Che un’azione di forza, specie se multilaterale, pur etichettata come peace-keeping o peace-enforcing, per qualche anche solo indiretta ed impropria “autorizzazione” delle NU, ma fuoriuscente dagli schemi della Carta NU, non sia guerra e non risulti vietata, fra l’altro, dall’art. 11 Cost., in quanto sarebbe intesa a predisporre la pace, è un’insulsa boutade (il ministro La Russa): qualunque guerra ha come sbocco una pace, sia pur quella dell’aggressore. Che una decisione di un organo “collettivo” (delle NU, della NATO, dell’UE) dia comunque ad essa legittimazione (lo stesso ministro ed esponenti bipartisan), è un’insulsaggine che rivela solo confusione di idee.

 

L’azione collettiva di forza ex art. 42 Carta NU (polizia internazionale), per essere tale, e cioè azione delle NU, dovrebbe venire esperita da contingenti posti dagli Stati a disposizione e quindi sotto il comando NU (secondo il meccanismo, non attuato, dell’art. 43 ss. Carta o almeno con delega al Segretario generale). Come più o meno avviene con i “caschi blu”, che conducono le vere e proprie missioni di pace, peace-keeping, normalmente legittimate in via finale dal consenso dello Stato o altre entità in cui operano. Sempre forze delle NU dovrebbero realizzare missioni di peace-enforcing, senza consenso dello Stato contro cui si rivolgono. La “legittimazione dell’azione” può risultare soltanto, nei confronti dello Stato destinatario, dall’appartenenza di questo all’organizzazione agente, e dunque in specie al sistema NU, nel rispetto delle relative norme e principî.

 

Va detto con assoluta fermezza che la prassi affermatasi di un’autorizzazione all’uso della forza conferita a Stati o gruppi di Stati è insanabilmente contraria alla Carta (resta a sé l’intervento attraverso organizzazioni internazionali regionali “competenti” – per area e appartenenza degli Stati – ex Cap. VIII). L’azione di autotutela armata, a fronte di violazioni o minacce incombenti a un diritto di uno Stato, era lecita per questo (ma non per altri Stati eventualmente associantisi – salva la guerra, allora in principio lecita) ante Carta NU, ma da questa assolutamente vietata (divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali). Per venire sostituita da tutela “collettiva” (tutte le misure e azioni ex art. 41 e 42, sino all’uso della forza, ma come detto condotta da forze conferite alle NU).

 

Non è in potere del Cds ripristinare l’istituto dell’autotutela armata, addirittura anche al di là dello Stato direttamente interessato, quindi pure in forma associata, ovverosia conferire ad esso liceità. Non si può “autorizzare” il rovesciamento del sistema NU in un punto cardine: per l’art. 24, 2co., Carta il Cds “agisce in conformità ai fini ed ai principî delle NU”. In quel modo infatti fra l’altro l’azione di forza verrebbe, come viene, piegata ad interessi di Stati e potrebbe, come avviene, travalicare addirittura in guerra, quando l’azione assuma finalità generali: occupazione totale di uno Stato, mutamento di regime e connessa istallazione di un “governo” e altri organi…, ciò che urta frontalmente contro altre norme e principî internazionali fondamentali e spesso inderogabili (autodeterminazione…).

 

Guerra (di aggressione) è non solo, e del tutto irrefutabilmente, quella contro l’Iraq (le inesistenti armi di distruzione di massa irachene), ma anche, se non altro per la dimensione assunta, quella contro l’Afghanistan (il pretesto della mancata consegna agli USA dei “terroristi” indicati come autori dell’attentato alle Twin Towers, in assenza di fornitura al governo di fatto talebano di elementi di prova: “Corriere della Sera”, 9 novembre 2001). L’occupazione militare perdura, nonostante ogni finzione; la resistenza continuativa di forze autoctone impedisce il consolidamento dell’estinzione della situazione giuridica precedente e quello della formazione di una nuova; i regimi istallati dall’occupante sono “fantoccio”; chi vi si oppone con le armi non è di per sé terrorista, ma neppure ribelle o insorto, bensì resistente in una guerra contro l’invasione e occupazione straniera; le elezioni nel quadro di un’occupazione militare e di un sistema fantoccio sono sostanzialmente una farsa e giuridicamente di nessuna validità, al di là di irregolarità e brogli; l’attività di State-building è un’aberrazione, espressione di nuovo colonialismo, dato che l’autodeterminazione è esercitata da chi resiste contro lo straniero e per l’indipendenza: piaccia o non piaccia l’ideologia e la prassi di tali forze, che è problema da affrontarsi dal popolo in questione (iracheno o afghano) in una situazione di indipendenza dallo straniero. Tutto il resto è sproloquio e finzione, dalle conseguenze tragiche ma senza nessuna legittimazione. Semplicemente assurdo è voler trarre questa da organizzazioni internazionali cui non partecipi lo Stato aggredito e occupato (NATO, UE…), ma essa neppur può risultare, perché non si opera secondo il loro quadro formale, dalle NU. A ben vedere, peraltro, addirittura, nessuna esplicita e diretta autorizzazione all’uso della forza risulta dalle pertinenti risoluzioni Cds, neppure per l’Afghanistan.

 

Illegittime, e dunque invalide, sono le decisioni NU relative all’Iraq occupato, ma anche, per l’Afghanistan, quelle invocate per l’azione USA (e comprimari) Enduring Freedom e quelle relative alla missione ISAF (di assistenza anche armata allo pseudoregime afgano), a sua volta illegittimamente trasformata in ISAF-NATO (quest’ultima, “fuori area”): le azioni degli Stati partecipanti sono quindi illecite in modo assoluto e insanabile.

 

Se questa argomentazione viene tenuta presente, ed essa è resa irrefutabile dall’indomata resistenza delle forze che esercitano la non fittizia autodeterminazione, deve venire abbandonata la mistificazione di un’azione delle NU, che non vi è, o in loro nome, che è giuridicamente improponibile, e riconoscersi che si è di fronte, per l’Iraq, a guerra di aggressione tout court, e, per l’Afghanistan, ad azioni di pretesa (auto)tutela associata, travalicate poi anch’esse in guerra secondo il modello del diritto internazionale ante NU, ma dal diritto attuale assolutamente vietate e quindi illecite sotto ogni rispetto (anche per ambedue le azioni condotte in Afghanistan): con le conseguenze giuridiche pure interne, per l’Italia il divieto della guerra posto dall’art. 11 Cost., l’applicazione del Codice militare di guerra e l’assurdità della proposta di normative apposite per azioni  spacciate come tertium genus, che invece tali non sono, trattandosi appunto, non di missioni di pace, bensì di guerra e di nient’altro.

 

 

* Ordinario di Diritto Internazionale nell’Università di Teramo