Manifesto di Hezbollah

2009 d.C. /1430 H

In nome di Allah il Clemente e Misericordioso, Lode sia ad Allah, il Signore dei Mondi. Sia pace sul Sigillo dei Profeti, il nostro Maestro Maometto e sulla sua nobile Famiglia sui suoi Compagni e tutti i profeti e i messaggeri.

Allah ha detto nel Suo Libro Sacro:

E quelli che si battono in Nostro Nome, Noi li guideremo certamente per le Nostre Vie perché in verità Allah è con coloro che fanno il bene” (Il Ragno);

O voi che credete, fate il vostro dovere verso Allah, cercare i mezzi di giungere a Lui, e vi impegnate con tutte le forze nella Sua causa, possiate voi prosperare” (La Tavola Imbandita).

Introduzione

Il nuovo documento politico di Hezbollah mira a definire la visione politica del partito. Esso comprende le nostre visioni e prese di posizione e le aspirazioni, le aspettative e le paure che nutriamo. Questo documento politico arriva anche a seguito dell’importanza delle azioni e della responsabilità del sacrificio che abbiamo vissuto.

In un momento eccezionale, carico di trasformazioni, non è più possibile affrontare questi cambiamenti senza prendere in considerazione la posizione particolare che la nostra resistenza ha conseguito o le conquiste realizzate dal nostro percorso.

Affronteremo queste trasformazioni con un approccio tra due percorsi contraddittori e la proporzionalità indiretta tra loro:

  1. la via della resistenza e dell’opposizione, che è in fase ascendente e che si basa sulle vittorie militari e i trionfi politici, così come il consolidamento del modello di resistenza a livello popolare e politico e la fermezza delle posizioni politiche assunte nonostante i massicci attacchi e le gigantesche sfide a cui è sottoposta…. fino a raggiungere la collocazione delle forze nello scacchiere regionale a fianco della resistenza e dei suoi sostenitori.

  2. il sentiero del dominio e dell’egemonia statunitense-israeliana in tutte le sue varie dimensioni ed alleanze ed estensioni dirette ed indirette, che sta andando incontro a sconfitte militari, fiaschi e delusioni che mostrano il conseguente fallimento delle strategie e dei piani degli Stati Uniti. Questo ha portato ad uno stato di collisioni, ritirate e incapacità nel dirigere ed amministrare gli sviluppi e gli eventi nel nostro mondo arabo e islamico.

Questo dato si integra in un più ampio scenario internazionale, che contribuisce a sua volta a mostrare la crisi degli Stati Uniti e il recedere dell’egemonia unipolare a favore di un multipolarismo le cui caratteristiche non sono ancora chiare.

Ciò che aggrava ancor più la crisi del sistema egemonico internazionale sono i collassi dei mercati finanziari statunitensi ed internazionali e il crollo dell’economia degli Stati Uniti in una situazione di fallimento. Questo dà una chiara immagine del picco della crisi strutturale dell’arrogante modello capitalista.

Pertanto è possibile dire che siamo nel mezzo di trasformazioni storiche che segnano il recedere del ruolo degli Stati Uniti come potenza predominante e la caduta dell’arrogante unipolarismo e l’inizio della progressiva scomparsa storica dell’entità sionista.

I movimenti di resistenza sono al centro di queste trasformazioni internazionali ed emergono come un fattore strategico nel panorama internazionale, dopo aver ricoperto un ruolo centrale nella generazione o promozione di queste trasformazioni nella nostra regione.

La resistenza in Libano, compresa la Resistenza Islamica, è stata la prima a combattere l’egemonia e l’occupazione per più di due decenni e mezzo. Ha aderito a questa scelta in un momento che sembrava essere l’inaugurazione dell’era degli Stati Uniti – che vi erano prove per descrivere come la fine della storia. Alla luce dei bilanci di forza e delle circostanze allora in vigore, alcuni videro la scelta della resistenza come una sorta di illusione o avventatezza politica o un’inclinazione che si opponeva al razionalismo e alla logica.

Nonostante ciò, la resistenza si mosse nel suo processo di jihad con l’assoluta certezza della giustezza della propria causa e della propria capacità di conseguire la vittoria, credendo in Allah ed avendo fiducia in Lui, come parte dell’intera nazione avente a cuore gli interessi nazionali libanesi, nonché avendo fiducia nel proprio popolo e tenendo alti i valori umani di rettitudine, giustizia e libertà.

Attraverso il suo lungo cammino di jihad e le sue note vittorie – a cominciare dal ritiro della occupazione israeliana da Beirut e dal Monte Libano, le fughe da Sidone, Tiro e Nabatiyeh, l’aggressione del luglio 1993, l’aggressione dell’aprile 1996, la liberazione del maggio 2000 la guerra del luglio 2006 – la resistenza ha garantito la credibilità del proprio modello prima ancora di conseguire le sue vittorie. Il progetto della Resistenza è cresciuto da una forza di liberazione ad una forza di equilibrio e contrapposizione ed infine ad una di difesa e di dissuasione, oltre al suo influente ruolo politico interno di pilastro della costruzione di uno stato giusto e capace.

Contemporaneamente era indispensabile che lo status politico e umano della Resistenza si evolvesse: si è sviluppato da un valore nazionale libanese ad un valore arabo e islamico diffuso ed è diventato oggi un valore umano internazionale; il suo modello viene seguito e le sue conquiste vengono prese ad esempio da tutti coloro che cercano la libertà e l’indipendenza in tutto il mondo.

Pur essendo a conoscenza di queste trasformazioni promettenti e vedendo che il nemico oscilla tra una inetta strategia di guerra e l’incapacità di raggiungere un accordo con le condizioni che pone, Hezbollah non sottovaluta la dimensione delle attuali sfide palesi e delle minacce, la difficoltà del percorso dello scontro e i grandi sacrifici ritenuti necessari dal percorso della resistenza per ristabilire i diritti e prendere parte alla resurrezione nazionale. Davanti a ciò, Hezbollah è diventata ora più chiara nelle sue scelte, più determinata nella sua volontà e più fiduciosa nel suo Signore, nel popolo ed in se stessa.

In questo contesto, Hezbollah definisce le principali linee guida, che costituiscono un quadro politico e intellettuale per la sua visione e le prese di posizione nei confronti delle sfide da affrontare.

Capitolo 1: L’Egemonia ed il Risveglio

Primo: L’Egemonia statunitense, occidentale e mondiale

Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si sono impossessati di un progetto di polarità primaria centralizzata. Questo progetto è stato assistito fortemente dallo sviluppo degli USA nei mezzi di dominio e da un’egemonia senza precedenti nella storia, basata sui risultati ottenuti ai vari livelli della conoscenza, fra cui l’educazione, la scienza, la tecnologia, l’economia e l’ambito militare, sostenuti da un sistema economico che vede il mondo solo come un libero mercato che deve rispettare le leggi americane.

L’aspetto più pericoloso della logica egemonica Occidentale in generale e degli Stati Uniti in particolare, è, in sostanza, la convinzione che il mondo sia una loro proprietà e che hanno il diritto di dominare sulla base della loro superiorità in più di un campo. Così la strategia di espansione occidentale —e in particolare statunitense— accoppiata con il progetto economico capitalistico, si riduce ad una avida strategia internazionale priva di limiti.

Il controllo delle potenze capitalistiche selvagge presente soprattutto nelle reti internazionali di monopolizzazione che reclutano compagnie inter-raziali e persino intercontinentali ed istituzioni internazionali varie (in particolare le istituzioni finanziarie supportate dalla superiore potenza militare) ha portato a sempre maggiori contraddizioni e lotte radicali fra cui non ultime oggi sono la lotta fra identità, culture e civiltà, oltre alla lotta fra ricchezza e povertà.

Il capitalismo selvaggio ha trasformato la globalizzazione in un meccanismo per diffondere disparità e instillare discordia, demolire le identità e imporre il tipo più pericoloso di sfruttamento civile, culturale, economico e sociale.

La globalizzazione ha raggiunto il suo aspetto più pericoloso quando si è trasformata in una globalizzazione militare guidata da coloro che seguono il piano di dominazione occidentale, che si è in gran parte manifestato in Medio Oriente, a partire dall’Afghanistan per continuare in Iraq, Palestina e Libano, e di cui una parte integrante è stata l’aggressione del luglio 2006 per mano israeliana.

La dominazione ed il progetto di egemonia degli Stati Uniti non ha mai raggiunto livelli così pericolosi come ha fatto recentemente, soprattutto dall’ultimo decennio del ventesimo secolo in poi, lungo un percorso ascendente che ha preso il via dalla disgregazione e caduta dell’Unione Sovietica (che ha costituito una possibilità storica per l’idea statunitense di essere l’unico polo alla guida del progetto di egemonia internazionale che chiamano responsabilità storica), senza distinguere tra gli interessi del mondo e gli interessi degli Stati Uniti e spacciando pertanto tale egemonia come un interesse per tutti gli altri stati e nazioni invece che come un interesse esclusivo degli Stati Uniti.

Questo piano ha trovato il suo apice con l’affermazione del movimento neoconservatore sotto l’amministrazione di George Bush figlio. Questo movimento ha espresso i suoi particolari punti di vista attraverso il “Progetto del Nuovo Secolo Americano”, scritto prima delle elezioni USA del 2000. Il progetto ha trovato la sua via di esecuzione dopo che l’amministrazione di Bush figlio prese il potere negli Stati Uniti.

Non era né strano né sorprendente che ciò che tale documento – che divenne ben presto la guida dell’amministrazione Bush – sollecitava era soprattutto la ricostruzione delle capacità degli Stati Uniti che riflettono una visione strategica della sicurezza nazionale USA. Era cristallino che si concentrava sulla costruzione di strategie militari, non solo come forza di deterrenza, ma anche come una forza di azione e di intervento sia come azione di precauzione attraverso attacchi preventivi che come mezzo di gestione delle crisi dopo che queste hanno avuto luogo.

In seguito agli attentati dell’11 settembre, l’amministrazione Bush ha realizzato che era l’occasione opportuna per esercitare la più grande influenza possibile per realizzare la sua visione di una strategia di egemonia mondiale unipolare con lo slogan della “guerra universale contro il terrorismo”. Ha quindi compiuto molti tentativi che sono stati inizialmente considerati come successi dai seguenti punti di vista:

  1. massima militarizzazione della propria politica estera e delle relazioni internazionali;

  2. sottrazione al quadro multilaterale e assunzione del monopolio sul processo decisionale strategico e sul coordinamento, quando necessario, con gli alleati in posizione subordiata;

  3. rapida conclusione della guerra in Afghanistan per potersi dedicare interamente al successivo e più importante passo nel progetto di egemonia, l’assunzione del controllo dell’Iraq. L’Iraq era considerato il pilastro fondamentale per la fondazione del progetto di Nuovo Medio Oriente che andava incontro ai desideri mondiali dopo l’11 settembre. Questa amministrazione non si è mai tirata indietro dal ricorrere a tutti i mezzi di inganno, menzogne ed aperte falsificazioni per giustificare le sue guerre ed in particolare la guerra in Iraq e contro ogni stato, movimento, forza o personalità che resite al suo progetto neocoloniale. In questo quadro, l’amministrazione Bush ha cercato di stabilire una conformità tra il terrorismo e la resistenza, per togliere a quest’ultima la sua legittimità umana e legale, e quindi giustificare qualsiasi guerra contro i suoi movimenti, cercando di rimuovere l’ultima fortezza a cui i popoli e gli Stati ricorrono per difendere il proprio diritto a vivere con libertà, dignità e orgoglio, per difendere la loro ineccepibile sovranità e per avanzare attraverso le proprie esperienze ed assumere il proprio status e ruolo nei movimenti umani storici a livello culturale e politico.

La definizione di “terrorismo” si è trasformata in un pretesto USA per praticare l’egemonia attraverso i seguenti mezzi: la cattura o l’arresto e la detenzione arbitraria in assenza degli elementi primari di un processo equo, come nella Base di Guantanamo, attraverso l’intervento diretto al di sopra della sovranità degli Stati, trasformandolo in un chiaro segno di incriminazione arbitraria,nonchè la decisione di infliggere pene ad intere nazioni e popoli e, infine, la concessione a sé stessi del diritto assoluto di lanciare guerre distruttive, che non distinguono tra innocente e criminale, bambino e anziano e uomo e donna.

Le guerre al terrorismo degli Stati Uniti sono finora costate all’umanità milioni di persone, nonché aree di distruzione totale che non ha colpito solamente il suolo e le infrastrutture, ma anche le basi della società che sono state disintegrate, spingendo all’indietro il processo di sviluppo storico, in un processo di ricaduta che ha generato guerre civili con infiniti conflitti fra fazioni, confessioni ed etnie. Ciò senza dimenticare l’attacco al patrimonio culturale e civile di questi popoli.

Non c’è dubbio che il terrorismo degli Stati Uniti è l’origine di ogni aspetto del terrorismo in tutto il mondo. L’amministrazione Bush ha trasformato gli Stati Uniti in un pericolo che minaccia il mondo intero ad ogni livello ed in ogni campo. Se oggigiorno venissero condotti dei sondaggi internazionali, gli Stati Uniti si rivelerebbero la nazione più ripugnante in tutto il mondo.

Il fallimento subito nella guerra in Iraq e lo sviluppo della resistenza in quel paese, oltre al risentimento regionale e internazionale per l’andamento di questa guerra e il fiasco della cosiddetta “guerra al terrorismo” in particolare in Afghanistan, nonchè il ritorno impetuoso del movimento Talebano ed il dover riconoscere il suo ruolo e cercare di concludere accordi con esso, così come il grande fallimento della guerra degli Stati Uniti (per mano di Israele) contro la resistenza in Libano e Palestina, ha portato all’erosione del prestigio degli Stati Uniti a livello internazionale ed ad una ritirata strategica della capacità degli Stati Uniti di intraprendere o impegnarsi in nuove avventure.

Tutto quanto detto sopra non significa che gli Stati Uniti lasceranno la scena facilmente. Faranno invece tutto il possibile per proteggere ciò che chiamano “interessi strategici”. Questo perché le politiche di egemonia degli Stati Uniti si basano su considerazioni ideologiche e progetti teorici alimentati da correnti estremiste che sono alleati con un complesso industriale-militare caratterizzato da una avidità ed un materialismo senza fine.

Secondo: La nostra regione ed il progetto statunitense

Se tutto il mondo ritenuto debole era sotto la morsa dell’arrogante egemonia, la morsa era ancora più stretta e dura sul nostro mondo arabo e islamico, per molte considerazioni legate alla sua storia, civiltà, disponibilità di risorse e ubicazione geografica.

Per secoli il nostro mondo arabo e islamico è sempre stato oggetto di infinite guerre selvagge. Tuttavia, le sue fasi più pericolose sono iniziate con l’insediamento dell’entità sionista nella regione, nel quadro di un progetto di disintegrazione di questa regione per affrontare e far guerra a vario titolo alle varie entità. Il picco di questa fase è stato raggiunto quando gli Stati Uniti hanno ereditato il vecchio colonialismo della regione.

L’obiettivo centrale dell’egemonia americana risiede nel dominare totalmente le nazioni: sia politicamente, economicamente, culturalmente o attraverso il saccheggio delle loro risorse, soprattutto il petrolio (che è il principale strumento di controllo dell’economia internazionale). Si prefigge di conseguire il controllo con qualsiasi mezzo che non rispetti le norme morali e le condizioni umane, tra cui l’uso eccessivo della forza militare, sia direttamente che indirettamente (attraverso uno strumento).

Per raggiungere questo obiettivo, gli USA sono ricorsi a diverse politiche generali e strategie operative, tra cui:

  1. Fornire all’entità sionista tutti i tipi di garanzie di stabilità in quanto base avanzata e pilastro per il progetto di egemonia degli Stati Uniti che mira a disintegrare la regione, nonchè sostenere questa entità con tutti gli elementi di forza e di continuità e dotandola di una rete di sicurezza per la sua stessa esistenza che le consente di svolgere il ruolo di ghiandola tumorale che esaurisce le capacità della nazione, diffonde le sue capacità e disperde le sue aspettative e speranze.

  2. Distruggere le capacità spirituali e la civiltà e le culture dei nostri popoli e cercare di indebolire la nostra morale attraverso i media e le guerre psicologiche che prendono di mira i valori e le figure della jihad e della resistenza.

  3. Sostenere i regimi subordinati e le dittature della regione.

  4. Prendere possesso della terra e del mare geograficamente strategici nella regione, e delle basi aeree che costituiscono i punti di collegamento decisivi, nonchè diffondere le basi militari nei punti vitali del territorio, affinchè si rivelino utili alle sue guerre e a sostenere i suoi strumenti.

  5. Sopprimere qualsiasi rinascita della regione che consenta di possedere mezzi di potere e progresso e svolga un ruolo storico a livello internazionale.

  6. Impiantare tutti i tipi di sedizione e divisione nella regione, specialmente quelli confessionali tra musulmani per produrre infinite lotte civili interne.

È chiaro che non c’è modo di leggere ogni lotta in ogni regione del mondo se non attraverso un punto di vista strategico internazionale. Il pericolo degli Stati Uniti non è locale o specifico per una regione e non un altra. Di conseguenza anche il fronte che si contrappone a questo pericolo statunitense deve necessariamente essere globale.

Non c’è dubbio che questo scontro è difficile e critico. Si tratta di una lotta di dimensione storica e di conseguenza è una lotta di generazioni che ha bisogno di fare uso di ogni potere potenziale. La nostra esperienza in Libano ci ha insegnato che difficile non significa impossibile. Al contrario, i popoli vitali e attivi dietro una guida saggia e consapevole e pronta a tutte le possibilità scommettono sull’acumulare i successi e conseguire una vittoria dopo l’altra. Così come ciò è vero verticalmente lungo la storia, è vero anche orizzontalmente nell’espansione geografica e geopolitica.

L’arroganza americana non ha lasciato altra scelta alla nostra nazione e al nostro popolo che la scelta della resistenza, almeno per una vita migliore e per un futuro umanitario migliore, un futuro governato da relazioni di fraternità, solidarietà e al tempo stesso diversità, in un mondo di pace e di armonia, come descritto da tutti i profeti e i grandi riformisti nella storia e com’è aspirazione dello spirito umano giusto e sublime.

Capitolo 2: Il Libano

Primo: La Patria

Il Libano è la nostra patria e la patria dei nostri padri e antenati. È anche la patria dei nostri figli, nipoti e delle generazioni future. È il paese per la cui sovranità, orgoglio, dignità e liberazione abbiamo offerto i nostri sacrifici più preziosi e i più cari martiri. Vogliamo questa nazione per tutti i libanesi. Vogliamo abbracciarli, avere spazio per loro e essere orgogliosi per le loro offerte.

Vogliamo che sia uno e unico nella sua terra, popolo, stato e istituzioni. Noi rifiutiamo ogni forma di segregazione o di federalismo, esplicita o mascherata. Vogliamo che il Libano sia sovrano, libero, indipendente, forte e capace. Vogliamo anche che sia forte, attivo e presente nella geopolitica della regione. Vogliamo anche che dia un contributo fondamentale nel fare il presente ed il futuro, come è sempre stato attivo nel fare la storia.

Una delle condizioni più importanti per la creazione e la continuità di una patria di questo tipo è quella di avere uno stato equo, capace e forte, nonché un sistema politico che rappresenti veramente la volontà del popolo e le sue aspirazioni per la giustizia, la libertà, la sicurezza, la stabilità, il benessere e la dignità. Questo è ciò che tutto il popolo libanese vuole, e ciò che lavora per ottenere, e noi siamo una parte di esso.

Secondo: La Resistenza

Israele rappresenta una minaccia eterna per il Libano – lo Stato e l’entità – e un reale pericolo per il paese per quanto riguarda le sue ambizioni storiche nella sua terra ed acqua, in particolare poichè il Libano è considerato un modello di convivenza tra i seguaci delle religioni monoteiste in una formula unica che è in contrasto con l’idea di stato razzista che si esprime nella entità sionista. Inoltre, la presenza del Libano ai confini della Palestina occupata e in una regione instabile a causa della lotta con il nemico israeliano ha reso inevitabile l’assumersi responsabilità nazionali e pan-arabe.

La minaccia israeliana a questo paese è iniziata sin dall’istituzione della entità sionista nella terra di Palestina. È un entità che non ha mai esitato a rivelare le sue ambizioni di occupare alcune zone del Libano e di prendere la sua ricchezza, in particolare la sua acqua. Quindi, ha cercato di realizzare gradualmente queste ambizioni.

Questa entità ha iniziato la sua aggressione contro il Libano a partire dal 1948, dal confine fin nel profondo del paese, dal Massacro di Hula nel 1949 all’aggressione all’aeroporto internazionale di Beirut nel 1968. Tra questi eventi ci sono stati lunghi anni di attacchi alle aree di confine, alla loro terra, popolazione e ricchezza. Questo è stato un preludio all’impadronirsi direttamente della terra mediante ripetute invasioni, che hanno condotto all’invasione del marzo 1978 e all’occupazione della zona di frontiera, che ha reso la popolazione di quell’area soggetta alla loro autorità a livello di sicurezza, politico ed economico, nel quadro di un preludio integrato al processo di sottomissione di tutto il paese durante l’invasione del 1982.

Tutto ciò stava avvenendo con il pieno sostegno degli Stati Uniti ed il disinteresse, cresciuto al livello di complicità, da parte della cosiddetta “comunità internazionale” e delle sue istituzioni, in mezzo al sospetto silenzio ufficiale del mondo arabo e all’assenza dell’autorità libanese che ha abbandonato la terra ed il popolo all’occupazione ed ai massacri israeliani, senza assumersi le proprie responsabilità e i propri obblighi nazionali.

Nell’ambito di questa grande tragedia nazionale, le sofferenze del popolo, l’assenza dello stato e l’abbandono internazionale, i Libanesi leali verso la propria patria non hanno avuto altra scelta che utilizzare il proprio diritto a procedere per il proprio dovere nazionale, morale e religioso a difendere la propria terra. Così, la loro scelta è stata quella di lanciare una resistenza popolare armata per affrontare il pericolo sionista e l’aggressione permanente contro la loro vita, ricchezza e futuro.

In tali difficili circostanze, il processo di ripristino della nazione attraverso la resistenza armata è cominciato spianando la strada per liberare la terra e l’iniziativa politica dalle mani dell’occupazione israeliana, come preludio per ripristinare lo stato e costruire le sue istituzioni costituzionali. Ancor più importante è stato ristabilire i valori nazionali su cui la nazione è stata costruita, in cima ai quali ci sono la dignità e la sovranità nazionale. Ciò ha dato alla libertà la sua dimensione reale, non lasciandola limitata ad uno slogan; piuttosto, la resistenza si è consacrata mediante l’atto di liberare la terra e gli uomini, e quindi questi valori nazionali si sono trasformati in pilastri per la costruzione del Libano moderno. In quanto tale, il Libano ha ripristinato la propria posizione sulla mappa del mondo e restaurato il suo ruolo di paese da rispettare ed i cui figli sono orgogliosi di appartenervi, in quanto nazione della libertà, della cultura, dell’istruzione e della diversità, nonché nazione di orgoglio, rispetto, sacrifici ed eroismo. La Resistenza ha coronato tutte queste dimensioni insieme raggiungendo la liberazione nel 2000 e la storica vittoria nel luglio 2006, presentando al mondo intero una vera esperienza nella difesa patria, un’esperienza che si è trasformata in un esempio dal quale le nazioni e gli stati possono trarre beneficio per difendere il proprio territorio, proteggere la propria indipendenza e mantenere la propria sovranità.

Questo risultato nazionale della resistenza è stato realizzato grazie al sostegno reale di un popolo e un esercito nazionale leale, frustrando così gli obiettivi del nemico ed infliggendogli una sconfitta storica che ha permesso alla Resistenza di celebrare insieme ai suoi combattenti e martiri, così come a tutto il Libano, attraverso la nazione e l’esercito, la grande vittoria che ha spianato la strada a una nuova fase nella regione, imperniata sul ruolo e la funzione centrale della resistenza nel dissuadere il nemico, garantire la salvaguardia dell’indipendenza e della sovranità del paese, difendere il suo popolo e completare la liberazione del resto dei territori occupati.

Il ruolo della Resistenza è una necessità nazionale, fino a quando continueranno le minacce israeliane e le loro ambizioni di prendere le nostre terre e acque, in assenza di uno stato forte ed efficace, ed in presenza di uno squilibrio strategico tra lo Stato ed il nemico; questo squilibrio in realtà obbliga gli stati ed i popoli deboli che sono bersaglio delle minacce degli stati forti e dominanti a ricercare formule attraverso cui beneficiare delle capacità e potenzialità disponibili. Perciò le continue minacce israeliane obbligano il Libano ad adottare una strategia difensiva che accoppi una resistenza popolare che partecipa a difendere il paese a un esercito che preserva la difesa del paese e salvaguardia la sua sicurezza e stabilità in un processo complementare che nelle fasi precedenti si è dimostrato vincente nel condurre la lotta con il nemico, ottenere risultati per il Libano e fornirlo di mezzi per proteggere se stesso.

Questa formula, che è inclusa nella strategia difensiva, costituisce un ombrello di protezione per il Libano, in particolare dopo il fallimento delle speculazioni su altri ombrelli, siano essi internazionali o arabi, o cercati attraverso la negoziazione con il nemico. L’adozione del percorso di resistenza in Libano ha raggiunto il suo ruolo nella liberazione della terra, nel ripristino delle istituzioni statali, nella salvaguardia della sovranità e nel raggiungimento della vera indipendenza. In questo quadro, i libanesi di tutti i partiti politici, le classi sociali, le categorie di istruzione e gli organismi economici si preoccupano di salvaguardare e mantenere questa formula, perché il pericolo israeliano minaccia il Libano in tutte le sue componenti, e ciò richiede la più ampia partecipazione dei Libanesi nell’assumersi le responsabilità della difesa.

Il successo dell’esperienza di resistenza nella lotta contro il nemico ed il fallimento di tutti i piani e gli schemi di abolire i movimenti di resistenza, di confiscare la loro scelta e disarmarli da un lato e la continuazione delle minacce israeliane contro il Libano dall’altro rendono inevitabile che la Resistenza faccia del suo meglio per rafforzare le sue capacità e consolidare le sue forze per assumersi le proprie responsabilità nazionali e partecipare a liberare le terre ancora sotto l’occupazione israeliana nelle Fattorie di Shebaa e nelle Colline Kafasrshouba e la città libanese di Ghajar, così come a liberare i detenuti e le persone scomparse e i corpi dei martiri e prendere parte a difendere e salvaguardare la terra e il popolo.