Parlare di “Terza Guerra Mondiale” è impegnativo, ma necessario. E’ impegnativo perché può sembrare esagerato, è necessario perché è l’immagine che meglio rende l’attuale situazione.
In questo inizio 2024 c’è in giro una pericolosa illusione. Secondo molti la guerra d’Ucraina starebbe per finire, o quantomeno per spegnersi per poi congelarsi magari in una “soluzione” alla coreana. Secondo questa visione, qualcosa del genere dovrebbe accadere pure in Medio Oriente, con l’allentarsi della presa di Israele su Gaza, cui seguirebbe non si sa bene che cosa.
Sfortunatamente le cose sono molto, ma molto più complicate.
Cosa vuol dire “Terza Guerra Mondiale”?
Questo articolo non ha lo scopo di affrontare l’insieme delle questioni geopolitiche che si stanno avviluppando davanti ai nostri occhi. Quel che qui ci interessa è fissare un dirimente punto di analisi. La “Guerra Grande” (copyright Lucio Caracciolo) ha la sua origine nella scelta occidentale, dunque in buona sostanza americana, di non cedere l’attuale supremazia su scala planetaria. Una supremazia messa in discussione dall’emergere della Cina, dallo sviluppo dei Brics, dal minor peso economico dell’Occidente complessivo, dall’evidente tendenza generale al multipolarismo, dall’insostenibilità di un sistema monetario dollaro-centrico.
A Washington hanno da tempo deciso di lottare per impedire il passaggio dal “nuovo secolo americano”, teorizzato venti anni fa, ad un sistema policentrico in cui dover ricontrattare i nuovi equilibri di potenza. E lo strumento principale di questa lotta, anche se di certo non l’unico, è quello militare. Da qui la guerra in corso in Ucraina, da qui la tendenza generale alla guerra che permea tutto l’Occidente in questo preciso momento.
Tuttavia, la guerra non è mai un fatto esclusivamente militare. Non solo perché, come ci ricorda von Clausewitz, essa è “la prosecuzione della politica con altri mezzi”, ma anche perché nella guerra entrano in campo altri fattori, tra i quali l’economia, il commercio, le relazioni internazionali, le capacità propagandistiche e quelle relative all’egemonia culturale ed al consenso.
Chiamiamo quindi “Terza Guerra Mondiale” un periodo – nel quale siamo già entrati – caratterizzato dallo scontro, prevedibilmente sempre più violento, che potrà concludersi solo con la definizione di nuovi equilibri su scala planetaria e, a cascata, nelle diverse realtà regionali.
Nella pratica, i vari fattori della guerra tendono sempre ad intrecciarsi. Ad esempio, nel caso specifico dell’Ucraina, l’offensiva occidentale ha visto prima un fatto politico con evidenti ricadute militari (l’espansione della Nato ad est), quindi il rifiuto politico di un qualsiasi confronto diplomatico con Mosca, poi il pieno appoggio militare all’Ucraina, combinato con quella che nelle intenzioni di Washington doveva essere l’arma definitiva: le sanzioni economiche alla Russia.
Quell’arma qualche risultato l’ha raggiunto, ma ha fallito clamorosamente il bersaglio grosso: il rovesciamento di Putin, come premessa per lo smembramento della Federazione Russa. Si tratta di un fallimento pesante assai, ma questo significa che la guerra in Ucraina sia già finita con la vittoria russa? Chi scrive lo auspicherebbe, ma non lo pensa affatto. In ogni caso, il semplice congelamento dell’attuale linea del fronte sancirebbe sì il fallimento della strategia ucro-occidentale della “riconquista”, ma pure la Russia si ritroverebbe con un controllo solo parziale dei 4 oblast formalmente annessi nel 2022 e, soprattutto, con un’Ucraina ben lungi da ogni ipotesi di neutralità e denazificazione.
Solo una decisa offensiva russa, ben oltre la portata delle battaglie attualmente in corso, potrebbe modificare sostanzialmente lo stato delle cose. Certo, in ogni caso l’Ucraina è ormai uno Stato fallito, ma la prosecuzione di una guerra di usura (che include anche numerosi attacchi diretti sul territorio russo, come vediamo in continuazione) potrebbe alla fine logorare anche la Russia.
E’ evidente come gli strateghi Usa-Nato guardino proprio a questa possibilità, viceversa non avrebbero senso i giganteschi finanziamenti europei (vedi i 50 miliardi stanziati la scorsa settimana), ma pure quelli che continueranno di sicuro a fluire dagli Usa.
Tuttavia, anche qualora ammettessimo la possibilità di una decisiva avanzata delle truppe di Mosca, tale da imporre un “cessate il fuoco” ai fantocci di Kiev, questa non sarebbe la fine della guerra, ma solo la conclusione della sua prima fase.
Il punto dirimente, scusate la banalità, è che chi ha scelto la guerra non ha certo intenzione di perderla senza prima aver messo in campo tutte le sue potenzialità. Detto in altri termini: il blocco Usa-Nato studierà (anzi di certo sta già studiando) le prossime mosse. Ed esse saranno tutt’altro che accomodanti. Guai a sottovalutare il nemico! Errore che di certo a Mosca non faranno.
In Ucraina l’imperialismo occidentale mirava al massimo risultato con il minimo sforzo, lasciando alle sole truppe di Zelensky il classico ruolo di carne da cannone. Non ha funzionato, ed il problema non è stato infatti quello delle armi, quanto piuttosto quello degli uomini. Si è disposti, adesso, a mandare a morire i soldati americani, inglesi, tedeschi, polacchi, italiani? E’ questo il vero nodo che l’Occidente collettivo si trova ora davanti. Un nodo classico, nel quale tornano in gioco la politica, la propaganda ed il consenso.
Breve digressione sul Medio Oriente
Quale sia l’atteggiamento occidentale lo vediamo, del resto, anche in Medio Oriente.
Qui la grande azione della Resistenza palestinese del 7 ottobre ha messo in luce l’estrema fragilità politica di Israele. E se la potenza militare dell’entità sionista non è una scoperta dell’oggi, l’assenza di una sua vera strategia politica non è mai risultata così clamorosa. La sintesi di questi due fattori è la terribile strage genocida che si sta consumando a Gaza. Ma quella strage non è sintomo di forza, bensì di debolezza, che se fossero bastate le stragi Hitler avrebbe vinto la Seconda guerra mondiale.
Tuttavia – ed è questo il punto che vogliamo sottolineare – né l’assenza di una via d’uscita politica, né l’imbarazzo davanti al mondo per questa carneficina senza limiti, stanno facendo venir meno la piena e decisiva copertura americana ai nazi-sionisti israeliani. Una copertura che si allarga pure all’Unione Europea ed all’Occidente collettivo nel suo insieme. Perché avviene tutto ciò?
Difficile credere che ciò dipenda solo dal peso della comunità ebraica negli Usa e dai calcoli elettorali che ne discendono. Più realistico pensare che anche questa scelta abbia a che fare con i tempi che stiamo vivendo, cioè con la più generale tendenza alla guerra. Una guerra che, per l’Occidente, non ammette veri compromessi nemmeno in Medio Oriente, pure al costo di mettere a rischio l’architettura delle proprie alleanze nel mondo arabo.
Un’escalation solo verbale?
Certo, anche gli imperialisti talvolta straparlano. E spesso l’imperialismo si rivela davvero una tigre di carta. Tuttavia, tornando alla guerra alla Russia ed al nodo della carenza di soldati, sarà bene prestare attenzione a quel che si va dicendo nell’ultimo mese in Occidente, e segnatamente in Europa.
Un profluvio di dichiarazioni guerresche ha infatti inondato il continente.
Partiamo dalla Gran Bretagna, da sempre la punta più aggressiva dello schieramento occidentale. Il 24 gennaio, il capo dell’esercito Patrick Sanders è stato netto. Dopo aver dichiarato che il Regno Unito “deve reclutare un esercito di cittadini pronti alla battaglia”, che “bisogna rendersi conto che stiamo passando da un mondo post-bellico a uno pre-guerra”, questa la sua conclusione:
“L’aereonautica non basta. Dobbiamo essere credibili anche riguardo alla nostra forza di terra. Nei prossimi tre anni, dobbiamo arrivare a un esercito britannico di almeno 120mila unità. E comunque non basta”. E siccome “non basta”, dato che si prevede una guerra con la Russia entro 10 anni, Sanders precisa che “bisognerà discutere” della reintroduzione della leva obbligatoria.
Riattraversiamo adesso la Manica, ed andiamo nel cuore dell’Europa continentale. Negli stessi giorni delle dichiarazioni di Sanders, in Germania accadeva anche di peggio. Il ministro della Difesa Pistorius affermava che la Repubblica Federale deve diventare “kriegstuechtig”, cioè abile a condurre una guerra. E ad aprile il Bundestag discuterà l’eventuale ripristino della leva, con l’aggiunta della possibilità di reclutare anche cittadini stranieri, dato che “non saremmo il primo esercito in Europa a farlo”.
Naturalmente, tutto ciò viene giustificato con l’allarme anti-russo. Dopo un articolo del Bild, che ha scritto di essere a conoscenza di un documento segreto del ministero della Difesa di Berlino su un presunto piano di attacco russo ai paesi Baltici, Pistorius ha dato pieno sfogo alla propaganda contro il Cremlino. Queste le sue parole: “Si deve tener conto che, un giorno, il presidente russo Vladimir Putin, attaccherà un Paese della Nato… Secondo i nostri esperti potrebbe accadere tra cinque-otto anni”. Siamo chiaramente di fronte ad una grande offensiva propagandistica, volta a dipingere la Russia come il male assoluto. Ma ricordiamoci che anche la propaganda è guerra, e che le misure di riarmo e di reclutamento annunciate sono estremamente minacciose.
Ed a proposito di propaganda armata, già sappiamo che, nei prossimi mesi, il cuore delle esercitazioni della Nato (di cui parleremo più avanti) sarà il quadrante Germania-Polonia-Baltico, con al centro il corridoio di Suwalki. Questo corridoio, che separa la Bielorussia dall’enclave russa di Kaliningrad, è chiuso a sud dalla Polonia ed a nord dalla Lituania, e secondo la propaganda occidentale sarebbe nelle mire di Putin. Ovviamente il Cremlino ha sempre negato, ma la Nato insiste ed i paesi che si affacciano sul Baltico ne approfittano per riarmare alla grande.
Con l’obiettivo di arrivare a 300mila effettivi, di cui 250mila professionisti e 50mila volontari, la Polonia ha già oggi l’esercito più numeroso dell’Unione Europea. E se Estonia, Lettonia e Lituania sono da sempre in prima linea nel sostegno all’Ucraina e nell’alimentare un clima di guerra totale alla Russia – da qui l’annuncio della creazione di comuni linee di “difesa” lungo i confini – ancora più sintomatiche sono state le recenti dichiarazioni del ministro della Difesa svedese Carl-Oskar Bohlin. Presentando un piano di rafforzamento dell’esercito, Bohlin ha invitato la popolazione a prepararsi al peggio. Queste le sue conclusioni: “L’hanno già detto in molti prima di me ma lasciatemelo dire con più forza: in Svezia ci potrebbe essere una guerra”. Una frase particolarmente significativa in un Paese di lunga tradizione neutralista che solo recentemente ha deciso di entrare nella Nato.
E a proposito di neutralità che scompaiono c’è da segnalare pure il caso dell’Austria, Paese non Nato che pure inizia a ragionare in termini bellicosi. Dieci giorni fa il generale di divisione Peter Vorhofer ha dichiarato alla Tiroler Tageszeitung che ormai “la guerra è tornata come una dimensione della politica”. Da qui la conclusione di un altro generale, Guenther Hofbauer, secondo cui “il Bundesheer (l’esercito austriaco) deve tornare ad essere pronto per affrontare una guerra”.
E in Italia? Nel nostro Paese, mentre il ministro Crosetto ha evocato la necessità di dotarsi intanto di una riserva di 10mila uomini, il presidente della commissione Difesa della Camera, il leghista Nino Minardo, ha presentato nei giorni scorsi una proposta di legge per raggiungere quell’obiettivo, puntando a creare una forza mobilitabile in 48 ore, dato che “dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza”.
Naturalmente, questo lungo elenco potrebbe proseguire con le citazioni di quel che è stato detto di recente dai responsabili politici di altri paesi europei, tra questi l’Olanda, la Danimarca, la Repubblica Ceca e la Finlandia.
Davanti a questa caterva di propositi guerreschi la domanda da farsi è soltanto una: sono solo chiacchere? Si tratta solo di minacce verbali pensate magari allo scopo di alzare il prezzo di un “cessate il fuoco” in Ucraina? Posto che l’intimidazione è sicuramente uno degli obiettivi di questa offensiva verbale, è ben difficile che solo di questo si tratti.
Le grandi manovre della Nato
Oltre alle parole ci sono invero i fatti. Non solo la fornitura di armi all’Ucraina continua, non solo si punta (sia nella Ue che negli Usa) a raddoppiare la produzione bellica, ma c’è anche qualcosa di più, come ad esempio l’accordo militare sottoscritto a gennaio tra i governi di Londra e di Kiev.
Ancora più importante l’inizio (avvenuto il 22 gennaio) della nuova esercitazione della Nato. Le grandi manovre, denominate “Steadfast Defender 2024”, dureranno fino a fine maggio e saranno le più imponenti dai tempi della Guerra Fredda. Tutti i 31 paesi Nato (più la Svezia) saranno coinvolti, con la mobilitazione di 90mila soldati e l’impiego di 1.100 veicoli da combattimento, 80 aerei ed elicotteri e 50 navi da guerra. L’esercitazione toccherà il territorio di 13 paesi, ma (come abbiamo già accennato) avrà il suo focus, oltre che in Germania (che funzionerà come hub di truppe e mezzi militari), nell’area più vicina ai confini con la Russia, in particolare nei paesi Baltici, in Romania e in Polonia. E proprio in Polonia si svolgerà il dispiegamento della forza di reazione della Nato.
Fin qui gli aspetti tecnici e logistici. Ma quale sia lo scopo di questa operazione lo ha spiegato l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato militare della Nato. Dopo aver detto che le opinioni pubbliche dei paesi dell’Alleanza Atlantica devono capire che “la guerra è un fenomeno che coinvolge tutta la società, che deve sostenere i militari con uomini e mezzi”, ecco le parole decisive di Bauer: “dobbiamo renderci conto che vivere in pace non è un dato di fatto. Ed è per questo che noi ci stiamo preparando per un conflitto con la Russia”.
Non ci sarebbe stato il bisogno di aggiungere altro, ma alle parole dei militari si sono sommate l’altro ieri quelle del segretario generale della Nato, l’ex banchiere norvegese Jens Stoltenberg. Intervistato dall’edizione domenicale di Die Welt, Stoltenberg ha detto che “dobbiamo prepararci ad un confronto (con la Russia) che potrebbe durare decenni”.
Di nuovo si impone la domanda: è possibile che sia solo propaganda?
Brevi conclusioni
Abbiamo riportato il florilegio dei guerreschi discorsi delle ultime settimane perché si tratta di un’offensiva verbale senza precedenti. Un’offensiva da non prendere sottogamba. Anche perché il fumo della propaganda ha lo scopo di far passare l’arrosto di un enorme riarmo.
Abbiamo accennato all’inizio a cosa si deve intendere per guerra oggi e per Terza Guerra Mondiale più nello specifico. Qui sottolineiamo un altro punto cruciale. Dire “Terza Guerra Mondiale” non significa pensare ad uno scambio diretto ed immediato di una grande quantità di bombe atomiche tra le potenze che le posseggono. Certo, questo esito non è affatto escluso, ma prima di arrivarvi la strategia militare sarà sempre quella del perseguimento del massimo risultato (l’annichilimento del nemico) con il minor sforzo e con il minimo rischio.
Da questo punto di vista la vicenda ucraina ha già fornito un’importante lezione. Se fino a due anni fa il confronto tra due potenze atomiche (ed in particolare tra Russia e Stati Uniti) veniva escluso proprio per i rischi che ne sarebbero derivati per entrambi, la guerra d’Ucraina (che è guerra tra Russia e blocco Usa-Nato) ha invece dimostrato il contrario: almeno entro certi limiti, una guerra tra le potenze atomiche può svolgersi senza arrivare alla soglia nucleare.
Anche da qui il superamento del tabù della guerra, tipico dell’equilibrio del terrore vigente nel periodo 1945-1991. Del resto, se così non fosse non si capirebbe l’enfasi di ritorno sui problemi quantitativi della guerra (quanti uomini, quanti carri armati, quanti proiettili…).
Ma se la guerra è possibile, e se l’Occidente a guida Usa ha scelto da tempo questa strada per conservare la sua supremazia, come non vedere in termini concreti la tragedia che si annuncia all’orizzonte?
Questa tragedia può essere fermata solo per due vie. La prima è quella della mobilitazione popolare contro tutti i governi guerrafondai dell’Occidente. La seconda è quella della sconfitta militare del blocco Usa-Nato. Anche per questo ci auguriamo una chiara vittoria russa in Ucraina.
Post Scriptum
Detto questo, l’importante è non coltivare nessuna illusione sulla possibilità di fermare la guerra attraverso altre, improbabili, scorciatoie. Tra queste, quella che va per la maggiore, affida le proprie speranze (almeno nell’immediato) alla vittoria di Trump.
Questa speranza ha un senso, soprattutto perché quel risultato metterebbe in crisi l’oligarchia dominante e l’intero assetto politico degli Usa. Ma, a parte il fatto che il risultato di novembre è tutt’altro che scontato, e che i “democratici” opteranno quasi certamente per un cambio di cavallo in corsa proprio per non perdere, cosa porterebbe davvero un eventuale Trump 2 proprio non lo sappiamo. Quello che invece possiamo già sapere con certezza è che l’establishment americano, i cui vertici hanno deciso la guerra, ben difficilmente si farà sbarrare la strada da un simile incidente di percorso.
(13 febbraio 2024)