Chi ha partecipato all’incontro di Firenze, il 17 dicembre scorso, nell’anniversario dello scoppio della rivoluzione tunisina non è certo rimasto deluso. Chi di noi aveva già incontrato il dirigente di Ennahda (o Nahda) Lourimi Ajmi in occasione dei nostri precedenti viaggi in Tunisia, era certo che il nostro ospite sarebbe stato all’altezza delle attese. Così è stato.
La concomitante manifestazione contro il duplice omicidio razzista e fascista dei due fratelli senegalesi, avvenuto proprio a due passi dalla Casa del popolo dove abbiamo svolto l’incontro (Piazza Dalmazia), ha certo penalizzato una partecipazione più massiccia, tuttavia pochi erano i posti a sedere rimasti vuoti. Del resto l’incontro è cominciato proprio esprimendo solidarietà alle comunità immigrate così pesantemente colpite, e dunque osservando un commosso minuto di silenzio per i martiri della rivoluzione tunisina.
Moreno Pasquinelli ha introdotto i lavori, mettendo anzitutto in luce l’importanza storica della sollevazione popolare in Tunisia come apripista della più generale “primavera araba” e le minacce a cui le sollevazioni sono sottoposte a causa degli intrighi delle diverse potenze imperialiste — che tentano in ogni modo di corrompere i processi democratici per rinsaldare la loro egemonia neocolonialista. Un terremoto, sociale, politico e geopolitico, è in atto nel Maghreb e in Medio oriente, e la battaglia in corso a Piazza Tahrir in Egitto né è la dimostrazione. Gli esiti di questi sconvolgimenti non sono predeterminati, ma aperti a diversi sbocchi. Il rischio che l’imperialismo utilizzi strumentalmente le legittime proteste popolari per i propri fini, non può essere un alibi per voltare le spalle alle legittime rivolte di massa, rivolte che chiedono dignità, giustizia e libertà. Pasquinelli ha in questo contesto inquadrato il fenomeno del movimento islamico e democratico Ennahda, uscito vincitore dalle elezioni dell’Assemblea costituente, anch’essa sottoposta a pressioni formidabili da parte delle vecchie potenze imperialiste, le quali cercano e cercheranno di sterilizzare la rivoluzione tunisina e di mettere la loro ipoteca sulle nuove istituzioni tunisine.
Ha dunque preso la parola Ajmi Lourimi, il quale ha esordito ringraziando i promotori dell’incontro e ricordando quanto importante sia la solidarietà internazionale al popolo tunisino, tanto più da un paese così prossimo come l’Italia. Ajmi non poteva non iniziare ricordando come la rivoluzione non sia caduta dal cielo, ma frutto della maturazione di diversi fattori sociali, politici e morali, non senza sottolineare che essa è venuta dopo decenni di Resistenza popolare, soprattutto contro la dittatura di Ben Alì, Resistenza nella quale Ennahda ha giocato un ruolo di primissimo piano, e per ciò pagandone un carissimo prezzo.
Si è quindi soffermato sulla dinamica del processo rivoluzionario, scoppiato in maniera inattesa, e la cui forza motrice sono state le regioni più povere del paese, ad esprimere che la forza d’urto della rivoluzione sono state proprie le fasce diseredate della popolazione, alle quali si è aggiunta poi la maggioranza del popolo. Si è quindi soffermato sul ruolo decisivo avuto dai giovani, che sono stati la prima linea di una rivoluzione durata 21 giorni, dal 17 dicembre 2010, giorno in cui Mohammed Bouazizi si diede fuoco, al 14 gennaio 2011, giorno della fuga di Ben Alì e della sua cricca.
La fuga di Ben Alì non ha tuttavia spazzato via tutte le vestigia del suo regime. I reazionari hanno tentato in ogni modo di sabotare il processo democratico culminato nelle elezioni dell’Assemblea costituente ad ottobre. Ennahda è stato il bersaglio principale delle forze che puntavano ad una restaurazione. Esse hanno tentato in ogni modo di contrastare l’avanzata dell’islam democratico, polarizzando ad esempio la campagna elettorale sulla falsa contrapposizione tra l’Islam e la democrazia, tra religione e laicità. Una trappola in cui sono cadute purtroppo anche le forze della sinistra rivoluzionaria, più sensibili alle tematiche secolariste di marca europea che alle istanze sociali degli strati sociali più sfruttati e oppressi. Ajmi ha ripetuto che non c’è contraddizione tra Islam e democrazia, tra islam e diritti universali dell’uomo. L’Islam non equivale a dire salafismo. Ha sottolineato l’importanza che Ennahda attribuisce ai diritti della donna, citando un esempio: l’80% delle donne che fanno parte della Costituente sono state elette nelle liste di Ennahda.
Ajmi ha dunque concluso affermando che la rivoluzione non è affatto conclusa con l’Assemblea costituente, che essa è un processo in atto, una rivoluzione permanente, che non deve fermarsi a questa prima tappa.
Sono dunque intervenuti Alessandro Leoni, per il Partito della rifondazione comunista, e Giovanni Bacciardi per il partito dei comunisti italiani. Il primo ricordando la tragedia occorsa in Libia, con l’ignobile aggressione imperialista, un esito che non deve ripetersi in Siria. Ha concluso auspicando che ci sia la possibilità di consolidare le relazioni fraterne tra le forze progressiste italiane e quelle tunisine.
Giovanni Bacciardi ha rivolto ad Ajmi la domanda se la rivoluzione tunisina sia più affine a quella francese del 1789 o a quella russa del 1917.
Ajmi ha concluso ricordando che Ennahda, pur avendo sostenuto la rivolta popolare in Libia, ha condannato senza mezzi termini l’aggressione della Nato. Rispondendo a Bacciardi ha affermato che Ennahda non pensa di copiare alcun modello sociale o istituzionale importandolo dall’esterno. La rivoluzione tunisina ha caratteristiche specifiche, frutto della storia del paese, della sua struttura sociale, della sua identità islamica. Ha poi dato la sua piena disponibilità a ricevere a Tunisi, ai massimi livelli, una eventuale delegazione italiana.