La guerriglia cecena, la CIA, il Mossad e il FSB

Nel “santino” dei comunisti libanesi l’immagine di Loula Abboud. Era una libanese di 19 anni, membro del Partito Social Nazionale Siriano, di religione cristiano-ortodossa. Fu lei, con la sua compagna diciassettenne Saana Muhaidily, cristiana anch’essa, ad organizzare il primo attacco femminile suicida. Saana Muhaidily, la prima “donna kamikaze” in assoluto. Era il 4 aprile 1985. Si fece saltare in aria lanciandosi con la sua Peugeot bianca contro un posto di blocco degli invasori israeliani a Batr Shaouf, uccidendo due soldati e ferendone altri due. Prima di morire la ragazza registrò un videomessaggio in cui si dichiarava pronta a morire per cacciare gli Israeliani dal Libano.

Shahidki (donne martire)

Mosca, 29 marzo. Due  esplosioni devastano la metropolitana, la prima alle 7,56 alla stazione Lubjanka, la seconda alle 8.38, alla stazione Park Kultury. Una strage: 40 morti, 121 feriti. Tutti cittadini inermi. Tra le vittime ci sono due corpi dilaniati di donne. Le teste a metri di distanza. Non ci vuole molto agli specialisti antiterrorismo russi a capire che si tratta di due “donne kamikaze”, due “vedove nere”,  due shahidki («donne martire»), come le chiamano i russi, e dunque ad attribuire gli attentati ai jihadisti nord-caucasici, presumibilmente ceceni.

Pochi giorni dopo la polizia russa rende noti i nomi delle due shahid. Mariam Sharipova, vedova di Said-Emin Khazriev, un ribelle ucciso nel 2009. Dzhenet Abdurakhamanova, appena 17 anni, vedova a sua volta di Umalat Magomedov, ammazzato tre mesi prima dalle forze speciali russe. Entrambi la donne erano del Dagestan, una repubblica autonoma dove persiste la lotta armata dei jihadisti che si battono per staccare dalla Russia le repubbliche autonome nord-caucasiche a maggioranza musulmana e fondare un califfato islamico.

A noi hanno colpito le due foto della Dzhenet Abdurakhamanova diffuse dalla polizia russa. Solo 17 anni, un faccino tondo da adolescente, una pistola in mano mentre sta in braccio al marito che poco dopo verrà ammazzato. Addosso a Dzhenet è stata trovata una lettera d’amore per il marito morto, che si concludeva con le parole “ci vediamo in cielo”. Come molte altre “vedove nere” ha cercato il martirio, portandosi via con lei quanti più “miscredenti russi” possibili.

“Vedove nere”. Il mondo ne venne a conoscenza la sera del 23 ottobre 2002, con l’immane strage compiuta dall’antiterrorismo russo al teatro Dubrovka. Un commando ceceno che si definiva “smertniki” (“squadra di morte suicida”) prese possesso del teatro e dei convenuti fece ostaggi. Il commando era composto anche da donne, sei per l’esattezza: Aishat, Amnat, Sekilat, Mariam, Rajana ed Arimani. Alcune di loro erano incinte. Tutte avevano alle spalle storie di famiglie decimate dai russi. Altri attentati anti-russi vedranno come protagoniste le “vedove nere”, figlie di un conflitto in cui le truppe inviate da Mosca si sono macchiate di crimini orrendi: esecuzioni mirate, torture, stragi di innocenti, stupri, sparizioni.
“Vedove nere”. Il prodotto di una religiosità puritana incomprensibile agli occhi dell’Occidentale?

No, non si tratta solo di questo. Si tratta anzitutto dell’odio verso l’oppressione e l’ingiustizia. Ricordiamo per questo la diciassettenne libanese Saana Muhaidily, la prima “donna kamikaze. Non era jihadista ma una cristiana-ortodossa appartenente ad un movimento antisionista di sinistra. Era il 4 aprile 1985. Si fece saltare in aria gettandosi con la sua Peugeot bianca contro un posto di blocco degli invasori israeliani a Batr Shaouf, uccidendo due soldati e ferendone altri due. Prima di morire la ragazza aveva registrato un videomessaggio in cui si dichiarava pronta a morire per cacciare gli Israeliani dal Libano. Nessun accenno al Jihad.

L’esempio di Saana verrà seguito successivamente, nella seconda Intifada, da decine di donne palestinesi, tra cui Moura Shaloub, che si lanciò nel 2002 contro un posto di blocco israeliano di Tulkarem in Cisgiordania, armata solo di un coltello da cucina. Morì crivellata dalle pallottole dei soldati. Moura era una ragazza cristiana, circostanza che conferma che la shahid donna non è esclusiva peculiarità dell’Islam, quanto piuttosto delle situazioni disperate dei popoli privati dei loro diritti, di comunità oppresse e vessate (Palestinesi, tamil, curdi, ceceni, iracheni, afgani, ecc.). La morte in combattimento come estrema ratio, ultimo e unico mezzo per dare un senso alla propria vita, utilizzandola per qualcosa di meglio che subire una lenta e mortificante agonia.

Istishhadia o complotto?

Secondo calcoli fatti dai servizi di intelligence americani il numero di attacchi suicidi è cresciuto da una media di cinque per anno negli anni ’80 del secolo scorso, a 180 tra il 2000 e il 2005. Solo nel 2001 ce ne furono 81 e nel 2005, a causa dei conflitti in Iraq e Afghanistan ben 460. (Scott Atran, “The Moral Logic and Growth of Suicide Terrorism”). Solo in Palestina tra l’ottobre del 2000 e l’ottobre del 2006 i sionisti hanno contato 167 attacchi suicidi. (Schweitzer, Y.. “Palestinian Istishhadia: A Developing Instrument”, in Studies in Conflict & Terrorism (2007).
Cosa si evince da questi dati. Che il fenomeno del martirio, della Istishhadia, è enorme, che esso è cresciuto non a caso in un periodo storico in cui la curva dell’espansionismo imperialista e sionista è andata verso l’alto, proprio mentre l’Impero americano, sostenuto da tutte le diverse potenze sub-imperiali, tra cui la Russia, dichiaravano la loro guerra di stermino contro ogni Resistenza antimperialista e il jihadismo. La guerriglia cecena, quali che siano stati i tentativi da parte degli americani e dei sauditi di utilizzarla ai propri fini, non sarebbe comprensibile se non alla luce della indomita resistenza al dominio russo e se non dentro questo contesto globale di rinascita dell’islam puritano e combattente.

Adesso provate ad entrare in un altro mondo. In quello dei complottisti, dei druidi della “Big Conspiracy”. Tutto appare in una luce radicalmente diversa e monocroma. Per nulla sfiorati dal dubbio, per niente toccati dalla tragedia umana che la scelta estrema del martirio rappresenta, i complottisti considerano queste azioni sempre, o quasi sempre, diabolici frutti di questo o quel servizio segreto. Quasi mai ci sono attentati terroristici contro il potere, quasi sempre si tratterebbe invece di autoattentati che il potere o qualcuno dei suoi pezzi si autoinfligge per trarne vantaggio, o di attacchi di un potere contro un altro. Inconcepibile per il complottista l’idea che il fenomeno del martirio sia non solo una delle modalità di Resistenze di movimenti e popoli costretti a combattere contro nemici dalla potenza soverchiante, ma addirittura una delle modalità più comuni proprio perché più efficaci e devastanti.

Gli attacchi di Mosca del 29 marzo non potevano fare eccezione. Non erano ancora state diffuse le foto della Dzhenet Abdurakhamanova, che nel web (la giungla dove ognuno può raccontarsi delle storie e dove quindi cresce rigoglioso il complottismo) erano subito fiorite le spiegazioni cospirazionistiche. I dietrologi si sono istantaneamente messi all’opera per spiegarci, a noi fessi che ancora crediamo che sono i conflitti tra dominati e dominanti a fare la storia, che dietro alla realtà apparente del jihadismo nord-caucasico, i servizi segreti erano i veri responsabili degli attentati di Mosca. E se davvero due donne si erano fatte esplodere, esse non erano che fantocci, inconsapevoli arnesi di chi a loro insaputa le ha mandate a morire.

Problema. E mo’, ci siamo chiesti, quale servizio segreto sarà tirato in ballo? La CIA? Il Mossad? O i servizi segreti russi? Non c’è da stupirsi che gli attacchi di Mosca abbiano profondamente diviso i cospirazionisti. Per alcuni gli attentati sarebbero stati organizzati dalla CIA, per altri dal Mossad, per altri ancora dal FSB. Da che dipende questo florilegio? Dal fatto se si è filo-putiniani o anti-putiniani. Per i filo-putiniani gli attacchi di Mosca, danneggiando il governo russo, sarebbero stati compiuti da servizi segreti di potenze ostili a Putin. Per gli antiputiniani quelli del 29 marzo sarebbero stati, al contrario, autoattentati del Cremlino, nella supposizione che avvantaggerebbero proprio il potere oligarchico russo. Ma andiamo con ordine.

Prima tesi: la CIA

Essa è stata esposta in diversi siti e blog. Prendiamo come esempio andreacarancini.blogspot.com/ . Il 29 marzo, quando il puzzo acre dei copri dilaniati impregnava la metro di Mosca, l’autore pubblicava un pezzo dal titolo inequivoco: “L’ombra della NATO sulle bombe di Mosca”. La tesi è semplice: essendo che gli USA vogliono allargare la NATO fino al Caucaso, ed essendo che Putin si oppone, ogni attentato che colpisca la Russia è di sicuro opera della CIA, che punta appunto a seminare il caos per far fuori Putin. L’autore non può fare a meno, per giustificare la sua tesi, di tirare in ballo la geopolitica. Sentiamo: «Domanda: mettere in relazione i gravissimi attentati moscoviti delle scorse ore con il rifiuto di Putin di farsi accerchiare dalla NATO significa peccare di complottismo? Per capire l’obbiettivo degli americani, è bene ricordare la teoria geostrategica enunciata a suo tempo dal geografo inglese Sir Halford J. Mackinder, considerato il più eminente rappresentante della scuola geopolitica anglosassone: “Chi domina l’Europa Orientale domina la Terra Interna; chi domina la Terra Interna domina l’Isola Mondo; chi domina l’Isola Mondo domina il Mondo”».

Seconda tesi: il Mossad

Questa tesi è stata insinuata da Fulvio Grimaldi il giorno dopo gli attacchi alla metro di Mosca. (fulviogrimaldi.blogspot.com).
Il ragionamento è semplice. Essendo che Netaniahu è incazzato nero per il rifiuto russo di sostenere in sede ONU le sanzioni all’Iran, il premier sionista si sarebbe vendicato autorizzando una serie di attacchi terroristici in Russia, di cui i due alla metro sono solo gli ultimi della serie.
Sentiamo.
«A Mosca! A Mosca! Da una fonte autorevole, Martin Van Creveld, professore di storia militare alla Hebrew University di Gerusalemme e consulente dello Stato Maggiore, apprendiamo. Poche settimane fa il premier israeliano Netaniahu era in visita da Putin a Mosca. Gole profonde riferiscono che ci fu un’animata discussione sull’esitazione russa di imporre nuove sanzioni all’Iran. Fuori di sé il caporione israeliano invitò il capo del governo russo a non stupirsi se nel cielo di Tehran si fossero sollevate nuvole a forma di fungo. C’è chi precisa: “nel cielo di Mosca”. Putin rispose, mentre lo trascinava fuori dalla stanza: “A noi bastano 24 ore per trasformare Israele in un posacenere”. Lo scambio si concluse con un consiglio di Netaniahu ai russi: “Paratevi il culo”. Iniziò subito una serie di attentati, tra cui uno alla base dei servizi segreti russi (di cui Putin era stato capo) e uno attribuito ai soliti ceceni (del resto fin dagli anni ’90 al servizio degli USA). E se non si fosse capito, di ieri sono i superbotti terroristici nella metro di Mosca, 40 concittadini di Putin uccisi, il primo di nuovo vicino alla sede dei servizi (di cui Putin era capo), il secondo al Ministero degli esteri (dove non si vuole addentare l’Iran)».
Questo ragionamento non appoggia su una gamba sola, l’altra essendo che la guerriglia cecena, in quanto “qaedista”, non sarebbe altro, ab origine, che una macchinazione americana (visto che per Grimaldi è lapalissiano che Al Qaeda non sarebbe altro che un sotto-dipartimento di CIA-Mossad).

Terza tesi: il FSB

I complottisti che hanno poco a simpatia Putin (e molto a simpatia i suoi avversari come la Politovskaya) attribuiscono invece ai servizi segreti russi la paternità degli attentati del 29 marzo. Così come gli attribuiscono tutti quelli precedenti.
La tesi di una russa “Strage di Stato” è sostenuta da Paul Joseph Watson (PrisonPlanet.com). Essa è stata rilanciata in Italia dall’autorevole sito www.peacereporter.net.
Watson, da sperimentato cospirazionista, si pone la più elementare e retorica domanda dietrologica: «E’ solo una coincidenza che attentati sanguinosi avvengano subito dopo il “giorno dell’ira”, che ha visto cittadini russi protestare contro il carovita, e contro il governo, in oltre 50 città? Gli oppositori di Putin sospettano che dietro le bombe vi sia una strategia della tensione volta a contrastare la crescente mobilitazione antigovernativa».
L’articolo si sofferma, con dovizia di particolari, su diversi attentati che hanno sconvolto la Russia nell’ultimo decennio, particolari che dimostrerebbero come dietro ad ogni grave atto terroristico attribuito alla guerriglia cecena ci sia in realtà l’FSB e quindi Putin: «Molti in Russia non hanno dimenticato la vicenda del coinvolgimento dei servizi segreti russi (Fsb) negli attentati ai condomini di Mosca, Volgodonsk e Buinaksk che nel settembre del 1999 uccisero oltre 300 persone. I vertici dell’Fsb incolparono subito i separatisti ceceni, scatenando un’ondata di nazionalismo che spianò la strada del Cremlino all’ex capo dell’Fsb, Vladimir Putin (in carica fino al mese prima) e garantì un ampio sostegno popolare alla seconda guerra in Cecenia. (…) di Putin in difficoltà. Nel settembre del 1999 Putin aveva bisogno di creare le premesse per il suo avvento al potere. Nel febbraio del 2004 quando altri attentati attribuiti ai ceceni colpirono la metropolitana di Mosca uccidendo 41 persone, Putin era in piena campagna elettorale per ottenere il secondo mandato presidenziale».

Conclusioni

Abbiamo dunque una buffa situazione. I complottisti sono divisi su quale fosse il servizio segreto colpevole dell’attacco alla metro di Mosca: americano, israeliano, russo. Non si esclude che in quelle stazioni di metro ci fossero tutti e tre, e forse altre barbe finte erano in fila a mettere bombe. In fondo Putin di nemici ce ne ha tanti. Su una cosa sono però tutti d’accordo: il jihadismo non c’entra nulla e se c’erano davvero delle dagestane nel metro erano due dementi, o due spie, al servizio di qualche servizio.
Il complottista rifiuta di credere che l’assassino del Tiranno oppressore possa essere il servo oppresso. E se quest’ultimo tante tracce di se ha lasciato sul luogo del delitto, di sicuro è stato istigato da qualche puparo di corte. Il complottista è tale perché vede anzitutto congiure e cospirazioni di Palazzo, lotte intestine al potere. Considera solo i contrasti tra dominanti, e solo in subordine quelli tra dominanti e dominati. Per ogni servo che decida di non restare in ginocchio e di restituire al potere un po’ della sua violenza, ci sarà sempre un complottista pronto ad insinuare che egli non esiste, e se esiste, altro non è che un provocatore.