“Operazione Tracia”, ovvero l’arresto con l’accusa di appartenenza ad associazione terrorista internazionale di due comunisti turchi e tre dirigenti italiani del Campo antimperialista, avvenuto a Perugia il 1° aprile 2004, va inserita nel quadro normativo di livello internazionale, comunitario e nazionale in materia di “terrorismo”. Quadro normativo che è una delle manifestazioni della progressiva “americanizzazione“ della cultura e delle istituzioni politiche e giuridiche dell’Occidente e quindi di un notevole arretramento perfino sul piano dei diritti e delle garanzie minime perché si possa parlare di un autentico, cioè non solo formale, sistema democratico.

Fulcro di tutto il sistema repressivo è il metodo del “Listing”, antecedente l’11 settembre, consistente nella redazione e nell’aggiornamento di Liste di organizzazioni e persone ritenute appunto terroriste, cioè un sistema di vere e proprie “Liste Nere” imposto a livello mondiale dagli Stati Uniti d’America.
Sia a livello O.N.U. che a livello di Unione Europea (detto anche comunitario) la redazione e l’aggiornamento delle Liste sono opera di organismi squisitamente politici, quali il Consiglio di Sicurezza dell’ONU,  il Consiglio dell’Unione (formato dai capi di stato e di governo della U.E.) e dal 2002 perfino dalla Commissione Europea, organo tecnocratico – politico. L’inserimento nelle Liste avviene senza che sia prevista a livello nazionale, almeno in Italia, la possibilità che un magistrato possa ritenerlo arbitrario o comunque ingiusto, neppure per singoli casi. Ma non esiste neppure una specifica disposizione che vieti alla magistratura una simile valutazione e quindi, in uno stato di diritto costituzionalmente fondato sulla presunzione di innocenza, il silenzio normativo dovrebbe essere interpretato nel senso che tale valutazione non solo è possibile, ma anche doverosa. Invece in Italia una simile interpretazione, almeno fino ad ora, non è stata mai presa neppure in considerazione, il che fa veramente dubitare che si possa ancora parlare di stato di diritto.
Lo scopo dichiarato del “Listing” è quello di combattere il terrorismo impedendone il finanziamento. Ma in realtà le conseguenze finiscono con l’investire la libertà personale degli individui e, addirittura, le possibilità di sopravvivenza di intere popolazioni. Recente ed emblematico è il caso dell’embargo contro Hamas, inserito appunto nelle Liste Nere ma legittimamente al governo, che ha isolato completamente tutta la popolazione di Gaza. Le conseguenze del “Listing” colpiscono direttamente i diritti fondamentali delle persone, come quello alla vita e alla libertà personale (come è avvenuto appunto nel caso dell’”Operazione Tracia”).
Tutto ciò  anche se, sempre per ragioni squisitamente politiche, a livello internazionale e comunitario non esiste una definizione di “terrorismo”. Su questo punto in Italia c’è stato invece  un pessimo segnale con l’introduzione nel codice penale, nel 2005, dell’art. 270 sexies, che comunque non può essere utilizzato almeno formalmente nei processi conseguenti all’”Operazione Tracia”, in quanto ad essa successivo.
Venendo al contesto giuridico italiano, è opportuno riportare integralmente il testo attuale dell’art. 270 bis c.p., quello dell’art. 270 ter c.p. (introdotto dopo l’11 settembre), e del suddetto art. 270 sexies:
Art. 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico). – Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Art. 270-ter (Assistenza agli associati). – Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270-bis è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuativamente.
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Art. 270-sexies (Condotte con finalità di terrorismo). –  Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.
Sull’art. 270 bis. Rispetto al testo originario, è evidente l’estensione del bene giuridico protetto, dilatato fino alla sicurezza internazionale, operata con la previsione “Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale”. La norma poi distingue fra terrorismo ed eversione e l’interpretazione comunemente sbandierata  è nel senso che la tutela della sicurezza internazionale ricorre solo nel caso di associazione con finalità di terrorismo, che ricorre quando c’è l’intenzione di terrorizzare la popolazione con azioni criminose indiscriminate. L’eversione è caratterizzata invece, secondo questa interpretazione, dal fine più limitato di sovvertire l’ordinamento costituzionale, fine che non necessariamente richiede azioni violente. Per cui non è pensabile che il magistrato di un Paese possa valutare la democraticità o meno di un altro Paese o di un’organizzazione internazionale.
Però la differenza tende a scomparire, perché almeno in Italia vengono perseguiti come terroristici comportamenti che al massimo costituiscono condotte eversive dell’ordinamento di un altro paese, e che nella maggior parte dei casi sono addirittura eversive di regimi sicuramente non democratici o, addirittura, di regimi instaurati da forze di occupazione militare. Condotte cioè che, anche alla stregua del diritto internazionale, costituiscono legittima resistenza ma che, soprattutto grazie all’inserimento delle Liste Nere delle organizzazioni politiche che sono parte di qualche Resistenza, vengono punite come crimini.
A questo punto è opportuno spendere qualche parola sull’art. 270 sexies, che definendo le condotte con finalità di terrorismo letteralmente equipara lo scopo di intimidire la popolazione a quello di voler esercitare pressioni su pubblici poteri per costringerli a fare o non fare alcunché, scopo quest’ultimo che caso mai è proprio dell’eversione di un dato ordinamento (democratico o meno) e che non necessariamente implica azioni in qualche modo connesse al “terrore”. La norma è di introduzione recente, per cui ancora non ci sono precedenti giurisprudenziali,  ma una interpretazione corretta sotto il profilo sostanziale dovrà comunque in qualche modo tener conto della distinzione fra terrorismo ed eversione dell’art. 270 bis comma 3 (“Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale.”), che esclude che si possano perseguire condotte eversive a tutela di uno stato estero o di un’istituzione internazionale.
Sull’art. 270 ter. E’ stato introdotto nel codice penale italiano dopo l’11 settembre e mira a colpire chi, con i comportamenti elencati, sostanzialmente favorisce un’organizzazione ritenuta terrorista anche attraverso il sostegno prestato ai singoli componenti. Sostanzialmente, quando di resistenza e non di terrorismo si tratti, ciò che si sanziona è l’aiuto a questa o quella resistenza. Sull’art. 270 ter ancora non ci sono precedenti giurisprudenziali e, analizzando la vicenda dei tre compagni italiani, vedremo come l’”Operazione Tracia” potrà portare ad una “sentenza pilota”.
A questo quadro normativo bisogna aggiungere il massiccio ricorso alle intercettazioni e all’uso di estrapolarne singole frasi, da porre a fondamento dell’accusa di essere membro o quantomeno sostenitore di un’organizzazione con finalità di terrorismo.
L’Umbria, proprio la piccola regione “Cuore verde d’Italia”, con l’”Operazione Tracia”, con l’inchiesta e l’arresto di alcuni immigrati di fede islamica da tempo regolarmente residenti a Perugia (luglio 2007) e con l’”Operazione Brushwood” ha assunto il ruolo di “collaudatore” di tutto l’impianto indiscriminatamente repressivo, perfezionato dopo l’11 settembre.
In tale impianto si è verificata l’”Operazione Tracia”, che il 1° aprile del 2004 ha comportato l’arresto di due compagni turchi, Avni Er (giornalista) e Zeynep Kilic, entrambi molto attivi, fin dai tempi della scuola, nelle lotte contro il regime oligarchico – militare instaurato in Turchia con il colpo di stato del 1980, e di tre compagni italiani dirigenti del Campo antimperialista, Maria Grazia Ardizzone (sposata con Avni), Alessia Monteverdi e Moreno Pasquinelli, nonché la richiesta di arresto per altri compagni residenti in Turchia e in Siria, che mai hanno avuto a che fare con l’Italia. Nell’ordinanza di custodia cautelare del GIP di Perugia tutti venivano accusati di essere membri del DHKP – C, associazione militante della sinistra rivoluzionaria turca inserita nelle Liste Nere dell’U.E. nel 2002. In particolare ad Avni e Zeynep si contestava di essere promotori e/o dirigenti del DHKP – C (art. 270 bis comma 1, da 7 a 15 anni di galera), mentre i compagni italiani venivano ritenuti semplici membri (art. 270 bis comma 2, da 5 a 10 anni di galera). L’ordinanza impose poi il divieto, per tutti i cinque compagni arrestati a Perugia, di ricever visite e conferire con i propri avvocati per cinque giorni, che è il termine massimo consentito dall’art. 104 comma 3 del c.p.p. (altra barbarie legislativa a danno del diritto costituzionale alla difesa).