Per le Edizioni Feltrinelli è recentemente uscito un libro del sociologo Mauro Magatti intitolato Liberta’ immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista. In una recensione sul Corriere troviamo alcuni accenni che ci introducono al saggio:


Il libro, poderoso tomo di ben 432 pagine, ci illuminerebbe sul fatto che il primo capitalismo definito “societario” (in che senso? Non certo in considerazione delle società per azioni che esistono ora come non mai) sarebbe stata una forma economica il cui scopo non era il profitto ma la soddisfazione dei bisogni e il progresso collettivo. Questo bel capitalismo potrebbe essere apparentato all’economia mercantile dal XV al XVIII secolo nel senso di Braudel, con la differenza che il grande storico francese ci dava una gran quantità di elementi strutturali a parziale difesa della sue tesi mentre Magatti si tira dietro niente meno che la “dissoluzione della metafisica” insieme ad un discorso che afferma l’avvenuto superamento dell’ “Economia” da parte dell’”Estetica”. Tutto sarebbe nato:


Ancora una volta assistiamo all’enfatizzazione di un “terzo stadio” del capitalismo – inteso sostanzialmente in forma simmetrica alle tre rivoluzioni industriali – che troverebbe il suo compimento nella fase attuale, degenerata e totalmente distruttiva, definibile come capitalismo postmoderno o assoluto o, per l’appunto, tecno-nichilista. La critica puramente morale e moralistica del capitalismo si arricchisce di riferimenti filosofici e nostalgie comunitarie:


L’accenno alla volontà di potenza potrebbe avere un senso qualora se ne fosse parlato non in riferimento agli individui ma ai gruppi sociali che confliggono per la supremazia, volta a volta scegliendo le migliori alleanze, quindi scegliendo i propri amici (gruppi) e determinando i propri nemici (gruppi). Questo conflitto strategico, di cui La Grassa ha elaborato i caratteri strutturali, vale “originariamente” come premessa fondante anche per le politiche statuali se accettiamo la validità del concetto “scientifico” schmittiano di politico come preliminare (logicamente e storicamente) – nella sua “dialettica di amico-nemico” tra aggregati sociali (di rapporti sociali) in lotta – al coagulo istituzionale delle forme statuali. Forse si era già capito ma ad ogni modo preciso meglio ora che il nostro sociologo insegna all’Università Cattolica; il cattolicesimo, e non considero questo un elemento del tutto negativo, è diventato, nella sua forma filosofica “sobria”, il custode delle problematiche metafisiche tradizionali ma è ora di cominciare a ripetere con insistenza che una teoria “esplicativa”, seria e quindi scientifica della società non può mischiare etica, economia, metafisica ed estetica in un bel calderone e sperare di ricavarne qualcosa. Ogni tanto il nostro professore mostra anche del buon senso nelle sue affermazioni:

E la cosa riguarda anche il capitalismo mercantile-manifatturiero e poi quello industriale-ottocentesco (borghese) e quindi non solamente quello “postmoderno”, iperconsumistico e ultraindividualistico; l’etica del capitalismo è semplicemente un insieme di regole sociali che in determinati momenti e in particolari formazioni sociali possiedono sia una “forte” egemonia tale da determinare anche i comportamenti interpersonali sia una piena legittimazione politica e ideologica. Ma nella maggior parte dei casi succede che quanto viene richiesto agli individui nel loro agire privato entra in contraddizione con la pratica economica e politica (intesa in senso lato) necessaria per organizzare i mezzi necessari all’aumento della potenza per produrre, decidere ed ottenere aree d’influenza. Le prediche etiche non risolveranno i problemi economici e geopolitici e la critica dell’uomo come animale desiderante in cui prevale il “restringimento del logos” e una “eccessiva rivalutazione del pathos” non è il punto di partenza per salvare una libertà minacciata. Cominciamo col dire che la “forza e il valore” della libertà è la libertà di esprimere la forza e poi potremo continuare il discorso.