Siria: e adesso?

Bashar al-Assad non è caduto combattendo come Saddam Hussein o Gheddafi, se l’è data a gambe scegliendo l’esilio, icasticamente simboleggiando l’implosione del suo regime. Ignominiosa fuga, sogghignano certi farisaici pennivendoli occidentali per i quali, posto che Israele sarebbe la sola democrazia nel Vicino Oriente, trai barbari arabi non ci sarebbe alternativa: o truci dittature o tagliagole salafiti. Se per l’islamofoba intellighentia occidentalista a Oriente non ci sarebbe scampo, o il Male o il Male, per certi manichei tifosi di Assad il Male islamista avrebbe sì trionfato, ma sul Bene rappresentato dal defunto regime. Diverso l’ordine dei fattori, ma non cambia il risultato..

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La maggioranza dei siriani, di Assad non ne sentirà la mancanza. Non certo la martoriata maggioranza sunnita né, per ragioni diverse, i cristiani o i drusi. Tantomeno piangeranno per la sua dipartita i curdi.  Presumo che non prevarrà il rimpianto nemmeno tra gli alawiti —setta di appartenenza della famiglia Assad, per la precisione più esoterico-gnostica che islamica —, letteralmente decimati per aver immolato, come soldati e fieri combattenti, la vita dei loro figli migliori sull’altare della difesa Assad e della lotta all’ultimo sangue contro la seconda micidiale insurrezione sunnita — la prima, schiacciata nel sangue da Assad padre, fu quella di Hama nel 1982.

L’implosione del regime del Ba’th e il collasso dello Stato, sono l’ultimo atto della catastrofica distruzione della Siria come nazione, ove la frazione politica degli Assad, a causa del suo delirio di onnipotenza e dell’ostinato rifiuto, quando ce n’era la possibilità, di ogni apertura a nessuno dei  suoi nemici interni, porta sulle spalle una grande responsabilità. Implosione che ha tuttavia l’aspetto di una demolizione controllata.

Chi ha piazzato le cariche esplosive per buttar giù il già traballante palazzo? Chi ha davvero deciso di seppellire il cadavere dell’unico superstite del già defunto movimento nazionalista panarabo? Chi sono coloro che hanno spianato la strada alle opposizioni islamiste raggruppate attorno al salafita Comitato per la Liberazione del Levante (Hiat Tahrir al-Sham)? Chi, da dietro le quinte, ha ordinato all’Esercito siriano, alle sue temibili forze d’élite, ai corpi di polizia di ogni ordine e grado, di dileguarsi in quattro e quattr’otto non opponendo alcuna resistenza?

Occorre rispondere a queste domande per capire come sia stato possibile che la più cruenta e fratricida guerra civile (ben presto diventata guerra mondiale in terra di Siria), segnata da stragi sanguinose, odi settari ancestrali e brutali vendette, si sia risolta in diserzioni di massa tra le file dell’esercito di Assad quindi in una “rivoluzione della misericordia”, in una indenne e festosa passeggiata verso Damasco.

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Ci ascoltino coloro che ancora una volta, seguaci di una concezione demonologica della storia, ricorrono al complotto giudaico. Artefici del miracoloso collasso non sono questa volta né gli americani, né gli israeliani, e nemmeno i sauditi. I sauditi … proprio coloro i quali, compratisi e poi svendutisi il Libano per mettere all’angolo Hezbollah, subito dopo rivolte popolari siriane del marzo-aprile 2011, allo scopo di abbattere Assad, sostennero i gruppi wahhabiti più feroci stroncando così la nascente opposizione democratica e popolare.

La demolizione controllata è stata stabilita in concerto da turchi, russi e pure iraniani. Certo il neo ottomano Erdogan è stato il vero padrone di questa triplice intesa, il vincitore, avendo egli dato al momento giusto (concomitante difficoltà di Hezbollah, Iran e Russia) sostegno ai guerriglieri di Idlib e semaforo verde alla loro azzardata ma vittoriosa offensiva. Russi e iraniani, avendo ottenuto da Erdogan garanzie che i loro interessi strategici non sarebbero stati aggrediti e che sarebbe sorto un governo di pacificazione nazionale, viste le diserzioni in massa tra le fila dell’esercito siriano, hanno optato per una ritirata strategica ordinata, evitando lo scontro frontale con i ribelli. E’ stato quello il segnale al demoralizzato esercito siriano: Liberi tutti!

La soluzione pilotata sarebbe stata concordata dalla triplice intesa il 7 dicembre in un summit a Doha. Russi e iraniani (questi ultimi evidentemente facenti le veci dei libanesi di Hezbollah) hanno de facto accettato come male minore consegnare alla Turchia la custodia della nuova Siria, considerando e accettando Erdogan come garante degli accordi per una Siria plurireligiosa e multinazionale (non ho detto democratica) e, soprattutto integra entro i suoi confini storici, quindi riunificata. Tenete bene a mente questo gigantesco particolare: Oggi 10 dicembre è stato esplicito: parlando a nuora affinché la suocera intenda, ha affermato: “Non tollereremo più che venga messa in discussione l’unità territoriale della Siria”. Chi sia la suocera è chiaro, sono proprio gli Stati Uniti e Israele i quali, grazie ai loro ascari curdi delle YPG, controllano tutto il nevralgico Nord Est della Siria, nonché un ampio territorio a Sud attorno alla base militare U.S.A. di al-Tanf.

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Nel 2012 un dirigente di Hezbollah, in riferimento all’intensificazione dei conflitti nell’area, ricorse ad un’analogia: “Quella che viviamo è la nostra Guerra dei Trent’anni, essa è destinata a ridisegnare la mappa del Medio Oriente”. Giustificava così il grande e gravoso impegno militare e politico per difendere Assad più o meno con questa parole: “Proprio la Siria sarà il principale teatro di guerra la cui posta in palio sarà la riconfigurazione del Medio oriente con la fine dell’egemonia americana e sionista”.

Ecco, questa nuova guerra dei trent’anni, con la caduta di Assad, entra in una nuova tappa. Ho detto nuova tappa (della guerra), non pace, né nella regione, né in Siria.

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Riuscirà il Comitato per la Liberazione della Siria – HTS a tenere a bada i gruppi e le milizie che fanno parte della coalizione che capeggia? Dopo i fiumi di sangue versati riuscirà l’ex-ISIS ed ex-qaedista al-Jolani ad impedire una spirale di vendette? Rispetteranno gli altri gruppi estremisti takfiristi gli accordi? O si scateneranno — Corano, 2:191: «Uccideteli dovunque li incontriate e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio. (…) Questa è la ricompensa dei miscredenti» —, in rappresaglie contro le altre sette religiose e coloro che hanno lavorato, non senza compiere crimini efferati, al servizio del deposto regime?

Mentre scrivo (sera del 10 dicembre) giungono le prime notizie di brutali vendette al centro di Damasco e nei suoi popolosi sobborghi. Speriamo non siano i segnali di una spirale di sangue e che il neonato “Governo di salvezza” capeggiato da Mohammed al-Bashir tenga fede alla promessa e sia capace fa rispettare tutte le minoranze, politiche e religiose, e indire elezioni entro aprile 2025 per eleggere una Assemblea costituente incaricata di scrivere una nuova Costituzione. Sarà sventata, la minaccia delle vendette e delle rappresaglie, se in tempi stretti, si ricostruirà uno Stato, ovvero anzitutto un efficiente apparato militare e di sicurezza a livello nazionale. Non ci riusciranno i ribelli contando sulle loro sole forze. Si dovranno necessariamente reintegrare centinaia di migliaia tra ufficiali, soldati e gendarmi del deposto regime. Se questo non accadrà, sarà la pietra tombale della Siria. Se accadrà, la sua auspicabile rifondazione diverrà fattibile.

Ricostruire la Siria sarà un’opera immane. Non basta la pacificazione, occorreranno grandi risorse per la rifondazione nazionale e debellare la povertà estrema che soffre la maggioranza dei siriani. Diversi sono gli sciacalli in agguato, anzitutto proprio le petro-monarchie le quali, grazie alle riforme liberiste e alle privatizzazioni portate avanti da Bashar al-Assad subito dopo essere salito al potere nel 2000, si impossessarono dei beni pubblici e, grazie alla corruzione dilagante depredarono enormi ricchezze.

Ma ricostruire la Siria implica la sua riunificazione, fattore decisivo sia geopoliticamente che economicamente: la principale risorsa siriana essendo i giacimenti petroliferi del Nord Est sotto controllo curdo-americano. Che possa essere pacificamente riunificata entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti è altamente improbabile. L’ostacolo principale è appunto il secessionismo curdo, spalleggiato da americani, inglesi e israeliani. Che i curdi abbandonino, giuste o sbagliate che siano, le loro velleità indipendentiste non èplausibile, almeno fino a quando godranno del sostegno politico e militare degli anglo-americani e dei sionisti. Che questi ultimi decidano di alzare i tacchi smobilitando le loro numerose basi militari in Siria è improbabile e infatti hanno approfittato immediatamente della caduta di Assad per occupare nuovi territori nelle province di Deir el-Zor, Raqqa. E già si registrano attacchi armati sferrati dalle milizie islamiste filo-turche contro postazioni curde a Afrin, Manbij e Kobane. Prende già forma la prossima fase della Guerra dei Trent’anni.

La condotta di Israele è una cartina di tornasole che indica come andranno le cose. Appena caduto Assad il regime sionista ha sferrato in tre giorni più attacchi sulla Siria di quanti ne abbia compiuti in vent’anni, più di 300 le devastanti aggressioni aeree, missilistiche e navali (fonti sioniste) contro arsenali e basi militari della Siria. Sembra addirittura che sia stata annientata, nel porto di Latachia, l’intera flotta navale siriana. Come se non bastasse l’esercito israeliano ha oltrepassato i confini delle alture del Golan per occupare la fascia di territorio siriano che guarda direttamente Damasco, ciò nonostante presidiata da forze ONU. La qual cosa ha un grande significato politico: è spia che Israele non solo diffida dei nuovi governanti siriani, ma li teme, e quindi gli sta togliendo la possibilità di ricostruire un esercito nazionale.

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Chi tifava per Assad, grida allo scandalo per la posizione dei palestinesi di HAMAS che hanno salutato la vittoria dei ribelli siriani. Uno sconcerto che la dice lunga sulla faciloneria, il pressapochismo e l’ingenuità di certi anti-sionisti. Scoprono solo adesso la dimensione anche religiosa del casino siriano, ovvero dell’ostilità dell’Islam politico sunnita verso il defunto regime del Ba’th a guida alawita. Ricordiamo agli smemorati che già alla fine del 2011, mentre la battaglia infuriava anche nel grande campo profughi palestinese di Yarmuk alla porte di Damasco, HAMAS chiuse le sue sedi in Siria. Sarebbe lungo il discorso sulla Fratellanza Musulmana, le sue tante anime interne, la specifica traiettoria di HAMAS dalla strategia qutbista della Jihad a movimento di liberazione nazionale (vedi la Carta di HAMAS del 2017 che rimpiazzava quella del 1988) nonché la disponibilità ad accettare come ipotesi transitoria “Due popoli due stati”, fermo restando il rifiuto di riconoscere l’Entità sionista. Alcuni si disperano perché a causa dei colpi subiti da Hezbollah in Libano e del collasso del regime di Assad, “l’Asse della Resistenza” sarebbe andato in frantumi. Tuttavia la Resistenza tiene ancora botta, proprio a Gaza, proprio grazie ad HAMAS. E sarà grazie ad  HAMAS che, se non un asse vero e proprio, un nuovo blocco delle Resistenze al sionismo e all’imperialismo potrà ricostituirsi.

Chi ha come chiodo fisso la visione geopoliticista, ovvero una concezione meccanicistica degli eventi storici, non tiene nella dovuta considerazione né gli aspetti sociali, né quelli di natura religiosa, ideologica e/o spirituale. Chi sottovaluta la dimensione religiosa non può capire l’Islam, ovvero l’importanza che esso ha dato, in fatto di cifra e forza identitaria, ai popoli musulmani. Il processo di islamizzazione non solo delle Resistenze ma delle società dal Marocco all’Indonesia, viene da molto lontano ed ha inciso in profondità, soprattutto dopo la poderosa accelerazione rappresentata dalla Rivoluzione iraniana del 1979. Considerare questo processo storico, che non sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva, come frutto di una macchinazione imperialistica, è un grave e pacchiano errore che non consente, tra l’altro, di capire gli aspri conflitti in seno all’Islam —la Fitna per i musulmani. L’Iraq prima e la Siria poi, sono stati i due teatri in cui questa fitna è deflagrata in fratricida guerra civile.

Chi vuole comprendere quanto accada nel mondo arabo-islamico, è bene si tolga infine gli occhiali moralisti e, con coraggio, decida di guardare in faccia la cruda realtà. Il maciullato corpo di Siria ci ha sbattuto in faccia la potenza della figura hegeliana per cui la Storia sarebbe un immenso mattatoio in cui popoli, Stati e civiltà sono condotti al sacrificio, e il nostro Occidente non ha titolo ad erigersi a pontefice della giustizia e della pace. Infine, se davvero vogliamo sostenere le Resistenze antimperialiste e antisioniste dobbiamo prima capirle, e per farlo siamo obbligati a sbarazzarci dei pregiudizi laicisti e secolaristi i quali, visti dal Vicino oriente, sono un cascame dell’islamofobia imperialista.