Una teoria economica imperialistica?
La Modern Money Theory o il mito della Cornucopia (seconda parte)
«Potevamo andare al summit di Rimini a dire queste cose? Meglio di no. E comunque non sarebbe stato possibile, visto che il Barnard l’ha organizzato alla stregua di un simposio di sacerdoti gnostici, quasi si trattasse di un rito per seguaci o iniziati».
La bacchetta magica fasulla della MMT
La MMT non ci convince. Ciò non dev’essere inteso come una perorazione delle politiche degli eurocrati — che tengono duro con la linea contraria, quella del ferreo pareggio di bilancio (salvo erogare, vedi la decisione della Bce di Mario Draghi, una montagna di danaro fresco alle banche per evitare il loro fallimento). Né vogliamo negare (fermo restando il diverso universo concettuale) i punti di accordo con gli MMtisti, quattro fondamentalmente: l’attacco all’architettura stessa dell’Unione europea, la necessità per uno Stato di esercitare pienamente la propria sovranità monetaria, quindi la preferenza per l’uscita dall’eurozona, ed infine che la banca centrale di uno stato sovrano dovrebbe usare la leva monetaria in favore degli interessi del popolo lavoratore e non di quelli di ristrette oligarchie finanziarie e della pletora di ceti sociali parassitari.
Quel che cerchiamo di sostenere è che il sistema economico capitalistico ha delle sue proprie leggi di movimento, che la recessione deve seguire sempre il periodo di crescita, che le crisi catastrofiche sono connaturate ad esso, che per uscirne, come aveva sottolineato Marx, il capitale deve compiere per intero il suo ciclo di svalorizzazione e che per ri-valorizzarsi e rilanciare il ciclo di accumulazione esso deve passare per una guerra fratricida tra capitali (i liberisti, con pelosa metafora, la chiamano distruzione creativa) e vincere quella col lavoro salariato, riducendolo in condizioni di schiavitù. Cerchiamo di sostenere che la terapia che ci propongono gli MMTisti per porre fine al marasma, tutta fondata sulla centralità della moneta e quindi sull’idea che la banca centrale debba stampare moneta a gogò per finanziare ad libitum la spesa pubblica è una pia illusione.
Se la crisi degli anni ’60-’70 revocò in dubbio la validità della teoria economica keynesiana — col che ribadiamo il nostro dissenso con la tesi, come minimo semplicistica del Barnard (domanda: ma i teorici della MMT la condividono?), per il quale le politiche economiche di tipo keynesiano vennero abbandonate a causa del complotto di ristrette cricche di plutocrati —, l’attuale impasse dell’economia americana mostra l’inefficacia della terapia anti-ciclica fondata su una politica monetaria espansiva e sull’indebitamento pubblico.
Non c’è dubbio infatti che nella disperata ricerca di evitare che il capitalismo precipiti nell’abisso, di contro alla cura deflattiva perseguita dagli eurocrati, le autorità politiche e monetarie anglosassoni stiano agendo di rimessa in base alla Keynesiana Trappola della liquidità.
La trappola descrive la situazione in cui la politica monetaria non riesce più a sortire effetti sull’economia in recessione. Si cade nella trappola quando i tassi d’interesse pur essendo prossimi allo zero e non potendo scendere ulteriormente non riescono a far ripartire il motore economico. Per spiegare l’arcano Keynes la butta in psicologia: non i tassi d’interesse, afferma, sono il fattore decisivo, bensì “la fiducia” dei capitalisti. Quando i loro sentimenti sono dominati dall’incertezza e dalla paura essi non investono, tesaurizzano anziché spendere. Così la domanda si blocca e sopraggiunge la recessione, questa crea la disoccupazione, la quale, a sua volta determina minori redditi e calo dei consumi.
Con tutto il rispetto per Keynes, la sua spiegazione emotiva delle crisi capitalistiche non sta né in cielo né in terra. Mette in luce due cose: che egli non aveva compreso l’essenza stessa del modo capitalistico di produzione, e dunque la sua distanza siderale dal pensiero Marx. E qui cade la pretesa di alcuni degli MMTisti, tra cui L. Randall Wray per cui la MMT sarebbe, tra l’altro, l’incontro tra Keynes e Marx. Il tentativo di ottenere un cocktail tra i due è come pretendere di mescolare olio e acqua, i due elementi alla fine si scorporano per tornare al loro irriducibile stato fisico.
La MMT è invece, come abbiamo detto, una versione sesquipedale del keynesismo, solo con più attenzione etica a nobili valori sociali. Ascoltiamo quel che dice l’americanissimo Barnard nella sua vulgata ad uso e consumo dei suoi compatrioti.
E’ una citazione lunga, ma ne vale la pena, perché contiene la quint’essenza della MMT:
«In primo luogo, il governo americano potrebbe retribuire ogni disoccupato con uno stipendio che gli rende possibile vivere, anche a quelli che attualmente hanno un salario bassissimo. Ha tutti i soldi del mondo per farlo, perché il nostro governo possiede il dollaro USA e può pagare qualsiasi salario voglia (sotto vi darò una semplice spiegazione).
Voi chiederete: questo non provocherebbe un aumento del già enorme debito pubblico? No, per niente, semplicemente perché una classe lavoratrice americana ben pagata può creare tanta nuova produzione, nuove infrastrutture, nuovi investimenti e nuovi servizi che forniranno più ricchezza nelle tasche degli americani e nelle casse del suo governo. Si tratta di una spesa pubblica che finirebbe per pagare in gran parte sé stessa, a beneficio di tutti. Non c’è bisogno d’aver paura di un debito ingente.
In secondo luogo, il governo potrebbe pagare adeguati servizi per tutti gli americani, vale a dire una copertura sanitaria universale, una buona istruzione, l’assistenza sociale per i bisognosi e gli anziani e un buon sistema pensionistico. Di nuovo, non provocherebbe ulteriore debito a Washington, perché ci renderebbe di nuovo migliori lavoratori, migliori studenti e anziani meno bisognosi.
In sintesi: saremmo una nazione ancora più competitiva che crea valore invece di sprecarlo per problemi sociali gravissimi. E una società dove il senso di sicurezza sostituisce il dolore e la paura porta a meno mali sociali, a meno disintegrazione della famiglia, a meno criminalità.
Suona bene, vero? Ma il governo ha davvero tutti questi dollari da spendere per noi? (…) Solo il nostro governo può farlo [stampare dollari, Nda]. Lo fa presso la Tesoreria e alla Federal Reserve.?Pensate in questo modo: il governo crea dollari mettendo la sua firma su pezzi di carta (banconote e obbligazioni), oppure sui trasferimenti di moneta elettronica. Può mai essere a corto della propria firma??Ha bisogno di prenderli in prestito da qualcun altro? Ha bisogno di tassare la gente per riavere quelle firme che lui ha creato? No, certo che no. Quindi, per ricapitolare: il governo crea nuovi dollari, non deve mai prenderli a prestito, non può mai finirli, non ha bisogno di tassare nessuno per questo. E così può usare i suoi dollari per fare qualsiasi cosa voglia, come creare occupazione per tutti noi, educare tutti noi, prendersi cura di tutti noi. E non dimenticate: questa forma di spesa del governo finisce per pagarsi in gran parte da sola, a causa del circolo virtuoso della nuova ricchezza nazionale netta che crea.?E questo non richiede super-tasse per nessuno. In realtà, tutto funziona proprio come se il governo ci desse più dollari di quanti ne preleva con la tassazione.
Si combatte anche l’inflazione grazie a tutte le cose nuove che saranno prodotte e così il governo riuscirà a smettere di aumentare la sua spesa (oppure ulteriori emissioni di dollari) quando tutti noi avremo più posti di lavoro». [Paolo Rossi Barnard, La moderna teoria monetaria spiegata alle mamme]
Come detto: il paese della Cuccagna.
Anzi, ci vengono in mente le parole del Boccaccio quando descriveva il paese di Bengodi:
«Maso rispose che le piú si trovavano in Berlinzone, terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giú, e chi piú ne pigliava piú se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua».
Come si può credere a simili sciocchezze? Vero è che la MMT è una teoria più complessa di quanto Barnard tenti di far credere, che la sua è una volgarizzazione forse maldestra. Tuttavia il succo non gli è sfuggito. Come ha confermato Michael Hudson a commento dell’incontro di Rimini:
«Quindi, qual è l’aspetto fondamentale? È avere una banca centrale che opera nel modo per cui sono state fondate: per monetizzare il passivo di bilancio e per spendere fondi nell’economia, nel modo adatto a promuovere la crescita economica e la piena occupazione. Questo era il messaggio della MMT per cui cinque di noi sono stati invitati a Rimini».
La gallina dalle uova d’oro non esiste…
E’ stato giustamente fatto notare che il modello proposto dalla MMT, semmai avesse un luogo in cui potesse funzionare, questo sarebbe soltanto quello di un paese ad economia chiusa e pienamente protezionista. In altre parole esterno al mercato mondiale. Lo staliniano “socialismo in un solo paese” verrebbe da pensare, o l’autarchia fascista.
Monetizzare un passivo di bilancio crescente emettendo titoli di debito, autorizzare la banca centrale a stampare illimitatamente moneta per accrescere e finanziare la spesa pubblica, non porterebbe al collasso catastrofico solo in un luogo immaginario posto fuori dal mercato capitalistico mondiale.
Ancora deve nascere un sistema economico che possa starsene fuori dal sistema di vasi comunicanti rappresentato dal mercato mondiale. Accadde alla Cambogia dei Khmer Rossi, tuttavia Pol Pot non farneticava che il suo paese sarebbe potuto sopravvivere a lungo isolandosi dal mondo. Nel suo piano i lavori forzati per rilanciare la produzione su larga scala di riso, erano solo il male necessario per dare vita ad un’accumulazione primitiva che avrebbe consentito al paese di superare la soglia dell’autosufficienza alimentare, raggiungere livelli produttivi che avrebbero permesso in un secondo momento di esportare riso in cambio di beni strumentali per avviare l’industrializzazione. Pol Pot, al contrario degli MMtisti, aveva capito Marx, che in ultima istanza la Legge del valore l’avrebbe spuntata.
Un paese “evoluto”, non con un’economia claustrale (ma le abbazie benedettine non lo erano nemmeno loro), cioè con un sistema industriale avanzato e una popolazione dai bisogni molteplici, è costretto a importare tutto quanto serve alla sua economia. Con che pagherebbe questi prodotti? Dando in cambio a chi li offre la sua propria moneta? Ma come sperare che essi la accettino se detto paese sta fuori dai mercati finanziari e monetari internazionali? Essi la rifiuterebbero, per la semplice ragione che non gli attribuirebbero alcun valore e chiederebbero di essere rimborsati con una terza moneta di conto che abbia per loro valore.
A questo punto al nostro paese non resterebbero che tre scelte: o l’autarchia, appunto, ma ciò a spese del proprio sviluppo e del benessere dei cittadini che dovrebbero vivere con quello che passa il proprio convento (altro che Bengodi!); o proporre uno swap, un baratto, dando in cambio al fornitore le proprie merci; o decidersi ad entrare nei circuiti finanziari e monetari internazionali, con tutto quanto ne consegue.
E’ evidente che il baratto ha limiti intrinseci, di sicuro è una gabbia per scambi generalizzati, poiché l’altra parte potrebbe non avere alcun bisogno dei beni che tu offri in cambio, e viceversa. Esso avverrebbe comunque in base alle leggi di mercato (ecco che non sfuggi alla Legge del valore).
Come stabilire che ad una data quantità di merce X debba corrispondere questo e non un altro ammontare di merce Y? Da che dipende il loro valore di scambio se non dalla quantità di lavoro, vivo e passato, in esse contenuto? Ma allora ciò che verrebbero qui a confrontarsi faccia a faccia sono i livelli di produttività: se una mia giornata lavorativa produce (grazie ad esempio ad un uso di tecnologie più avanzate e a tassi di sfruttamento della forza lavoro più alti) il doppio della tua, in base al principio dello scambio tra equivalenti, minor tempo di lavoro si scambierà con maggior tempo di lavoro, col che avremo un drenaggio di ricchezza dal paese meno produttivo a quello che lo è di più. Se il paese A impiega il doppio di tempo e risorse per estrarre un barile di petrolio rispetto ad un suo concorrente non è che io, B, che ti offro, che so, macchinari, te lo pago il doppio del tuo concorrente. Il valore di una merce, sottolineava Marx svelando l’arcano su cui si erano impigliati i classici, dipende non dal mero tempo di lavoro speso per produrla (che altrimenti il prodotto di uno scansafatiche che impiega il triplo di tempo di un altro avrebbe il triplo del valore), ma dal lavoro medio socialmente necessario effettivamente erogato.
Ma questa seconda ipotesi è del tutto virtuale. Se non vuole perire sotto la propria autarchia, un paese quale che sia, che adotti o non adotti la MMT, deve tornare sui mercati finanziari e monetari internazionali. Ma se torna nel grande gioco degli scambi capitalistici, esso non può farsi regole su misura, deve soggiacere alle leggi che presiedono questi scambi. Allora esso dovrà fare i conti con la bilancia dei pagamenti, con la legge della domanda e dell’offerta, con le partite correnti, con la politica dei cambi (fissi o flottanti), con la convertibilità o meno della sua valuta e dei suoi tassi di cambio, con le politiche monetarie degli altri, quindi svalutazioni competitive, inflazioni, default e spietata concorrenza. E dovrebbe forse trovare acquirenti stranieri affinché acquistino i titoli di Stato emessi per finanziare la propria macchina pubblica o il suo welfare.
Col che addio al dogma della MMT. Te lo scordi che il governo e la tua « banca …possano… monetizzare il passivo di bilancio e per spendere fondi nell’economia, nel modo adatto a promuovere la crescita economica e la piena occupazione», se sono incapsulati nel mercato mondiale, con banche e aziende che operano sui mercati globali, a borse aperte. Tutto potrebbero fare, meno che applicare una politica economica realmente indipendente.
La moneta, per quanto abbia tre funzioni (mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore) resta pur sempre una sovrastruttura. Essa è il simbolo, per quanto astratto, della ricchezza sociale e questa consiste, in ambiente capitalistico, in merci, in merci il cui valore dipende anzitutto dal lavoro (vivo e passato) in esse contenuto.
E’ quindi, oltre alla natura, il lavoro la sola sorgente da cui sgorga la ricchezza sociale — che il denaro rappresenta e di cui consente la circolazione. Hanno voglia gli MMTisti a dire il contrario: il denaro non se ne sta sospeso nella stratosfera, dev’esserci una relazione tra soggetto e predicato, un legame indissolubile tra il simbolo e ciò di cui esso è segno astratto. A meno che non si vogliano accettare i meccanismi perversi e fasulli del capitalismo-casinò (per cui ti vendo, come Totò, anche la Fontana di Trevi, ma abbiamo visto dove siamo arrivati), non posso scambiare che ciò che effettivamente produco, e se metto in circolazione una quantità di moneta eccessiva, prima o poi, più prima che poi, il simbolo si deprezzerà, avrò svalutazione e, se non corro ai ripari riducendo la quantità di moneta in circolazione, essa potrebbe avere il valore della… carta straccia. Non posso stampare carta moneta a gogò, come se il suo valore, come la manna, scendesse dal cielo, e non invece dal lavoro, dalla produzione complessiva di beni.
…a meno che…
O il valore della moneta (che per quanto metamorfica è pur sempre una merce) dipende dal valore di chi la emette? E da che dipende questo valore dell’emittente? Dalla sua solvibilità. E da cosa dipende la sua solvibilità se non dalla capacità di creare surplus, ricchezza eccedente (e quindi destinata allo scambio)? Il mercato se ne fotte del blasone di questa o quella banca centrale. Il mercato si è già vendicato nel settembre 2009 dei trucchi del capitalismo-casinò sui derivati e la montagna dei collaterali spazzatura. Repetita juvant: il valore di un segno monetario così come quello dei titoli di debito di uno Stato vengono stabiliti in base ai fondamentali, ovvero in base alla potenza del sistema produttivo di cui sono semplici rappresentanti. Per dire che piena occupazione e benessere dipendono dalla produttività del sistema dato di produrre motu proprio quantità crescenti di sovraprodotto sociale e nient’affatto dalla quantità di moneta circolante.
I teorici della MMT dovrebbero dirci, una buona volta: com’è che il loro sistema può funzionare senza uscire dai mercati finanziari mondiali? Com’è che la banca centrale può finanziare a piacimento la spesa pubblica in ambiente capitalistico? A borse aperte in cui si transa il grosso dei capitali? Col sistema creditizio in mano al capitale privato? Con le banche oramai prima di tutto banche d’affari e non più meramente commerciali? Con i mezzi di produzione concentrati in mano a ristretti gruppi oligopolistici? Con il sovraprodotto sociale che in quanto plusvalore è accaparrato dal capitale? Dovrebbero dirci questo invece di menare il cane per l’aia e di camuffare questo loro razzolare con i loro tecnicalismi e le loro fumisterie algebriche, che tradiscono la loro adesione alla teoria economica post-marginalista e quantitativa?
Ci viene un dubbio lancinante…
Esiste teoricamente un altro ambiente oltre ai tre da noi descritti (autarchia, baratto, libero scambio) in cui gli MMTisti potrebbero mettere in pratica la loro dottrina. In linea teorica le loro ricette potrebbero essere applicate in un paese imperialista forte, anzi in un paese super-imperialista. Una paese che sia al contempo la prima potenza industriale, agricola, finanziaria, tecnologica e militare, ovvero un paese che abbia una dispiegata supremazia mondiale, e che grazie alla sua posizione dominante possa drenare e captare surplus da tutte la aree del mondo e spalmare ai quattro angoli del globo il proprio debito pubblico e la propria inflazione, e che al contempo li minacci tutti e li soggioghi con la sua deterrenza militare.
Uno stato simile, non lo escludiamo, potrebbe applicare, con relativo successo, le dottrine della MMT.
Ci viene in mente che questo Stato in effetti esiste, per quanto oramai profondamente ferito e malato: sono gli Stati Uniti d’America. Così verrebbe fuori non solo che le teorie degli MMTisti sono nate in ambiente yankee, e che solo in quello potevano nascere, ma che la loro teoria si attaglia e solo può attagliarsi agli Stati Uniti in quanto super-potenza imperialistica.
Il dubbio è questo: non sarà che la MMT è una teoria economica imperialistica? Proprio gli americani usano dire: «Se una cosa sembra una papera, cammina come una papera e fa qua-qua, probabilmente è proprio una papera».
Potevamo andare al summit di Rimini a dire queste cose? Meglio di no. E comunque non sarebbe stato possibile, visto che il Barnard l’ha organizzato alla stregua di un simposio di sacerdoti gnostici, quasi si trattasse di un rito per seguaci o iniziati.
Ma l’economia, abbiamo detto, è sempre economia politica, le idee economiche sono sempre idee politiche, che non solo dovrebbero giungere alle masse, ma debbono essere sottoposte al vaglio della critica. Due cose che non interessano per niente al Paolo Rossi Barnard. Peggio per lui.