Sveglia!

Come abbiamo sottolineato in più occasioni il “trumpismo” è un fenomeno sociale e politico proteiforme e altamente contraddittorio. Tante e diverse anime tutte tuttavia accomunate dal mito ideologico di rafforzare l’impero americano (MAGA). Che questo coacervo possa restare unito solo grazie al carisma di un condottiero afflitto da delirio di onnipotenza, è improbabile. Se è positiva la nomina di Robert F. Kennedy a capo del dipartimento salute, le altre figure apicali scelte da Trump fanno rabbrividire, a cominciare da Elon Musk. Il ruolo assunto da questo miliardario transumanista sta già spaccando il mondo trumpiano. Ne è una prova quanto affermato da Steve Bannon, il vero architetto del primo trumpismo: «Otterrò che Elon Musk sia cacciato via entro l’insediamento. Non avrà un pass blu con pieno accesso alla Casa Bianca. Sarà come chiunque altro È una persona davvero malvagia. Fermarlo è diventata per me una questione personale. Prima, dal momento che ha messo così tanti soldi, ero pronto a tollerarlo. Non più».

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La sveglia è suonata, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Canada, Groenlandia, Panama han da essere a stelle e strisce, le spese militari dei paesi Nato devono triplicare, Gaza va rasa al suolo (che ancora non basta…). Così Donald Trump, tuonando dalla Florida il 7 gennaio, ha chiarito definitivamente cosa si deve intendere per MAGA (Make America Great Again).

Reazioni a questa aggressività senza precedenti? Nella sostanza uno zero assoluto. Soprattutto da parte di chi avrebbe dovuto rispondere con più forza e si è invece limitato a fiacchi discorsetti di circostanza. L’Unione europea appare semplicemente annichilita, mentre la Nato non può certo fiatare davanti al suo padrone, benché le minacce annessionistiche siano state rivolte proprio a due suoi stati membri.

Fin troppo facile provare ad immaginarci quale sarebbe stata la reazione dell’Occidente ad una conferenza stampa di Putin, nella quale il presidente russo avesse avanzato la pretesa di annettersi altri stati con una superficie superiore alla propria (altro che Donbass!), la minaccia di assumere il controllo del Bosforo, l’annuncio di un aumento delle spese militari di circa 1.000 (mille) miliardi di dollari all’anno…

L’insopportabile silenzio dei trumpiani di casa nostra

La cosa è talmente evidente che non c’è bisogno di insistere. Ma c’è un altro silenzio, oramai del tutto insopportabile: quello dei “trumpiani” di casa nostra. Di costoro, delle illusioni “pacifiste” che hanno diffuso, ci siamo già occupati QUI e QUI. Ora basta, o prendono la parola per guardare in faccia la realtà, per denunciare il corso reale del trumpismo, o sono semplicemente dei complici. Che lo siano Meloni e Salvini è cosa fin troppo ovvia, ma – per tacere di alcuni rottami politici che si vorrebbero “anti-sistema” –, quanti sono gli “influencer” annidatisi in qualche modo nella nicchia trumpiana?

Sebbene con diversi gradi di compromissione ideologica, non sono pochi. Ora la loro narrazione è andata a ramengo. Vorranno ravvedersi? Vedremo. Già possiamo immaginarci una qualche retromarcia basata sul “beh, in fondo, al di là del loro presidente, gli Stati Uniti son sempre quella roba lì”. Eh no, signori cari, gli Stati Uniti (ergo, la massima potenza imperialista al mondo) sono evidentemente quella roba lì. Ma questa “scoperta” sensazionale ancora non basta, perché qui siamo di fronte ad un vero e proprio salto di qualità.

Da Biden a Trump, ovvero dalla padella alla brace 

Il passaggio da Biden a Trump è infatti quello dalla padella alla brace. Sullo sfondo di una profonda crisi del dominio americano sul mondo, viaggiante in parallelo con il disfacimento della società statunitense, Biden ha rappresentato la continuità della politica aggressiva dell’imperialismo a stelle e strisce. Trump vorrebbe invece essere la risposta a quella crisi ed allo stesso fallimento di Biden. Una risposta rozza, brutale, recante con sé una miriade di contraddizioni. Una risposta per certi aspetti folle, ma non per questo meno credibile.

Da Truman a Biden, la politica dei vari presidenti americani, repubblicani o democratici che fossero, non è poi cambiata molto. Ognuno ha fatto le sue guerre, ognuno con la sua narrazione d’accompagnamento. Tra questi, Biden (ed il suo entourage) è stato quello che ha appiccato il fuoco della Terza Guerra Mondiale, ma la lunga miccia che ha costretto la Russia allo scontro era già stata accesa da decenni. Quella strategia, volta a ribadire il traballante primato di Washington, è fallita col fallimento delle sanzioni. La via economicista alla conquista della Russia si è rivelata un’illusione, aprendo così la strada alla vittoria di Trump alle elezioni di novembre.

Alcuni pensano che il nuovo presidente non abbia una vera strategia, che le sue siano solo boutade, provocazioni ispirate dalla vendetta per la sconfitta (i brogli?) del 2020. Certo, ci sarà anche questo, ma non confondiamo ciò che è principale (Trump sta per insediarsi alla Casa Bianca), con ciò che è secondario (i suoi tic e le sue ossessioni personali).

A caldo, a novembre, scrivemmo che «Trump non solo non metterà fine alla Guerra Grande, ma finirà probabilmente per aggiungere nuova benzina all’incendio in corso». Non ci pare di essere stati smentiti. Ma dietro a questo ampio uso di benzina, c’è oppure no una strategia degna di questo nome?

Trumpismo, malattia senile del liberismo  

L’opinione di chi scrive è che una strategia c’è. Ed essa è il frutto di una chiara concezione ideologica. Né il progressismo globalista democratico, né il conservatorismo trumpiano hanno fatto i conti con la radice profonda della crisi americana (ed occidentale): il fallimento del neoliberismo, che è sì fallimento economico, ma soprattutto sociale. Posta questa gigantesca rimozione bipartisan, la cupola “democratica” ha pensato di rispondere alla crisi con il rilancio della globalizzazione, usando come chiave di volta la disintegrazione della Russia. Il nuovo gruppo di potere che sta per insediarsi alla Casa Bianca pensa invece di dover ricorrere all’arma della predazione, che del liberismo è per certi aspetti la massima espressione, la sua più potente arma non convenzionale. Ridotto all’osso, cos’è infatti il liberismo se non l’applicazione a vari livelli della legge del più forte?

Ora, la predazione pura e semplice non è certo una novità, né nel capitalismo in generale (accumulazione originaria), né ancor meno negli Stati Uniti d’America, la cui storia è in larga misura una storia di predazione (territori, risorse, forza lavoro schiavile). Non potendo ammettere l’insostenibilità del modello neoliberista, che anzi pensa di sviluppare ulteriormente ad esempio sul versante fiscale (i ricchi van pur sempre tutelati…), Trump sembra immaginare una predazione all’ennesima potenza, basata in ultima istanza sulla forza militare.

Si torna così al mito fondante della frontiera. Stavolta da allargare verso il nord, ma poi in futuro chissà… Al posto della Colt e della carabina Winchester ci sono ora le atomiche e l’impressionante apparato militare statunitense. La predazione ha infatti bisogno di territori. Territori fisici, da cui estrarre materie prime (idrocarburi, terre rare, metalli in genere), territori immateriali (Intelligenza artificiale, media di nuova generazione, comunicazioni), da far presidiare alla congrega di Paperoni della Silicon Valley che è già accorsa alla corte del vincitore.

Predazione, dunque, come ritorno alle origini. Come strumento per riaffermare l’ordine monopolare, ma pure come mezzo per riequilibrare la bilancia commerciale, tutelando così in definitiva l’ordine del dollaro, che è già di per sé il principale strumento “ordinario” di predazione dal 1944. Trump ha già chiesto agli europei di acquistare sempre più gas americano, mentre le armi che dovranno andare a dar corpo al 5% delle spese militari (ma anche fosse “solo” il 3% il risultato sarebbe comunque enorme) avranno da essere in larga parte “made in Usa”.

Almeno in teoria, eccoci qui alla quadratura del cerchio. Che poi possa funzionare è tutto un altro discorso, ma l’idea di fondo è chiara: deve essere applicata la legge del più forte. Punto. Se esiste un trumpismo che si possa definire tale, ora tutti sanno che cos’è.

E’ questa la strategia di un folle, meglio di un gruppo di folli? Probabile. Ma è con costoro che ci dovremo misurare. Naturalmente, la necessità di questa forma estrema di predazione è anche il sintomo di una malattia, la malattia senile di un liberismo morente, ma per lorsignori senza alternative. Sì, il sistema è malato e per certi aspetti cadente, ma proprio per questo la sua aggressività e la sua pericolosità sono al massimo livello.

Un 2025 di guerra

Difficile (impossibile) pensare che una simile aggressività non vada ad impattare pesantemente sul conflitto in Ucraina. Eppure c’è chi crede il contrario. C’è chi pensa che la prepotenza di Trump valga a 360 gradi, ma non con Putin. In realtà, vista l’attuale situazione sul campo, il nuovo presidente vorrebbe sì una tregua, ma solo per riprendere la guerra più avanti da posizioni migliori. Può la Russia cadere in una trappola così grossolana? Evidentemente no.

In campagna elettorale Trump ha venduto la favoletta della pace in ventiquattrore. Una sciocchezza per gonzi di cui vedremo adesso quanti gli chiederanno conto. Ma questo in fondo è secondario. Ben più importante è cercare di capire i possibili sviluppi della guerra in corso. Un conflitto che definiamo Terza Guerra Mondiale, perché la posta in gioco è appunto il nuovo ordine globale che dovrà nascere sulle rovine di quello precedente. Un orizzonte ancora molto, ma molto lontano.

Proprio l’irruzione del trumpismo dimostra come siamo ancora nella fase del caos, delle strategie confuse ma guerresche, dove la vecchia superpotenza cova i più micidiali propositi di rivincita, dove in diversi provano a giocare la propria partita, innescando pure scontri e differenziazioni interne alle varie alleanze, dalla Nato ai Brics.

Di una cosa siamo certi: in questo 2025 ne vedremo di tutti i colori. L’entropia del sistema, come quella delle relazioni internazionali, è destinata a crescere potentemente. Il panorama generale sarà ancora quello della guerra. Probabilmente, una guerra ancor più dura e pervasiva di ogni spazio sociale e democratico.

Buon 2025 a chi saprà lottare per la pace! Buon anno a chi si batterà per la sconfitta dei guerrafondai di Washington e Bruxelles! Buongiorno intanto a chi vorrà cominciare ad aprire gli occhi di fronte al progetto ed al programma di Trump! Sveglia!