“Anche quando le decisioni del governo di Israele possono risultare controverse, deve restare netta la distinzione tra ogni critica, sempre possibile, e la negazione, esplicita o mascherata, per esempio come antisionismo, delle ragioni storiche dello stato di Israele, del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza, del suo carattere democratico.” (Fonte: Corriere della Sera del 3.11.2009, pag. 17).
Già lo scorso anno (Non dobbiamo avere timore di chiamare le cose con il loro nome; Napolitano, l’antisemita) rilevammo come anche la prima carica istituzionale dello stato contribuisse fattivamente a quell’operazione, non solo politica ma anche e soprattutto culturale, per cui il diritto all’esistenza di Israele, a differenza dell’esistenza di Dio e di quella di tutti gli altri stati, è un dogma cui non ci si può sottrarre.
Rispetto ad allora notiamo un salto di qualità che investe direttamente il piano semantico: all’epoca infatti il presidente parlò di rigurgiti antisemiti mascherati da antisionismo, per cui chiunque rifiutasse di recitare la professione di fede sul diritto all’esistenza di Israele in nome dell’antisionismo in realtà era un antisemita, e quindi un razzista, mascherato; ora invece Napolitano neppure menziona più l’antisemitismo ma condanna sic et simpliciter l’antisionismo.