Brevi note sulla sentenza di primo grado in merito al sequestro di Abu Omar
Ieri il giudice monocratico Magi ha condannato gli agenti della Cia imputati di aver sequestrato, nel febbraio 2003 a Milano, il cittadino egiziano Abu Omar, e di averlo condotto in Egitto, dove è stato ripetutamente imprigionato e sottoposto a tortura. Il tutto, come di consueto, in nome della lotta al terrorismo internazionale.
Abu Omar soggiornava regolarmente in Italia perché nel 1999 gli fu riconosciuto lo status di rifugiato e, quasi a dispetto di tale status, era indagato dalla procura di Milano perché sospettato di appartenere ad una “cellula dormiente” di Al Qaeda. Abu Omar fu quindi rapito sotto il naso della Digos, che investigava sotto la direzione della procura milanese.
La maggior parte di questi agenti è stata condannata a cinque anni di reclusione, Robert Seldon Lady, capo della Cia a Milano all’epoca dei fatti, è stato condannato a otto anni, mentre l’ex responsabile della Cia in Italia Jeff Castelli è stato prosciolto in quanto protetto dall’immunità diplomatica. I funzionari del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno, accusati di favoreggiamento per essersi “intromessi” nelle indagini, sono stati condannati a tre anni, mentre il “giornalista” di Libero Renato Farina – poi eletto deputato nel PdL – aveva già patteggiato una condanna a sei mesi.
Tutti gli imputati ritenuti colpevoli dovranno risarcire un milione di euro ad Abu Omar, mentre alla moglie Nabila Ghali dovranno invece essere versati 500 mila euro. Questi importi sono stati stabiliti a titolo di provvisionale, mentre l’entità definitiva del risarcimento verrà decisa
in un separato giudizio civile.
Relativamente al generale Pollari, all’epoca direttore del Sismi, e al suo braccio destro Mancini, il giudice ha dovuto prendere atto del segreto di stato apposto dal governo Prodi (sostenuto, giova ricordarlo, dalla sedicente sinistra radicale), confermato dal successivo governo Berlusconi e legittimato dalla Corte Costituzionale ed emettere sentenza di “non luogo a procedere” perché, essendoci il segreto che impedisce di utilizzare alcune prove indispensabili per giungere ad una decisione nel merito, non si può sentenziare né assoluzione né condanna.
Giustizia a metà, dunque.
Perché, grazie alla copertura politica garantita da tutto l’arco costituzionale “sinistra radicale” compresa e avallata dalla Consulta lo scorso marzo – che ha risolto il conflitto di attribuzione fra poteri dello stato (presidenza del consiglio e autorità giudiziaria) sentenziando che l’apposizione del segreto è legittima anche quando investe qualsiasi rapporto fra i Servizi italiani e stranieri ancorché in qualche modo collegato o collegabile con reati non coperti da segreto (e causa di violazioni dei diritti umani che definire reato è un eufemismo) – Pollari e Mancini, che secondo le indagini erano i due principali responsabili italiani del sequestro, cascano in piedi mentre a pagare (se pagheranno) saranno solo i favoreggiatori.
Infatti è da escludere che pagheranno gli agenti Cia condannati. Obama, in barba a tutti i proclami di ritorno alla legalità, non solo fin dal momento del suo insediamento ha esplicitamente garantito piena copertura agli 007 americani per tutto quanto avvenuto sotto l’amministrazione Bush, ma non ha neppure rinnegato la guerra segreta al “terrorismo” e la politica delle extraordinary renditions, cioè appunto del sequestro e del trasporto in galere di paesi compiacenti o, meglio ancora, in prigioni c.d. fantasma di persone che, in base alle più elementari norme di diritto e procedura penale, non potrebbero mai essere imputate, processate e condannate per “terrorismo”. Obama infatti si è limitato a promettere che nell’attuazione di questa pratica disumana ci si preoccuperà di evitare “abusi”.
Nonostante ciò gli Stati Uniti protestano perché la sentenza, anche se priva di conseguenze pratiche sugli spioni americani condannati, ha incrinato almeno sul piano simbolico il dogma per cui qualunque funzionario, soldato o anche solo sguattero in servizio presso l’amministrazione USA che commetta in un paese straniero un qualsiasi reato, magari neppure lontanamente imparentato con la “ragion di stato” – invocata ripetutamente anche dai sedicenti sistemi democratici occidentali per giustificare le peggiori nefandezze – come ad esempio gli stupri commessi dai militari della base di Okinawa su cittadine giapponesi, non ne risponderà MAI né davanti ad organismi giurisdizionali internazionali né davanti a quelli del paese interessato.