Di fronte alla crisi finanziaria in corso molti si chiedono quali saranno le conseguenze sulla vita della maggioranza delle persone che vivono del proprio lavoro. Alcuni, quasi a voler esorcizzare la vera portata della crisi, si dilettano a distinguere la cosiddetta “economia reale” dalla finanza, quando tutti sappiamo che nel capitalismo reale questa distinzione non esiste affatto.

Altri ancora cercano di scacciare i timori per il futuro osservando che per il momento non vi è panico, né c’è ancora stata una pesante ricaduta su produzione e consumi. In realtà ormai la recessione è in atto, anche se siamo solo agli inizi.

Ed in quanto alla ricaduta sulla vita quotidiana delle persone in carne ed ossa non è affatto vero che non stia accadendo niente.

Facciamo oggi l’esempio dei fondi pensione privati. Quel regalino ai pescecani della finanza, voluto nel nostro paese da un compatto fronte bipolare con l’interessato accordo di Confindustria e sindacati confederali.

I fondi privati sono stati, a livello mondiale, un potentissimo veicolo di finanziarizzazione. Lo sono stati principalmente negli Usa ed in diversi paesi dell’America Latina. Bene, quanto stanno perdendo i lavoratori con la crisi finanziaria?

Dalle cifre che ci è dato leggere, i lavoratori statunitensi hanno perso qualcosa come il 20%, quelli cileni (paese nel quale si applicarono con grande impegno i “Chicago boys” del verbo liberista negli anni ’80) circa il 14%, quelli argentini ancora il 20%.

Da quest’ultimo paese è giunta, però, la notizia della decisione del governo presieduto da Cristina Fernandez De Kirchner di nazionalizzare i fondi privati, che verranno trasferiti in un fondo pubblico con regole uniche per liquidazioni e pensioni. Questa decisione ha provocato un vero tonfo della borsa di Buenos Aires, con pesanti contraccolpi anche in quella di Madrid, dato che molte banche spagnole (a partire dall’importante Banco di Bilbao) hanno interessi nei fondi argentini.

Sarebbe sbagliato trarre da questa decisione un giudizio affrettato sulla politica argentina, ma anche da questo atto del governo Kirchner si può capire come la crisi stia mettendo in tensione l’intera struttura (imperialistica) del capitalismo mondiale, aprendo certamente nuove prospettive alle lotte popolari in America Latina e non solo.

Su questa vicenda pubblichiamo l’articolo di Pablo Stancanelli, uscito sul Manifesto del 23 ottobre.

La Redazione 

 

ARGENTINA

Liberisti indietro tutta: addio pensioni private

Pablo Stancanelli

Buenos Aires

Sono state «politiche di saccheggio». Con queste parole la presidente Cristina Fernandez De Kirchner ha annunciato martedì la presentazione al parlamento di un progetto di legge che statalizza il regime pensionistico privato, eliminando il sistema di capitalizzazione individuale costituito dalle Administradoras de fondos de jubilaciones y pensiones (Afjp) e creando un regime pubblico unico «basato sulla solidarietà». Si mette così fine dopo quattordici anni a un regime perverso, che costituì uno dei pilastri delle politiche neoliberali degli anni Novanta dell’allora presidente Carlos Menem e del suo ministro per l’economia Domingo Cavallo. «Siamo alla fine di un’epoca e questa è una decisione strategica», ha detto Fernandez De Kirchner, sottolineando che mentre gli stati del G8 adottano politiche per proteggere le proprie banche «noi abbiamo deciso di proteggere i nostri pensionati e i nostri lavoratori».

Si stima che in gennaio, approvato il progetto – che causerà certo un aspro dibattito – quasi 9,5 milioni di lavoratori saranno reinseriti nel sistema pensionistico amministrato dallo Stato, che già comprende circa 3 milioni di iscritti. Con loro, ritorneranno nelle casse della Administración nacional de la seguridad social (Anses) i fondi accumulati dalle Afjp, circa 97.920 milioni di pesos (30 miliardi di dollari), dei quali il 55% sono in titoli pubblici. Nello stesso tempo lo Stato incasserà altri 15 miliardi di pesos l’anno (4,6 miliardi di dollari) in contributi pensionistici.

Nel quadro della crisi finanziaria internazionale, il governo argentino ha giustificato la misura con il sostanziale fallimento del sistema privato. Il regime di capitalizzazione prometteva di ridurre l’evasione e aumentare il numero dei contribuenti, ma solo il 40% degli iscritti versa i propri contributi e la relazione tra contribuenti e popolazione occupata si è ridotta. D’altra parte, delle 26 Afjp originali ne sono rimaste soltanto 10, con una marcata tendenza alla concentrazione, alti costi operativi, commissioni mediamente del 30% (circa 9 miliardi di dollari dal 1994). E non sono nemmeno servite a sviluppare un mercato locale di capitali. Infine, le Afjp non hanno ottenuto rendimenti migliori dei fondi statali, al contrario lo Stato argentino ha dovuto completare molti versamenti per raggiungere la pensione minima. Su un totale di 446mila pensionati privati delle Afjp, solo il 23% riceve il totale delle sue spettanze dalla Afjp stessa: lo Stato paga il 100% della pensione a circa 30mila iscritti, il 50% a altri 220mila e una parte minore ai restanti 100mila. E le rendite medie dell’ultimo anno hanno sofferto forti perdite, a causa della caduta delle borse. Per la Sovrintendenza delle Afjp l’indice medio è sceso del 4,7% in aprile, del 7,12 in maggio, del 8,66% in giugno, del 10,08 in luglio e del 6,43 in agosto, colpendo i lavoratori in via di pensionamento.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Martedì la borsa di Buenos Aires è precipitata dell’11% e ieri ha aperto con grossi ribassi, (fino a -17%). I buoni del debito argentino hanno sofferto gravi perdite e la Banca centrale ha dovuto intervenire in difesa del peso. La presidente della Coalizione Civica Elisa Carriò, apocalittica come sempre, ha denunciato che «l’obiettivo principale è di saccheggiare i fondi dei pensionati (…) perché lo Stato faccia cassa in vista delle elezioni o del fallimento». Sebastian Palla, presidente dell’Unione amministratori di fondi, ha minacciato «ogni azione necessaria», promettendo battaglia giudiziaria e invitando gli iscritti a fare lo stesso.Ma le prime ad andare in tribunale saranno proprio le Afjp. Il pm federale Guillermo Marijuan, dell’unità investigativa sulla sicurezza sociale, le ha denunciate per frode all’amministrazione pubblica per aver liquidato buoni del tesoro mentre veniva reso pubblico il progetto di statalizzazione: il giudice federale Carlos Bonadio ha ingiunto alle Afjp di non operare con buoni o azioni per una settimana. Un’inchiesta più profonda dovrebbe analizzare il favoloso affare costituito dal regime di capitalizzazione privata, che attraverso vari artifici finanziari ha portato lo Stato argentino a indebitarsi fortemente man mano che i fondi dei pensionati statali venivano trasferiti alle Afjp. Queste a loro volta compravano buoni del tesoro con il denaro dei lavoratori, un processo che ha coinvolto circa 41 miliardi di pesos (all’epoca convertibili in dollari) tra il 1994 e il 2001, e ha costituito una delle principali ragioni della crisi argentina.

Di fatto, un ampio spettro sociale e politico condivide le basi della riforma. Il governo afferma che i fondi delle Afjp si sommeranno ai 20 miliardi di pesos (6,2 miliardi di dollari) del Fondo di garanzia e di sostenibilità del regime pensionistico pubblico, e che verranno ampliati i meccanismo di controllo. Molti ricordano che le pensioni private nacquero in risposta a decenni di gestione corrotta dei fondi da parte dello Stato.