Dopo le elezioni europee, dove stiamo andando

Allacciate le cinture, nuove turbolenze in arrivo.

Altro che Stati Uniti d’Europa! L’Unione vacilla e le élite dominanti tremano. Meglio così! Che il loro crollo sia imminente? È presto ancora per dirlo, altre scosse dovranno arrivare e arriveranno. Di sicuro le recenti elezioni europee sono state uno smacco per i poteri forti euro-atlantisti. Pensavano di averla sfangata avendo superato le scosse populiste che venivano dalla faglia tettonica a Sud, ma quelli non erano che i segnali premonitori del terremoto che avrebbe raggiunto il Nord. L’infarto ha infatti colpito il cuore stesso dell’Unione, il cosiddetto “Asse Carolingio” Berlino-Parigi. Proveranno a puntellare il traballante edificio dell’Unione. Ma un conto è rabberciare un emergenziale blocco maggioritario a Strasburgo, quindi dare parvenza di legittimità ad una nuova Commissione, tutt’altra musica è invertire il corso della storia. I leader più importanti, convenuti a Bruxelles, stanno tentando di metterci una pezza. Da quel che si vede sarà peggiore del buco.

Le cause del tracollo elettorale dei governi di Berlino e Parigi sono molteplici: di natura sociale, istituzionale, geopolitica, culturale e spirituale. Una combinazione di così tanti fattori che una rinascita di questo Asse eurocratico diventa un’impresa miracolosa — non si confondano i miracoli con le alchimie ed i giochetti di prestigio. Ci vorrebbero anzitutto degli strateghi politici di razza, capaci di fare marcia indietro e di reinventare l’Unione separandosi dagli Stati Uniti in preda a profonde convulsioni, e di gettare un ponte alla Russia, alla Cina e al “Sud Globale”. La razza si è estinta a causa di decenni di servilismo atlantista, di euforia nichilista, di impolitico economicismo neoliberista.

Indichiamo quelli che consideriamo i tre principali fattori che hanno causato il tracollo.

Il primo è la sostanziale stagnazione economica in cui è impigliata l’Unione europea, Germania in primis. Pensavano, i poteri forti, di superare in scioltezza la recessione cercata e ottenuta con l’Operazione Covid-19, ma essa si è invece rivelata un potente boomerang. Essi immaginavano, invocando il Grande Reset, che avrebbero rafforzato l’Unione europea e indebolito avversari economici e nemici politici. Hanno ottenuto il risultato esattamente contrario. Con le strette di politica monetaria della Bce, con le misure austeritarie dei governi, sono cresciuti nuovi squilibri tra nazioni e all’interno di queste tra regioni (vedi il clamoroso caso della Germania Est); si sono approfondite e allargate le ingiustizie sociali e di classe (in Francia anzitutto, vedi le ripetute proteste popolari). Si è infine rivelato un miraggio ed un fattore addizionale di crisi il progetto di rilanciare rapidamente il ciclo economico con la Green Economy senza infrangere lo schema neoliberista. In questo contesto di crescente decomposizione sociale l’immigrazione intra-Ue ed extra-Ue, ha sì aiutato il capitalismo europeo a tenere testa, grazie alla disponibilità di forza lavoro a basso prezzo, ai competitori nel selvaggio mercato mondiale, ma ciò si è rivelato un moltiplicatore dei fenomeni di disfacimento e di tensione sociali.

Il secondo fattore boomerang che ha causato il terremoto politico riversatosi nelle urne è stata la decisione delle élite eurocratiche di entrare in guerra contro la Russia. Seguendo Macron e Scholz esse hanno sperato, usando il piede di porco ucraino, di sferrare un decisivo colpo di maglio alla Russia quindi provocare un regime change a Mosca; hanno ottenuto invece la loro propria rovina, rivelando al mondo che sono anatre zoppe, politicanti bolliti. Se le astute classi dominanti italiane, funamboli sulla corda tesa della guerra, si sono ben guardate dal seguire i proclami bellicisti di Parigi e Berlino (così evitando contraccolpi elettorali); Berlino e Parigi, con alle spalle NATO e Pentagono, confermano la linea strategica della guerra: “non consentiremo mai a Putin di vincere in Ucraina”. Una linea che il Cremlino pare aver messo nel conto, apprestandosi ad una guerra di lunga durata. Se i popoli europei non saranno in grado di sollevarsi rovesciando le eversive élite dominanti, e se queste, come pare, insisteranno nella strategia di procedere e preparare le condizioni della guerra guerreggiata contro la Russia, brutali strette autoritarie, se necessari veri e propri colpi di stato (bianchi e silenziosi o addirittura militari), saranno inevitabili per addomesticare l’opinione pubblica e mettere a tacere ogni opposizione degna di questo nome. Sono queste élite eversive la vera e più grande minaccia, il principale nemico dei popoli, dei cittadini europei, e della democrazia; non lo sono né l’orso russo né il cosiddetto “pericolo fascista”. La minaccia di precipitare in regime di dittatura e sorveglianza cibernetica non viene dal basso bensì dall’alto, da chi oggi comanda e usa la guerra per restare al potere e difendere la traballante supremazia imperialistica dell’Occidente collettivo.

Il terzo fattore di crisi interna all’Unione europea è l’esaurimento irreversibile della spinta ideologica propulsiva delle élite occidentali ed europee in particolare: la loro immagine di paladini dei valori di libertà, giustizia sociale e democrazia è totalmente sbiadita e per niente credibile agli occhi di masse sempre più larghe. La loro egemonia culturale e ideale sta andando in frantumi. Sbandierando lo spauracchio dell’orso russo e fingendo di erigersi a sentinelle della libertà e democrazia, immaginavano di dare senso e nuova linfa al loro declamato “europeismo”, ma gli elettori, tedeschi e francesi anzitutto, dimostrando di aver compreso che l’europeismo è solo la maschera dell’atlantismo (si legga sudditanza esistenziale e strategica all’impero americano), hanno pesantemente punito queste élite genuflesse ai piedi di Sleepy Joe. Le hanno puniteusando, come arnesi i partiti nazionalisti xenofobi come Alternative für Deutshland e Rassemblement National, come pure i “sovranisti di sinistra” come la Bündnis Sahara Wagenknecht, oppure non recandosi al voto.

Un’uscita dalla depressione economica europea, nel competitivo e avverso contesto mondiale, chiede non mezze misure ma una radicale e ampia svolta di politica economica che oltre a porre fine al lungo ciclo neoliberista getti in fretta nuove fondamenta sistemiche. Il progetto distopico le élite ce l’hanno, lo abbiamo chiamato Cybercapitalismo, ma per metterlo a terra, occorre tempo ma, proprio il tempo è un lusso che non possono permettersi. Per questo molti di quelli che stanno nella stanza dei bottoni immaginano che la soluzione sia proprio una guerra frontale contro la Russia, anche a costo che divampi e si dispieghi su più quadranti, ed anche a costo che si debba, con un first strike, apertamente premere i bottoni che innescano le micidiali armi nucleari di distruzione di massa.

Ciò che si deve fare, ciò che va fatto ad ogni costo, che quindi ha priorità assoluta, è fermare la corsa verso l’abisso della terza guerra mondiale. I popoli possono riuscirci, prima che sia troppo tardi, non dando il tempo ai dominanti, in nome di un patriottismo euro-atlantista, di disciplinare i cittadini mettendogli l’elmetto, impedendo loro di ristrutturare in senso militarista e autoritario la società. Una grande e trasversale alleanza internazionale dei popoli per la pace e per fermare le élite guerrafondaie è necessaria come il pane. Chiunque respinga questa Grande Alleanza in difesa della pace e della democrazia, chiunque non ammetta che il nemico fondamentale sono le élite dominanti, agisce come loro truppa ausiliaria.

Direttivo Nazionale del Fronte del Dissenso, 20 giugno 2024