Il 18 settembre, giorno successivo a quello dell’attacco che la resistenza afgana ha sferrato contro i soldati italiani della Folgore inquadrati nella spedizione ISAF – NATO, Gian Antonio Stella in un articolo significativamente intitolato “Gli eroi di una guerra lontana” esordiva sulla prima pagina del Corriere della Sera domandandosi se ci sarà mai qualcuno che scriverà per i soldati della Folgore caduti a Kabul “una canzone di quelle di una volta”. Stella prosegue citando tutta una serie di versi tratti da canzoni che celebrano le imprese belliche italiane della prima metà del secolo scorso, imprese tutte dichiaratamente di natura imperialista e colonialista, quali l’occupazione dell’Etiopia, l’occupazione della Grecia e la partecipazione, al seguito delle truppe di Hitler, alla tentata occupazione dell’Unione Sovietica cui l’Armata Rossa resistette fino alla vittoria.

Imprese che, a differenza delle aggressioni cui l’Italia ha partecipato dopo la seconda guerra mondiale come quelle alla Jugoslavia, all’Afghanistan e all’Iraq, avevano quantomeno il pregio di essere dichiaratamente belliche e di essere riconosciute indispensabili al fine di dominare determinati territori, con asservimento dei relativi popoli.
Imprese belliche non malamente mascherate da missioni di pace organizzate nell’interesse delle popolazioni dei territori aggrediti per garantir loro democrazia e sicurezza, ma ciononostante caratterizzate da un massiccio impiego di soldati (professionisti lautamente stipendiati, non reclute mandate al fronte controvoglia), armamenti e altri mezzi militari seguiti magari da un codazzo di ONG debitamente foraggiate con il denaro, pubblico, dei c.d. fondi per la cooperazione che in larghissima misura servono a ricostruire ciò che prima viene deliberatamente distrutto.

Bene: l’attacco del 17 settembre toglie ogni alibi, ogni foglia di fico. In barba all’art. 11 della Costituzione, per il quale “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, l’Italia partecipa ad una guerra.
Il ministro della difesa Ignazio La Russa lo ha ammesso, mentre il generale Pietro Laporta su Limes, di fronte alle inchieste regolarmente aperte dalla magistratura italiana nei casi di morte in situazioni di guerra, giustamente chiede: ”Perché si attiva la magistratura per fatti di guerra, quantunque non dichiarata?”, suggerendo ironicamente l’apertura di inchieste anche su Caporetto e El Alamein.
E difatti anche sull’attacco del 17 settembre la procura di Roma ha aperto un fascicolo il cui capo di imputazione, manco a dirlo, è il terrorismo, accusa largamente usata per infamare le resistenze alle aggressioni.

Ma a nulla valgono le ricostruzioni giuridiche della magistratura, a nulla valgono i distinguo, o meglio le contorsioni, all’interno dell’attuale maggioranza (tipo: “cambiamo le regole di ingaggio”; “più che combattere i Talebani concentriamoci per garantire sicurezza alla popolazione afgana”; “l’Afghanistan e Karzai non possono solo prendere, devono anche collaborare di più”; “riportiamo i ragazzi a casa entro Natale”; “li abbiamo mandati noi e sono tornati morti”)  divisa fra l’esigenza di tener fede agli impegni internazionali derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’organizzazione imperialistica NATO e quella di venire incontro al desiderio – maggioritario nel paese – di ritirare le truppe d’occupazione. Ridicola addirittura è la fermezza del Partito Democratico, che mai ha negato il suo appoggio all’occupazione dell’Afghanistan e che si ostina a parlare di missione di pace  da mantenere ad ogni costo. Esilaranti poi sono i balbettii della sedicente sinistra radicale ora articolata nel PRC, nel PdCI e in Sinistra Democratica, che all’epoca non lontana dell’ultimo governo Prodi ha regolarmente votato il rifinanziamento dell’occupazione arrivando ad organizzare vere e proprie campagne di linciaggio verso gli unici due parlamentari, Rossi e Turigliatto, che fedeli al mandato “NO ALLA GUERRA”  osarono votare contro.

L’Italia, contro la volontà della maggioranza degli italiani, partecipa ad una guerra di aggressione finalizzata a garantire all’imperialismo USA e ai suoi sodali il controllo di un’area strategica, controllo che implica l’asservimento delle popolazioni che su quell’area vivono e l’annientamento di quella parte che decide di non sottomettersi e si organizza per resistere, anche in armi.
Proprio come avvenne, tornando a Gian Antonio Stella e alle sue canzoni, nella prima metà del secolo scorso in Etiopia, in Grecia e in Unione Sovietica.