«Microsoft o Linux?»

Roberto Sidoli, Massimo Leoni e Daniele Burgio – già autori di alcuni libri sull’«effetto di sdoppiamento» – ci hanno gentilmente inviato la prefazione del loro ultimo lavoro, che verrà pubblicato agli inizi del 2013.
Questa volta il tema è quello dell’«effetto di sdoppiamento» nella scienza e nella tecnologia, anche per (così auspicano gli autori) «aprire una discussione sull’importante tematica del “lavoro universale” (Marx)».
Sotto potete leggere la prefazione del libro.

Prefazione
(di Roberto Sidoli, Massimo Leoni e Daniele Burgio)

«Ogni cosa oggi sembra portare in sé la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l’uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria. Le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura. Sembra che l’uomo nella misura in cui assoggetta la natura, si assoggetti ad altri uomini o alla propria abiezione». (K. Marx, discorso per l’anniversario del People’s paper, aprile 1856)

Semplificando al massimo, la tesi fondamentale di questo libro è che la famosa formula di Einstein E=MC2 ha un carattere gnoseologico oggettivo ed universale, valido sia per la classe operaia che per la borghesia, sia nel socialismo che nel capitalismo, ma che il suo utilizzo socioproduttivo può e realmente risulta diverso, a seconda dei rapporti di produzione dominanti nelle variegate formazioni economico-sociali che in essa viene adoperata.

Più in generale sosteniamo che le conoscenze via via accumulate dalla scienza naturale e dalla tecnologia costituiscono processi di valore universale ed oggettivo nei loro risultati gnoseologici, ma da 11.000 anni esse si dimostrano elastiche e plasmabili nelle loro diverse utilizzazioni socioproduttive concrete, a partire dal 9.000 a.C. e dall’inizio in Eurasia dell’epoca neolitica (Gerico, ecc).

Detto in altri termini, la pratica generale dimostra che è stato possibile dal 9.000 a.C. e fino ai nostri giorni, a livello reale/concreto oltre che potenziale, sia un utilizzo comunitario, cooperativo e collettivistico delle conquiste scientifico-tecnologiche che un loro uso classista, teso nella loro applicazione sociale a favorire esclusivamente/principalmente i gruppi minoritari e privilegiati venuti via via in possesso delle condizioni e dei mezzi sociali della produzione.

Non esiste una scienza/tecnica classista, ma invece un uso classista (o collettivistico) di esse.
Dal 9.000 a.C., la combinazione scienza/tecnologia si è sdoppiata, si è biforcata nelle sue forme concrete di applicazione socioproduttiva in due strade alternative.

Questi (possibili/reali) utilizzi “sdoppiati” del complesso di risultati, via via ottenuti dal lunghissimo processo di sviluppo scientifico-tecnologico, rimandano a loro volta allo schema teorico generale dell’effetto di sdoppiamento, formatosi proprio a partire dal 9.000 a.C. in seguito al salto qualitativo rivoluzionario raggiunto dalle forze produttive ed alla comparsa dell’“era del surplus”. In tale epoca di sviluppo del genere umano, diventava possibile, a livello potenziale oltre che reale, sia la riproduzione/affermazione di rapporti di produzione collettivisti che la riproduzione/affermazione di relazioni di produzione classiste, nelle loro diverse varianti storiche (modo di produzione asiatico e schiavistico, feudale e capitalistico).

Secondo punto di elaborazione: proprio la progressiva accumulazione di conoscenze/competenze in campo scientifico-tecnologico ha permesso al genere umano, all’inizio del neolitico ed attorno al 9.000 a.C., di produrre in modo costante ed accumulabile un surplus attraverso il lavoro collettivo umano e di entrare nell’era del surplus. Dal 9.000 a.C., pertanto, la combinazione tra la protoscienza e tecnologia è diventata la principale forza produttiva umana, suscettibile di un utilizzo sdoppiato.
La terza tesi riguarda il fenomeno dell’utilizzo “sdoppiato” ed alternativo dei risultati più felici e realistici prodotti dalle scienze sociali, in senso classista o invece con un impronta comunista.

Ad esempio la teoria del valore di Smith/Ricardo è stata adoperata e sviluppata sia per sostenere posizioni filo capitalistiche (a partire dagli stessi A. Smith e D. Ricardo) che per scelte di campo collettivistiche rispetto ai rapporti di produzione (ricordiamo Grey, Hodgskins e lo stesso marxismo),  mentre le scoperte di Darwin sono state utilizzate a loro volta sul piano sociopolitico da Engels per aiutare a dimostrare il processo di autocreazione del genere umano attraverso il lavoro, ma anche dal social-darwinismo ipercapitalista e razzista.

Quarto punto di snodo: anche in base allo sdoppiamento (potenziale/reale) dell’utilizzo socioproduttivo del “lavoro universale” (Marx) emerge come la combinazione tra scienza e tecnologia non appartenga alla “sovrastruttura” delle società umane, ma viceversa fin dall’inizio sia parte integrante delle forze produttive sociali della nostra specie e della sua plurimillenaria praxis e che la scienza/tecnologia pertanto risultino parte della “struttura” produttiva, a differenza del  loro utilizzo concreto nelle diverse formazioni economico-sociali.

Quinta tesi: la protoscienza (scienza non ancora elaborata compiutamente) ha iniziato a svilupparsi assieme alla tecnologia più di due milioni di anni fa, come (proto) scienza meccanica dell’Homo habilis, ed è via via progredita già durante le epoche paleolitiche e neolitiche/calcolitiche, contraddistinte dall’egemonia (quasi completa, nel primo caso) dei rapporti di produzione e distribuzione collettivistici.

In altre parole, la protoscienza nasce “rossa” ed in ambiente comunista (primitivo e neolitico), facendo saltare subito in aria qualunque processo di identificazione tra scienza e società classiste, oltre che tra scienza e capitalismo.

Sesto elemento di elaborazione: la tecnologia, le diverse tecnologie e l’intelligenza tecnica, alias la capacità di manipolare, costruire ed usare oggetti attraverso e mediante altri oggetti, fa parte da più di due milioni di anni del bagaglio e patrimonio mentale e socioproduttivo della nostra specie, e come la protoscienza – ad essa strettamente collegata, fin dagli albori – è sorta e si è via via sviluppata simultaneamente grazie ai rapporti di produzione collettivistici del paleolitico e neolitico (nel secondo periodo con l’importante eccezione della domesticazione del cavallo, effettuata attorno al 4.000 a.C. dalle popolazioni proto-classiste dei Kurgan). Salta pertanto subito in aria e viene demolita qualunque teoria sul collegamento inevitabile e diretto tra tecnologia e società classiste, tra tecnologia e formazione economico-sociale capitalista.

Settimo punto di snodo: l’esperienza accumulata via via nell’ultimo secolo, dal 1917 e, dopo l’epocale Ottobre Rosso nell’ex-impero zarista, continuata fino ai nostri giorni dalle società socialiste-deformate (Cina, Vietnam, Cuba ecc.) mostra a sua volta la possibilità di utilizzi cooperativi (e non-classisti) delle scoperte e pratiche scientifico-tecnologiche, come del resto alcune esperienze alternative nello stesso mondo capitalistico: il “modello Linux” nel campo della programmazione informatica, per fare un solo esempio.

Ottavo snodo: le tesi relative allo “sdoppiamento” nell’utilizzo della combinazione tra scienza naturale e tecnologia e sull’appartenenza di queste ultime alle forze produttive sociali sono state anticipate da Marx 150 anni orsono, seppur in forma non sistematica, specie con il suo discorso londinese dell’aprile del 1856.

Nono contributo teorico. L’atteggiamento generale dei “classici” del marxismo (Marx, Engels e Lenin) nei confronti dei risultati – distinti dal loro utilizzo classista e capitalistico – della scienza/tecnologia è stato di forte apprezzamento, seppur non acritico, collegato poi ad una concezione generale della scienza/tecnologia basata in via preliminare sul realismo epistemologico: e cioè sul pieno riconoscimento dell’esistenza degli oggetti e delle realtà naturali (dalle galassie fino ai quark) in modo indipendente ed assolutamente autonomo rispetto alla riproduzione del genere umano, alla sua pratica e sensazioni/conoscenze di tipo collettivo ed individuale.

Con un ovvia ma importante eccezione, l’esistenza (naturale biologica, in un primo momento), dello stesso genere umano, la Natura non costituisce una “categoria sociale” (come affermava invece il giovane Lukacs di “Storia e coscienza di classe”), ma una realtà oggettiva e dinamica la cui riproduzione è indipendente dalla presenza del genere umano nell’Universo, anche se quest’ultimo può trasformare via via sempre più profondamente le forme concrete della sua riproduzione concreta (ad esempio mandando satelliti nello spazio, arrivando sulla Luna, ecc.).

Il nostro Sole, la Via Lattea, la galassia di Andromeda, (e le altre cento miliardi di galassie esistenti nel nostro continuum spazio-temporale) esistevano e si muovevano nello spazio prima ed indipendentemente dall’Uomo e continueranno ad esistere anche dopo una nostra possibile estinzione; i quark esistevano prima ed indipendentemente dall’Uomo e continueranno anche dopo una nostra possibile estinzione. L’elenco può allungarsi a dismisura, come dimostra proprio la praxis umana, in primo luogo la nostra pratica scientifico-tecnologica.

Decimo elemento di elaborazione: le pratiche tecnologiche e scientifiche riflettono la dinamica di sviluppo del mondo esterno, ma costituiscono anche la base e la condizione preliminare per la trasformazione di quest’ultimo da parte della nostra specie, processo basato sulla conoscenza sempre più approfondita della Natura.

Le conoscenze accumulate via via dalla protoscienza/scienza e dalla tecnologia pertanto hanno un valore universale e oggettivo (anche se sempre suscettibile di approfondimenti, miglioramenti, correzioni e soprattutto inserimenti in un quadro generale più ampio), trasversale a tutti i modi  collettivistici o classisti e valido ed applicabile da tutte le classi, sfruttate o sfruttatrici: quello che varia enormemente è proprio il modo di utilizzo di tali scoperte/invenzioni, cooperativo o classista, bellico o pacifico. “Modello Linux” o “modello Microsoft”, per usare una facile distinzione.

Undicesima tesi: all’inizio del terzo millennio non si è in presenza di un “eccesso” di scienza e di tecnologia, ma invece di un “sottosviluppo” di esse e di un loro livello di sviluppo ancora insufficiente per permettere la creazione del comunismo sviluppato (distinto dal socialismo) su scala mondiale.

Dodicesimo contributo: la praxis e la coscienza scientifico-tecnologica, alias “il pensiero” umano tradotto in attività di coscienza e trasformazione della natura, stanno via via esercitando un influenza crescente, da due milioni di anni a questa parte, sulla “materia”, e cioè sui  processi di riproduzione dei fenomeni naturali.

Tredicesima tesi:  il carattere potenzialmente rivoluzionario ed anticlassista/anticapitalistico del processo di sviluppo della scienza e tecnologia. I loro risultati sono sempre potenzialmente producibili da tutti gli esseri umani, oltre che basati sempre sul “lavoro dei morti” e sulla “cooperazione dei vivi”, quindi con una forte carica collettivistica; inoltre l’accumulo continuo, la crescita continua del “lavoro universale” di natura scientifico-tecnologica entra in contraddizione, come processo potenzialmente infinito ed illimitato, con i  limiti e le barriere socioproduttive (e politico-sociali) imposte dal sistema capitalistico, come del resto dagli altri sistemi di matrice classista.

La scienza intesa come “sapere pubblico e controllabile”, almeno a livello potenziale, entra in contraddizione con le forme di appropriazione private ed elitarie dei suoi risultati.1
Penultimo spunto, il prometeismo insito e connaturato alla pratica tecnica e scientifica. Infatti anche la tecnologia più rudimentale del paleolitico permette all’uomo di utilizzare l’“elemento naturale” (Marx) come “organo” artificiale, che la nostra specie “aggiunge agli organi del corpo prolungando la propria statura” (e potenza) “naturale, nonostante la Bibbia” ed i suoi divieti antiprometeici, come rilevò Marx nel primo libro del Capitale analizzando mezzi di produzione e lavoro.

Quattordicesima tesi. Nella concezione marxiana sono considerate forze produttive: 1. La forza lavorativa degli uomini; 2. I mezzi di produzione; 3. Le ricchezze naturali e le forze naturali utilizzate dall’uomo; 4. La scienza 5. Le forme e i metodi dell’organizzazione del lavoro e della produzione.  Si distinguono le forze produttive, da un lato in materiali e spirituali (uomo e scienza), dall’altro in naturali e create dall’uomo. Ora, Marx vide proprio nell’uomo con le  sue conoscenze, le sue esperienze di lavoro e le sue abilità, la componente più importante delle forze produttive:  l’uomo mette al servizio le altre componenti delle forze produttive e crea preliminarmente gran parte di esse.
Le conoscenze tecnico-scientifiche degli uomini sono pertanto la “gemma” più preziosa del “tesoro” costituito dalle forze produttive sociali, entrando a far parte della produzione per il tramite di macchine, apparecchiature, impianti, e dell’organizzazione scientifica della produzione, ma soprattutto grazie agli uomini, che detengono il sapere e sono preposti alle operazioni produttive.

Il libro in via d’esposizione si fonda sulla teoria generale dell’effetto di sdoppiamento. In base ad  essa si può constatare che, a partire dal 9.000 a.C. nell’area euroasiatica, lo sviluppo qualitativo delle forze produttive e della scienza/tecnologia ha raggiunto un salto di qualità tale da permettere da un lato al genere umano la produzione per la prima volta di un surplus costante ed accumulabile (uguale era del surplus, che dura fino ai nostri giorni), e dall’altro la riproduzione simultanea – a livello potenziale oltre che reale, in presenza di una parità approssimativa nel grado di maturità qualitativo delle forze produttive –  sia di rapporti sociali di produzione collettivistici che di relazioni di produzione classiste, fondate invece sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.


1 G. Giorello, in L. Geymonat e G. Giorello, “Le ragioni della scienza”, edizioni  Laterza, p. 53