La crisi finanziaria mondiale arriva anche nei cosiddetti “Paesi emergenti”: il Brasile è tra quelli che nelle ultime settimane hanno sofferto di più. Il real, la moneta brasiliana, è vertiginosamente caduto del 45% in 40 giorni. La sua svalutazione rispetto al dollaro è andata al di là di ogni previsione di operatori ed economisti latinoamericani; pensare che solo 2 settimane fa il presidente Lula da Silva aveva dichiarato: “La crisi? Parlatene con George W. Bush”

A breve sarà convocata una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri e dell’Economia del Mercosur (Mercado comun del Sur, l’Unione doganale composta da Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, con Bolivia, Venezuela e Cile membri associati). L’idea è di mettere a punto un piano di azioni congiunte che contenga l’impatto della crisi mondiale in Sud America.

La salute dell’economia brasiliana, i tassi di crescita sostenuti, l’avallo delle agenzie di rating, la forza dei consumi interni, le recenti scoperte di giacimenti petroliferi avevano istillato un “sentiment” di fiducia molto esteso. Tanto che Lula ha incassato, secondo i sondaggi, l’80% di consensi all’interno del Paese: un record assoluto che non ha precedenti nella storia del Brasile.
Negli ultimi 3-4 anni vi è stato un massiccio ingresso di capitali seguìto da una progressiva rivalutazione del real, ma ora il quadro macroeconomico è improvvisamente cambiato e la svalutazione ha destato notevoli preoccupazioni.

La crisi finanziaria mondiale fa paura a tutti. Persino il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, ha espresso grande preoccupazione per gli Stati emergenti: pochi giorni fa ha dichiarato che “gli emergenti rischiano di essere pesantemente coinvolti da questa grave crisi finanziaria, anche se i loro fondamentali macroeconomici sono molto più solidi che in passato”. Una dichiarazione su cui va prestata attenzione proprio perché rilasciata da un organismo che gestisce la gran parte dell’economia mondiale.

Il Brasile è il gigante che potrebbe contagiare le altre economie sudamericane e generare un’altra spinta verso la recessione globale. Paulo Skaf, presidente della Fiesp (Federazione industriali di San Paolo) ha dichiarato che “il Brasile trema per la stretta creditizia e per la riduzione del tasso di crescita del Pil 2009”. Poi ha aggiunto: “Certamente non possiamo alimentare l’allarmismo, faremmo il gioco degli speculatori, ma ignorare la portata della crisi sarebbe controproducente”.

Mentre Sergio Amaral, presidente dell’Associazione brasiliana dell’industria del grano, ha detto che “il Brasile e l’Argentina hanno beneficiato del boom delle materie prime e ora si profila una correzione per entrambi”. Difficile capirne l’entità, ma l’auspicio di chi non prevedeva impatti in Sud America è ormai vanificato.

Anche Lula, quello dell’ “altro mondo possibile” dei tempi di Porto Alegre, proprio lui, al capezzale del capitalismo a concertare con i vertici della Confindustria brasiliana!

La Redazione