9 agosto. Questo decreto ha efficacia solo su una parte di questi contratti, quelli che prevedono la possibilità di una modifica unilaterale degli stessi. Così recita l’articolo 3:

«Fino al 30 aprile 2023 è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte».

La norma non cambia nulla per i contratti sul cosiddetto “Mercato Tutelato”, né per quelli sul mercato libero ma a prezzo variabile (adottato dalla quasi totalità delle aziende energivore), e neppure per quelli a prezzo bloccato che non prevedano la possibilità della modifica unilaterale. In ogni caso il decreto tutela da azioni unilaterali del fornitore solo fino al 30 aprile del prossimo anno.

Ma c’è un secondo ed ancor più importante motivo a sconsigliare qualsiasi ottimismo in materia di bollette. Togliere dal mercato europeo il fornitore principale, quello che nel 2021 ha fornito il 44,5% del gas importato nell’Ue, quello che è collegato con l’Europa con una fitta rete di gasdotti, quello che è disponibile a forniture a buon prezzo con contratti pluridecennali, è semplicemente una follia. Dato che l’orientamento strategico dell’EuroNato è esattamente quello di portare a fondo questa follia, spero che si capisca perché parliamo di una carenza strutturale almeno per un periodo di alcuni anni.

Vantandosi per il brillante risultato, il ministro Cingolani ha recentemente sostenuto che per l’Italia la quota delle importazioni russe è già scesa dal 40% al 18%. Altre fonti parlano di una riduzione un po’ più bassa, ma il succo non cambia. Gli eurofolli stanno davvero procedendo su quella strada, ed infatti i risultati in bolletta parlano per loro. Complimenti vivissimi!

Questi disgraziati ci dicono adesso che bisognerà risparmiare. Ieri l’altro parlavano di un grado in meno ed un’ora in meno al giorno di riscaldamento. Ieri il numero magico è diventato il 2: due gradi in meno e due ore in meno al giorno, più due settimane in meno per l’accensione dei termosifoni. Che dire, dei geni! Nei prossimi giorni, dopo attenti calcoli, verranno magari a dirci che bisognerà passare al numero 3: meno 3 gradi, meno 3 ore, meno 3 settimane…

Le cose andranno ben diversamente. I risparmi nei consumi ci saranno eccome, ma essi saranno il frutto dei prezzi a cui siamo arrivati. Per milioni di famiglie questo vorrà dire sostanzialmente un inverno al freddo, mentre per tantissime aziende ci sarà lo stop della produzione se non addirittura la chiusura pura e semplice.

Lasciassero stare il termostato delle case degli italiani e si dedicassero piuttosto a venir fuori dal vicolo cieco in cui hanno portato il Paese!

  1. Governo ed Unione europea in panne

E’ chiaro come andando avanti in questo modo non se ne uscirà mai. Gli interventi messi in campo dal governo italiano, come del resto quelli degli altri governi europei, sono del tutto inadeguati. Il loro scopo è stato quello di tamponare la situazione, nell’infondata speranza di un rapido crollo della Russia.

Ancora più inadeguate sono le nuove misure di cui discute il governo Draghi in questi primi giorni di settembre. Volendo escludere a priori uno scostamento di bilancio, rifiutando cioè un aumento del deficit statale, la somma disponibile per questi interventi pare non sia superiore ai 10 miliardi. Nel quadro attuale, sostanzialmente un’inezia.

Tutto ciò, mentre i nodi di fondo stanno venendo al pettine e non soltanto in Italia. Vedremo ora come i pasticcioni europei proveranno a districarli. Oltre al price cap, a Bruxelles si discute del famoso disaccoppiamento tra i prezzi del gas e quelli dell’energia elettrica. Verrebbe da dire, meglio tardi che mai! Ma anche qui – alla faccia di una decisione che (a differenza di quella sul price cap) si potrebbe prendere ed applicare in 24 ore, con immediati benefici sulle bollette della luce – gli eurocrati sembrano voler procedere con i piedi di piombo. Se si farà, il disaccoppiamento andrà in porto soltanto nel 2023, e – attenzione! – solo temporaneamente, che non appena sarà possibile gli speculatori dell’energia dovranno pur tornare al loro passatempo preferito… Ci mancherebbe altro!

La verità è che, davanti alla sostanziale tenuta russa, la classe dirigente europea è andata semplicemente in panne, incapace di uscire dalla situazione in cui si è brillantemente cacciata con le sanzioni. Non è certo da lì che potrà arrivare una soluzione. E’ vero semmai il contrario: solo una sconfitta totale di questa classe dirigente potrà aprire la strada alle scelte necessarie per venire fuori dall’attuale disastro.

  1. Che fare allora?

Di fronte ad una situazione tragica come questa le idee devono essere chiare. Chiaro ciò che dovrebbe fare un governo popolare d’emergenza in grado di rovesciare le attuali politiche, chiaro quel che deve fare intanto un’opposizione che voglia porsi all’altezza dello scontro.

Tre sono i passaggi essenziali per risolvere la crisi energetica:

  • Stop immediato alle sanzioni alla Russia e ripristino dei normali rapporti commerciali con Mosca, dunque uscita dell’Italia dalla guerra in corso.
  • Nazionalizzazione del settore energetico a partire da Eni ed Enel.
  • Fine della speculazione con l’uscita da tutti i mercati borsistici, altro che misure temporanee! Alla nuova Enel il compito di produrre e distribuire l’energia elettrica per l’intero Paese. All’Eni quello di garantire tutti gli approvvigionamenti con contratti di lungo periodo con i vari fornitori. Allo Stato il ruolo di programmazione e di fissazione di prezzi stabili amministrati.

Detto questo sarebbe detto tutto. Peccato che queste fondamentali decisioni possono prenderle solo il governo e la sua maggioranza parlamentare. Peccato che l’attuale governo sia ancora presieduto da Draghi. Peccato che quello futuro lo sarà dalla signora Meloni, che (nonostante l’agitarsi di Salvini) sui temi della guerra e dell’atlantismo non vorrà essere seconda a nessuno.

Fermo restando gli obiettivi strategici di cui sopra, il nostro problema è dunque quello di un’adeguata opposizione da mettere in campo al più presto. Un’opposizione che faccia saltare il banco. Tutte le iniziative tese a mettere in difficoltà il governo e le compagnie energetiche, incluse quelle sul pagamento delle bollette, vanno dunque promosse e sostenute. Ma, alla fine, solo un ampio movimento popolare, che sappia far breccia anche nel campo di un mondo industriale in affanno, potrà farcela.

Hic Rhodus, hic salta!

(05 settembre 2022)