I Brics, l’Occidente, la guerra

Si fa presto a dire Brics. Ma cosa sono, perché esistono, cosa produrranno? Sulle risposte a queste tre domande permane ancora tanta confusione. E nella confusione sguazza pure il complottismo.

Sul XV vertice dei Brics, che si è tenuto recentemente a Johannesburg, si è detto e scritto di tutto. Qui cercheremo soltanto di capire qual è stato il suo vero significato politico, a partire dalla storica decisione di aprire le porte ad altri sei paesi: Arabia Saudita, Iran, Argentina, Egitto, Emirati Arabi ed Etiopia.

Innanzitutto, i Brics non sono un’organizzazione in senso stretto. Nati in opposizione al dominio occidentale, all’inizio il loro modello di funzionamento era abbastanza simile a quello degli avversari del G7. Ma mentre quest’ultimo riunisce le maggiori potenze economiche dell’occidente (un tempo effettivamente le più grandi del pianeta), i Brics nascono nel 2006 per raggruppare le cosiddette “economie emergenti”. In quell’anno il Brasile, la Russia, l’India e la Cina decidono di costituire un “coordinamento diplomatico informale”. Nel 2009, al primo vertice tra questi paesi (il Sudafrica si unirà solo nel 2010), verrà esplicitato lo scopo fondamentale dell’associazione, quello di perseguire “un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare”.

In queste poche parole c’è già l’essenza fondamentale dei Brics (il chi sono), mentre nel persistente unipolarismo del blocco occidentale Usa-Nato c’è la ragione del loro associarsi (il perché esistono). Quel che produrranno in futuro (la nostra terza domanda) ce lo dirà invece solo la storia, ma l’impressione è che si tratterà di una storia molto, ma molto interessante.

Torniamo adesso al modello associativo dei Brics. Fino ad ora l’analogia con il G7 è stata davvero notevole: un vertice all’anno, dichiarazioni finali di indirizzo piuttosto generiche ed articolate, la formale autonomia di ogni membro associato. Su quest’ultimo punto è interessante notare come le dichiarazioni finali non siano mai a nome dei Brics in quanto tali, ma dei rappresentanti di ognuno dei paesi che ne fanno parte. Esattamente come avviene per il G7.

Nel 2014 (summit di Fortaleza) emerge però un’importante novità. Nella città brasiliana, i Brics decidono infatti di creare una loro Banca di Sviluppo, la New Development Bank (Ndb), una chiara sfida all’ordine di Bretton Woods, basato sul ruolo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale oltre che sulla centralità del dollaro. Questa banca (la Ndb), partita con una dotazione iniziale di 50 miliardi di dollari, poi accresciuta nel tempo, dispone anche della piattaforma “Brics Pay” per aggirare l’uso della moneta americana nelle transazioni tra i 5 paesi dell’associazione. Insomma, i Brics in quanto tali rimangono un’organizzazione sui generis, ma di fatto si vanno strutturando.

Il vero salto di qualità avviene però con la guerra in Ucraina, che (al di là delle differenze pure profonde tra loro), i Brics vivono come conseguenza della rinnovata aggressività occidentale. Se si capisce che questo è stato lo snodo fondamentale, quello che porterà all’allargamento annunciato a Johannesburg ed a quelli previsti in futuro, si è già capito l’essenziale.

E’ vero, Russia e Cina non si sono mai amate. E’ verissimo, l’India mantiene stretti rapporti di cooperazione militare con gli Stati Uniti in funzione anti-cinese. Ed è certo (e naturale) che le agende del Brasile e del Sudafrica siano centrate sui rispettivi continenti. E’ certissimo, infine, come ogni membro dei Brics persegua i propri specifici interessi. Ma, nonostante tutti questi elementi di contraddizione, i Brics sono uniti dalla comune volontà di non sottostare al tallone occidentale. E siccome sanno che l’Occidente a guida americana è pronto ad ogni tipo di guerra pur di non perdere la sua supremazia, è alla guerra (per adesso quella economica) che si stanno preparando.

Qui sta l’importanza del vertice in terra sudafricana. Probabilmente senza la guerra in Ucraina l’allargamento non sarebbe neppure avvenuto. Gli stati che entreranno il 1° gennaio 2024, e quelli ben più numerosi in lista d’attesa (tra i quali alcuni giganti come l’Indonesia, la Nigeria e l’Algeria), sanno benissimo che la loro adesione ai Brics è vista a Washington come una dichiarazione di guerra de facto. Dunque, se hanno compiuto quel passo non privo di conseguenze, vuol dire che hanno ritenuto ormai impossibile sottrarsi al gigantesco scontro alle porte.

Del resto, il 94° ed ultimo punto della Dichiarazione di Johannesburg così recita: «Brasile, India, Cina e Sud Africa estendono il loro pieno sostegno alla Russia per la sua presidenza Brics nel 2024 e per lo svolgimento del XVI vertice Brics nella città di Kazan, in Russia». Vista l’importanza dei simboli in politica, ed anche nei rapporti internazionali, possiamo immaginarci come questa enfasi sia stata accolta nelle capitali occidentali, specie a Washington. I delegati di una quantità di paesi che, tra membri effettivi ed aspiranti, rappresentano ormai la maggioranza della popolazione mondiale, che vanno in casa di un nemico sotto sanzioni, nella tana del cattivo Putin! Decisamente un colpaccio sotto la cintura!

In difficoltà di fronte alla svolta di Johannesburg, molti commentatori occidentali hanno cercato di minimizzarla, enumerando le tante contraddizioni che fanno dei Brics un blocco per molti aspetti parecchio eterogeneo. Ma se rilevare differenze e contraddizioni è fin troppo facile, costoro fingono di non vedere che la natura dei Brics – un’associazione che esclude programmaticamente l’esistenza di un’egemone al proprio interno – è esattamente opposta a quella del G7, laddove l’egemone c’è e non è difficile notarlo.

Questa differenza segnala sì un potenziale punto di debolezza dei Brics, ma al tempo stesso – tenendo conto che lo scopo dell’associazione è “un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare” – ne mette in luce un fondamentale punto di forza: la salvaguardia e il riconoscimento degli specifici interessi (non solo economici) di ogni paese membro.

In questi giorni qualcuno ha segnalato come i Brics non siano poi così diversi dai loro avversari occidentali. Ora qui si tratta di intendersi. Sappiamo bene che non saranno i Brics a portarci fuori dal capitalismo! Ma sappiamo anche che le finestre rivoluzionarie si aprono sempre in corrispondenza delle grandi crisi, dei grandi movimenti tellurici nel campo della geopolitica, perché non si dà rivoluzione quando a dominare è la stabilità.

Se è giusto analizzare limiti e contraddizioni dei Brics, sarebbe assurdo non vederne l’aspetto dirompente rispetto all’ordine mondiale post-guerra fredda.

Il fenomeno dei Brics non va enfatizzato, va piuttosto compreso. Non siamo dunque d’accordo né con chi li esalta acriticamente, come se la partita con l’Occidente dovesse finire vittoriosamente domani l’altro; ma ancora meno lo siamo con chi non riesce proprio a comprendere la portata potenzialmente esplosiva della loro crescita.

Certo, se leggiamo la Dichiarazione di Johannesburg vi troveremo spunti interessanti mischiati ad un linguaggio ed a concetti subalterni alla narrazione occidentale: “sviluppo sostenibile”, “Agenda 2030”, “cambiamento climatico”, “resilienza”, “transizione ecologica”, “vaccini”, eccetera. Questo significa forse che Brics e G7 siano la stessa cosa, due facce della stessa medaglia coniata dallo stesso padrone? Suvvia, non scherziamo!

Non scherziamo, eppure è proprio questa la tesi di un certo complottismo che circola in rete. Gira, ad esempio, un testo che vorrebbe spiegarci un processo complesso come la nascita e lo sviluppo dei Brics, con una pianificazione delle oligarchie finanziarie, nella fattispecie rappresentata da un documento della famiglia Rockfeller del 1956… Certo, il mondo di internet è quello che è, ma sarebbe sbagliato sottovalutare il fenomeno.

Dentro questa visione complottista è adesso in voga la citazione del signor Jim O’Neill, fino a qualche giorno fa ignoto al grande pubblico. All’inizio del secolo il signor O’Neill, allora capo economista di Goldman Sachs, coniò ad uso esclusivamente finanziario (onde indicare le potenzialità di investimento in alcuni paesi cosiddetti “emergenti”) il termine BRIC (la S mancava). Proprio per il suo carattere informale, questo acronimo venne poi adottato da Brasile, Russia, India e Cina nel 2006. Questo fatto è considerato da alcuni sconsiderati come la pistola fumante, la prova provata del connubio tra la grande finanza e i Brics, laddove Putin, Xi Jinping, Modi, Lula e compagni altro non sarebbero che la longa manus del signor O’Neill o di chi, nel frattempo, ne ha preso il posto!

Rockfeller, O’Neill, un unico potere centrale (e naturalmente invincibile)… Non so se ci rendiamo conto! Sul piano dell’analisi storica, assurdità che si commentano da sole. Su quello dell’analisi politica, il miglior modo per non vedere le contraddizioni esistenti.
Se sposassimo queste tesi avremmo solo due alternative: o la resa o il suicidio. Fortunatamente, invece, le contraddizioni esistono e sono quelle che – nel bene come nel male – muovono la storia. E’ lì che può inserirsi l’azione politica cosciente. E’ lì che l’azione di massa può vincere. Se invece ci affidassimo a certi “santoni”, che tutto sanno ma nulla spiegano, saremmo fritti.

Nessun mito dei Brics, dunque, ma sapendo che il loro sviluppo è il più importante elemento oggettivo di messa in discussione dell’ordine attuale. La forza più potente che si oppone al blocco USA-NATO. Nulla di più, ma nulla di meno. Se vi pare poco!

Addendum sulla questione monetaria

Fin qui ci siamo occupati di politica, nella sua forma particolare che si chiama geopolitica. C’era però una particolare attesa su quanto si sarebbe deciso a Johannesburg sulla questione monetaria. Sul punto molte attese sono andate deluse. Ed adesso alcuni che prima dichiaravano il dollaro già morto, vengono a spiegarci che in realtà le decisioni in materia monetaria sono ancora lontane. Bella scoperta!

Sul punto è bene fare chiarezza.

Primo. Non è mai stata in discussione la possibilità di una “moneta unica” dei Brics. Una simile creatura – tipo euro, per intenderci – non è mai stata ipotizzata da nessuno, tanto sarebbe assurda, irrealizzabile ed ovviamente perniciosa. Ma, nonostante che tutto ciò sia piuttosto ovvio, in tanti apologeti a prescindere dei Brics hanno spesso parlato proprio di “moneta unica”, contribuendo così a fare confusione. La stessa cosa hanno fatto tanti nemici dei Brics, onde poter poi dichiararne il “fallimento”. Tra questi, il solito ineffabile signor O’Neill…

Secondo. Ciò di cui si è effettivamente parlato riguarda invece la possibile istituzione di una unità di conto da utilizzare unicamente nel commercio tra gli Stati. Qualcosa di simile al Bancor proposto da Keynes nel 1944 a Bretton Woods in alternativa all’egemonia del dollaro. Non una moneta sovranazionale circolante, dunque, bensì uno strumento di regolazione ed eventualmente di compensazione degli squilibri delle bilance commerciali dei singoli stati. Per essere ancora più chiari, se domani dovesse nascere l’unità di conto dei Brics, la Russia manterrebbe il rublo, la Cina lo yuan, eccetera. Dunque, tutti questi paesi conserverebbero la loro piena sovranità monetaria, con possibilità di emissione, di regolazione dei tassi, di assorbimento del debito interno.

Terzo. La possibile creazione di una unità di conto è stata per il momento rinviata, segno di difficoltà prevedibili, al momento né esplicitate né risolte. Sulla questione monetaria, la dichiarazione di Johannesburg si limita a due indicazioni. Nella prima, al punto 44, si sottolinea «l’importanza di incoraggiare l’uso delle valute locali nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie tra i paesi Brics e i loro partner commerciali». Nella seconda, al punto 45, i membri dei Brics incaricano «i Ministri delle Finanze e/o i Governatori delle Banche Centrali, a seconda dei casi, di considerare la questione delle valute locali, degli strumenti di pagamento e delle piattaforme e di riferirci entro il prossimo Summit».

Quarto. In qualche modo, il tema dell’unità di conto è dunque sul tappeto. Ed a modesto parere di chi scrive non potrebbe essere altrimenti. Il pagamento in monete locali presenta infatti alcune criticità, che l’adozione di un’unità di conto Brics consentirebbe di superare, dando un’accelerazione probabilmente decisiva al processo di de-dollarizzazione. Non meno importante sarebbe poi l’aspetto simbolico, dato che un simile passaggio – che ovviamente presenta diverse problematicità – suonerebbe davvero come una dichiarazione di guerra al blocco occidentale.

Come si vede, anche parlando di questioni monetarie si torna al trinomio del titolo di questo articolo: i Brics, l’Occidente, la guerra. Non si capiscono i primi se non si considerano lo spirito e la volontà suprematista del secondo. Non si capisce il significato del vertice di Johannesburg se non si considera il contesto della guerra.

(06 settembre 2023)